Un filosofo russo della politica e un politico italiano hanno proposto, nel bel (?) mezzo del disordine che attraversa il mondo, una visione “originale”. Alexander Dugin è l’ideologo dell’eurasiatismo e dell’ultranazionalismo russo. Scrivendo dell’assassinio di Charlie Kirk, afferma: “Noi russi, ovviamente, potremmo dire che sono affari loro, che non ci riguardano. Ma non sarebbe giusto né onesto. Charlie Kirk era dalla nostra parte della linea del fronte che ora divide l’umanità. La guerra civile negli Stati Uniti non è qualcosa di lontano. Fa parte della stessa guerra civile globale che è già in corso. Uno dei fronti di questa guerra è l’Ucraina. In essa, persone con l’ideologia del patriottismo e del cristianesimo, sotto la bandiera di Cristo e del Katechon (noi) [il termine è usato da San Paolo nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi per indicare una Forza o un Soggetto che trattiene l’avvento pieno dell’Anticristo, Ndr] stanno combattendo contro brigate terroristiche mobilitate, zombificate, armate e incitate dai globalisti (loro). Gli stessi che hanno appena ucciso Charlie Kirk”.
Se una guerra civile è in corso a livello mondiale, è evidente che le sue nervature attraversano ogni Paese, gli piaccia o no. Anzi: meglio che il Paese si allinei al più presto su un fronte o su un altro, se vuole tentare di stare nella corrente della Storia. Sennò andrà incontro al destino che l’Apocalisse riserva ai tiepidi: “Poiché non sei né caldo né freddo, incomincerò a vomitarti dalla mia bocca”. Così, anche un’Italia recalcitrante – avendo già un’altra volta sfidato il destino dei “colli fatali” – è reclutata in questo scontro finale tra la Luce e le Tenebre, tra il Bene e il Male.
E qui soccorre Dario Franceschini del Partito Democratico. Ha dichiarato che le prossime elezioni, regionali o politiche, non si vincono più al centro, ma, al contrario, sulle posizioni estreme. Ciascun blocco politico è perciò invitato ad attizzare, al bisogno, le ali estreme del proprio ventaglio elettorale per vincere il confronto. Franceschini parla al centro-sinistra, ma anche il centro-destra è implicitamente stimolato a fare altrettanto. Perché le elezioni non si vincono più “al centro”? Per ragioni socio-culturali. “La rabbia” è diventata un motore politico. Il sovranismo a destra, il populismo a destra e a sinistra, il dirittismo e lo wokismo a sinistra hanno imposto un bipolarismo muscolare degli estremi che non ha nulla di liberal-conservatore né di liberal-progressista. Tutto ciò ha impedito al sistema politico di ricostruirsi secondo i canoni classici della democrazia liberale.
Un invito alla guerra civile? Non pare. Sono troppe le differenze tra la visione tragico-apocalittica di Dugin e quella casereccia del politico italiano.
Non che in Italia manchino conati di violenza, fatti per ora più di parole che di azioni. Le parole sono quelle che cadono dagli scranni di qualche Consiglio comunale o da qualche palco per comizi. Così Luca Ciriani, ministro per i Rapporti con il Parlamento, reagendo a qualche voce sguaiata di sinistra, che ancora oggi si attarda a distinguere tra chi muore per colpa di altri e chi perché “se l’è cercata” come avrebbe fatto Kirk, ha dichiarato che la sinistra sta tornando al tempo delle BR. Per un’intera generazione di neofiti della politica, impreparati culturalmente e professionalmente ai compiti del presente, la storia pare aver avuto inizio solo dalla propria nascita. Prima di quella si stende un vuoto… di ignoranza. In questo contesto, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dismessi gli abiti di governo e indossati quelli della pasionaria, ha chiamato la sinistra a rispondere del clima violento che essa starebbe generando. In realtà Elly Schlein non aveva dichiarato proprio nulla di men che corretto a proposito di Charlie Kirk. Semmai, sì, da Pierluigi Odifreddi in giù, corre qua e là nella sinistra qualche pensiero tristo, per il quale la violenza altrui è sempre esecrabile, la propria no…
Poi, sì, ci sono anche atti e gesti di violenza. Ogni sabato nelle principali piazze italiane manifestano i ProPal, non sempre pacificamente. E negli atenei di Milano, Torino, Bologna, Pisa, Roma… sono stati oggetto di violenza studenti e docenti accusati di essere “genocidi”, in quanto ebrei o sionisti o simpatizzanti di Israele. Alcuni senati accademici e rettori, per ultima la rettrice dell’Università statale di Milano, cedendo alla violenza e alla piazza, hanno deciso, venendo meno ai propri compiti civili e educativi, di interrompere la collaborazione con le università israeliane. Neppure all’epoca della guerra del Vietnam al più feroce antimperialista è mai venuto in mente di chiedere la rottura dei rapporti con le università americane.
Ma constatate queste miserie, no, non si respira nessuna “aria di piombo”. Non c’è in atto nessuna guerra civile. La storia d’Italia ne ha conosciute almeno tre. La cosiddetta “Guerra al brigantaggio” tra il 1861 e il 1865, combattuta dall’esercito piemontese regio contro le popolazioni meridionali ribelli e deluse dall’unificazione, che provocò decine di migliaia di morti. La seconda è quella del Biennio rosso/nero 1919-21, con qualche migliaio di morti e che aprì la strada al fascismo. La terza si combatte tra il 1943 e il 1945 tra la Repubblica sociale italiana e il Movimento di resistenza: i caduti da ambo le parti sono decine di migliaia. Si può parlare di guerra civile nel corso degli anni ’70? Le BR, Prima Linea, Ordine nero, Ordine Nuovo, Terza posizione – cioè i gruppi terroristici di sinistra e di destra – hanno tentato di provocarla. Hanno ucciso alcune centinaia di persone. Ma la guerra civile non è esplosa.
Perché dovrebbe incominciarne ora una quarta?
Ciò che sta incominciando in questi mesi non è una guerra civile, ma una normale, democratica e gridata battaglia elettorale.
Qui si riaffacciano i nostri: Meloni, Schlein, Conte, Salvini, Vannacci, i quali hanno tutti come problema principale quello di portare gli elettori alle urne.
Le statistiche delle ultime tornate elettorali amministrative, regionali e politiche segnalano un calo verticale, che sta scendendo sotto il 50 per cento. È così vero che nell’ambito delle discussioni sulla nuova legge elettorale “condenda” pare delinearsi un accordo bipartisan per far partire il premio di maggioranza già dal 40 per cento, eventualmente raggiunto da una coalizione. Perduta la speranza di convogliare alle urne la maggioranza degli elettori, si punta su minoranze ipermotivate, sui fan da stadio, sugli estremisti. In fondo, ai partiti interessano più i seggi che gli elettori. E il numero dei seggi a disposizione della spartizione democratica tra partