Una manovra tra scioperi e vincoli di bilancio

Il Corriere della Sera: “Stretta sui capitali all’estero”, “Le banche svizzere ai clienti: basta anonimato o conto chiuso”.

A centro pagina, il richiamo ad una intervista al ministro degli Esteri: “Bonino: l’Italia ha anticipato il dialogo con l’Iran. Quelle telefonate ad agosto”.

 

La Repubblica: “Battaglia su casa e sconti Irpef”, “Il Pdl rilancia il condono fiscale. Spunta una norma salva-Berlusconi”.

A centro pagina: “Il pallone prigioniero degli ultrà, chiuse le curve della Juventus”.

 

La Stampa: “’Niente Irpef sotto i 12 mila euro’”, “Proposta bipartisan, il governo frena. Prima casa e condono fiscale, affondo Pdl. Bruxelles sul vincolo di bilancio: fondi europei a rischio per chi sfora il deficit”.

A centro pagina, la conferenza Onu di Varsavia: “Clima , vent’anni di negoziati e fallimenti”. E la foto è per una bambina nata tra le macerie nelle Filippine colpite dal tifone.

 

Il Giornale: “Prove di tassa unica”, “Al posto dell’Imu arriva il nuovo tributo, il Tuc: finalmente le prime case sono esenti”, “Con la crisi, boom dei prodotti taroccati: ci costano 17 miliardi”.

A centro pagina: “Figli, vedove e sopravvissuti. Dieci anni senza eroi di Nassirya”.

In taglio basso: “Per gli elettori Pd truffare è normale”

 

L’Unità: “Casa e condoni, il Pdl ci riprova”. A centro pagina: “Letta a Berlusconi: non sfascerai tutto”.

 

Il Sole 24 Ore: “Così parte il Fisco in 120 rate. Benefici per famiglie e aziende in crisi. Chance anche alle dilazioni già in corso. Al via i piani decennali per pagare le cartelle: dai requisiti alla doomanda, le regole per ottenere il ‘sì’ di Equitalia”. A centro pagina: “Casa, il Pdl ora lancia il Tuc: tra le proposte: esenzione prima casa, sconto sulle cartelle fiscali e no-tax area più ampia”. Di spalla: “Intesa esce da Generali. Ceduta quota dell’1,3 per cento”.

 

Il Fatto quotidiano: “Manovra, assalto dei partiti. Banca, assalto degli amici”. “Stabilità & il caso Carige”. Dove si parla di una indagine della Banca d’Italia sulla Cassa di risparmio di Genova. A centro pagina

 

Pdl

 

Secondo Il Giornale la via d’uscita scelta dai governativi del Pdl sarebbe quella di disertare il Consiglio Nazionale.

Su Il Sole 24 Ore: “Alfano valuta se disertare il consiglio. Guerra sul numero di firme raccolte a sostegno dei due documenti contrapposti”.

Il Corriere della Sera parla della “contromossa di Alfano”: oggi sarà diffuso un documento degli alfaniani in cui si insiste sulla necessità di tenere unito il partito, ribadendo tuttavia che il governo va sostenuto per “il bene del Paese”. Un documento che – scrive il Corriere – è una sfida, oltre che una conta: è sottoscritto infatti da oltre il 40 per cento dei membri della direzione del Pdl, organo che non si è quasi mai riunito ma del quale fanno parte i vertici (capi di dipartimento, responsabili di settore, molti parlamentari anche della scorsa legislatura). Secondo i governativi, dei 128 membri, 50-55 avrebbero firmato. Secondo i lealisti sono al massimo 46.

Anche su La Repubblica si legge che il documento che presenterà oggi l’ala filogovernativa del Pdl sarebbe stato firmato da una cinquantina dei 130 membri della direzione nazionale del Pdl. Il quotidiano si concentra sulla kermesse del consiglio nazionale che si terrà sabato a Roma: prevede che non vi sia nessun altro relatore oltre a Berlusconi e nessun documento da votare, se non quello che sancisce il passaggio a Forza Italia, sul quale i lealisti giurano di aver raccolto già oltre 500 firme sugli 860 componenti. E l’orientamento di Berlusconi sarebbe il seguente: loro spostino la seduta del 27 (quella in cui si voterà la decadenza) e io mi impegno a sostenere il governo, dopo l’8 dicembre, con Renzi sarà il Pd a farlo cadere.

L’Unità propone una intervista ad Enrico Costa, presentato come “allievo” o “braccio destro” di Ghedini, che, a proposito della intervista di Berlusconi all’Huffington Post di ieri, dice: “Quell’intervista non mi ha certo rasserenato”. Sul Consiglio Nazionale, alla domanda su cosa succederà, risponde: “Dipende: ci sarà un dibattito politico? Oppure sarà deciso il destino di un partito in base ai numeri elaborati da Verdini?”.

Sul Corriere della Sera: “Né soldi né simbolo a chi dice no al Cavaliere”. Secondo il quotidiano, chi rivendicherà la sopravvivenza del Pdl al Consiglio Nazionale, contro la volontà del Cavaliere, non avrà diritto né ad una stanza né ad un euro, né all’uso del simbolo se non avrà la maggioranza. E’ questo il “muro” costruito dai tesorieri: dal momento del voto, che si terrà in forma palese, e, sostengono, a maggioranza semplice, il Pdl cesserà di essere una entità politica. Resterà in vita solo in attesa di riscuotere i circa 18 milioni di rimborsi elettorali per il 2016-2018. In caso di sconfitta della linea politica del Cavaliere, il partito perderà il suo Presidente, la sua ragione sociale (sul simbolo c’è il suo nome) e il catalizzatore di voti e di sostegno economico. La nuova Forza Italia,che attualmente ha due soli iscritti (il Cavaliere e Sandro Bondi) può contare su un fundraising di sostenitori. Berlusconi garantisce già con fidejussioni per circa 110 milioni di euro.

La Repubblica intervista Giuliano Urbani, che fu ideologo e tra i fondatori di Forza Italia nel 1994. Perché Berlusconi rilancia Forza Italia? “Come direbbe Massimo Catalano, lo fa perché è meglio rilanciarsi con una etichetta vincente che affondare con una etichetta perdente. Ma mi sembra un amarcord privo di basi storiche”.

 

Pd

 

L’Unità si occupa ancora della riunione dei circoli Pd. Secondo i primi risultati dei congressi ci sarebbe un testa a testa tra Renzi e Cuperlo. Sono dati provvisori, frutto del voto dei primi 6000 iscritti al Pd che lo scorso fine settimana sono tornati nei circoli per eleggere il segretario nazionale. Renzi va bene in Piemonte ed Emilia Romagna (il sindaco di Torino Fassino e il segretario regionale Bonaccini sono due grandi elettori del sindaco), Cuperlo è avanti a Milano e fa il pieno a Enna, mentre Civati ha vinto il congresso del circolo di Parigi. Il risultato registrato ad Enna ha innescato un’aspra polemica da parte dei renziani, perché a sostegno della candidatura Cuperlo ad Enna si è mosso l’ex sindaco, escluso alle politiche di febbraio alle politiche dal Pd perché coinvolto in inchieste giudiziarie. Nel comitato Renzi valutano che i circa 500 voti incassati da Cuperlo ai congressi della Provincia di Enna hanno permesso di determinare il testa a testa registrato fino ad oggi.

Il Corriere della Sera riferisce i dati di un sondaggio del quotidiano Europa, secondo cui Renzi sarebbe in testa con il 72,5 per cento dei voti. Cuperlo sarebbe al 14,5, Civati al 12,3. Pittella allo 0,7. Il quoitidiano Europa ha una intera pagina dedicata a questi dati: “Renzi vola, derby Cuperlo-Civati”. E sintetizza: il sindaco più forte tra i giovanissimi, Cuperlo tra gli over 65, Civati tra i laureti, Pittella nelle regioni rosse. Il quotidiano scrive che Renzi ha rafforzato il suo risultato nelle regioni rosse (dove raggiunge il 75,8 per cento, tra Emilia, Marche, Toscana e Umbria). Renzi arretra al sud (69,5) e proprio nel meridione Cuperlo può contare su consensi che sfiorano il 20, mentre al nord si ferma al 9,4, scontando la buona performance di Civati (18,4 per cento). Lo stesso Civati non raggiunge il 10 per cento al centro e al sud, mentre Pittella racimola il suo miglior risultato nelle regioni rosse (1,5). A realizzare il sondaggio è stato l’istituto di ricerca Quorum.

La Stampa torna sulla decisione preannunciata da Romano Prodi di non votare alle primarie, e intervista Graziano del Rio, ministro degli affari regionali, “uomo forte del renzismo”, come lo definisce il quotidiano. Dice che tenterà di convincere Prodi a cambiare idea, “anche perché tra i candidati alle primarie c’è chi si rifà alla sua ispirazione”. Secondo Del Riuo c’è “una oggettiva convergenza tra la capacità innovativa che ebbe Prodi e quella di Renzi”, “la sua visione sulla vocazione europea, l’apertura alla imprenditorialità, la capacità che deve avere la politica di decidere in tempi rapidi, sono caratteristiche presenti più in Matteo che in altri candidati”. Alla domanda: Qualcuno di voi dice che Prodi così fa il gioco degli anti-Renzi, Del Rio risponde: “Non voglio arrivare a tanto, ma certo così instilla il dubbio che tutta l’avventura del Pd abbia perso significato”.

Anche alle pagine successive un approfondimento del quotidiano: “I prodiani tentati dal non voto o dalla scelta per Renzi”, “delusione in Santagata, Monaco, Soliani. Sandra Zampa sceglie Civati”.

 

Legge di stabilità

 

La Repubblica parla di un “piano bipartisan sui poveri”, e spiega che la proposta, nata con un emendamento che ha come prima firmataria Cinzia Bonfrisco (Pdl) e Giancarlo Sangalli (Pd) prevede che non paghino tasse coloro che hanno un reddito inferiore ai 12 mila euro. Attualmente il tetto della quota esente è 8000 per i lavoratori dipendenti e 7500 per i pensionati. Tanto Bonfrisco che Sangalli chiedono una rimodulazione del cuneo fiscale attraverso l’estensione della no-tax area. Il costo previsto è stimato in 1,8 miliardi di euro, da coprire attraverso tagli alla spesa della Pubblica Amministrazione. Secondo il quotidiano, se questi testi trovassero accoglienza, a beneficiare dell’esenzione sarebbero quasi 4 milioni e 700 mila contribuenti in più rispetto ai 7 milioni e mezzo attuali. Ma il governo, scrive il quotidiano, ha espresso contrarietà per bocca del viceministro dell’Economia Fassina: “Le poche risorse che abbiamo a disposizione le dirotterei piuttosto su quella parte di lavoratori e famiglie in maggiore difficoltà. Aumentare la no-tax area vuol dire distribuirle anche a chi ha un milione l’anno”.

Dal Corriere della Sera, le dichiarazioni dello stesso Fassina ieri a Bruxelles: “temo che l’operazione sia molto costosa e non finalizzata solo ai redditi più bassi, ma essendo un innalzamento della no tax area riguarda tutti, anche quelli che guadagnano un milione di euro”. Il quotidiano scrive che per il Pdl la battaglia centrale resta comunque la casa e il contante: Antonio D’Alì, che è anche uno dei relatori della manovra, propone di sostituire la Trise con il Tuc (tributo unico comunale) rendendo esenti da qualsiasi prelievo di natura patrimoniale le prime case. La modifica di alzare l’uso del contante dagli attuali 1000 a 5000 euro, altro cavallo di battaglia dei berlusconiani, è stata invece presentata dal presidente della Commissione ambiente del Senato Giuseppe Marinello.

L’Unità scrive che D’Alì ha presentato poi un altro emendamento per proporre quello che il quotidiano considera una nuova sanatoria fiscale e contributiva: i debiti pregressi fino al 31 dicembre 2012 potranno essere pagati senza corrispondere gli interessi di mora e sanzioni, sborsando semplicemente l’80 per cento della imposta iscritta a ruolo. Il ministro delle infrastrutture Lupi, però, frena: “Dobbiamo verificare con il Pd, non mi sembra che ci siano le condizioni politiche per andare sulla strada del condono”.

Sugli emendamenti presentati da Pd e Pdl sulla no tax area sotto i 12 mila euro, L’Unità scrive che risultano “estemporanei e assolutamente non appoggiati dal governo e dai relatori”. Si cita quindi la dichiarazione sopra citata di Stefano Fassina, e poi si focalizza l’attenzione sull’emendamento del correlatore Pd Santini: si propone la rimodulazione del taglio del cuneo fiscale per concentrare il beneficio sui redditi più bassi, abbassando la soglia di reddito per usufruire dello sconto sul cuneo fiscale, attualmente prevista a 55 mila euro, a poco più di 30 mila euro.

Sul Corriere della Sera si spiega come Santini venga dalla Cisl e stia facendo opera di mediazione sui conti, di fronte alla decisione dei sindacati di proclamare una serie di scioperi a partire da questa settimana.

Su Il Giornale: “Intesa Pd-Pdl: giù le tasse, ma il governo non ci sente”.

 

Internazionale

 

Si è aperta ieri a Varsavia la conferenza sul clima. 190 rappresentanti dei Paesi sottoscrittori della convenzione Onu sui cambiamenti climatici dovrebbero mettere nero su bianco cosa si intende fare per contrastare i mutamenti climatici. Si chiama Cop19 e se ne occupa L’Unità, scrivendo che il delegato delle Filippine Naderev Sano ha inaugurato la conferenza annunciando uno sciopero della fame che – ha detto – durerà fino a quando non saranno prese decisioni significative. Il quotidiano scrive che Naderev rischia di digiunare a lungo, perché questo appuntamento è un passaggio interlocutorio rispetto a quello previsto nel 2015.

Anche sul Corriere: “Al vertice Onu esperti divisi su riscaldamento e uragano”.

Su La Stampa: “Il tifone ‘si abbatte’ anche sui negoziati. Fra Cina e Usa è scontro sui gas serra”. Il quotidiano evidenzia come vi sia anche un paradosso nel summit di Varsavia, visto che la Polonia produce l’88 per cento della sua elettricità con il carbone.

 

Oggi La Repubblica ha un reportage da Manila firmato da Raimondo Bultrini: “10 mila morti solo a Tacloban”. Il che vuol dire che il bilancio complessivo del Paese sarà necessariamente molto più alto. “L’Onu ha lanciato un appello urgente per gli aiuti”.

Su Il Sole 24 Ore si dà conto della emergenza umanitaria nelle Filippine. E’ stata avviata la macchina degli aiuti internazionali, ma 4 milioni di persone sono in difficoltà. Il quotidiano offre anche una analisi in cui si legge che è stata colpita una economia che cresceva a pieno ritmo. Manila era stata promossa da poco allo stato di Investment Grade da tutte le principali agenzie di rating internazionali. Il ministro delle finanze Purisma ha ammesso che il tifone ridurrà del 10 per cento il Pil delle regioni colpite, quindi forse l’1 per cento di quello nazionale. Tornando sulle promozioni ricevute dalle agenzie di rating internazionale il quotidiano spiega che la forza della economia filippina non sta solo nei dieci milioni di emigrati, ma anche nel fatto che il Paese sia emerso come una base internazionale per i call center e sia stato individuato da investitori internazionali per lo sviluppo delle infrastrutture. Inoltre, sono fondamentali la sostanziale stabilità politica, i relativi miglioramenti nella governance e nel consolidamento fiscale.

 

Il Foglio si occupa estesamente del fallimento dei negoziati nucleari con l’Iran a Ginevra. Il WSJ e il NYT hanno scritto che la responsabilità ricade soprattutto sull’Iran, che avrebbe preteso troppo. Foreign Policy ha scritto che il fallimento è stato voluto dalla Francia. Il ministro degli esteri francese Fabius ha infatti violato il protocollo sabato pomeriggio parlando alla radio e dicendo che la Francia “non ci sarebbe cascata”. I francesi, scrive Il Foglio, hanno una conoscenza molto più particolareggiata rispetto agli altri del programma atomico iraniano, anche perché hanno contribuito a fondarlo. In particolare Parigi vuole che sia fermata la costruzione del reattore al plutonio di Araq.

Il quotidiano scrive anche che la Guida Suprema Khamenei controlla un “mostro finanziario”, poiché è a capo di un ente opaco da 95 miliardi di dollari.

Anche su La Stampa: “Dal petrolio alle ostriche, l’impero di Khamenei vale 95 miliardi di dollari”, e “la fine delle sanzioni favorirebbe soprattutto l’ayatollah”. Si tratta dei risultati di una inchiesta Reuters sulla “Setad”, acronimo persiano che sta per “Quartiere generale per l’esecuzione dell’ordine dell’imam”, organizzazione creata da Khomeini prima della sua morte, nel 1989, a fini di beneficenza per i poveri, i veterani e le vittime delle guerre Iran-Iraq, sfruttando le proprietà abbandonate dopo la rivoluzione del 79.

Il Corriere della Sera riferisce le parole del segretario di Stato Usa Kerry sulle accuse che sono piovute sulla Francia e scrive che ha cercato di accreditare una versione diversa: “non è stata la Francia a tirarsi indietro, tutti noi occidentali coinvolti nella trattativa ci siamo fermati quando abbiamo visto che Teheran non ha fatto i necessari passi avanti”. Il quotidiano spiega anche il “malumore” comprensibile di Kerry: “Era andato a Ginevra pensando di firmare il primo accordo con l’Iran, e per farlo aveva sacrificato in parte il rapporto con Netanyahu e, forse, compromesso il dialogo tra israeliani e palestinesi che aveva cercato di cucire pazientemente nei mesi scorsi. Scrive il quotidiano: “Parigi avrebbe potuto avvertire gli Usa della sua decisione di sposare la posizione di Netanyahu e degli arabi sunniti. Non lo ha fatto e ora Kerry si sente tradito. Probabilmente sta pagando l’irritazione francese per lo spionaggio della Nsa, ma soprattutto quella personale di Hollande, al quale lo stesso Kerry aveva chiesto di esporsi per l’attacco in Siria al fianco degli Usa, salvo poi restare col cerino in mano quando Obama ha frenato all’improvviso”.

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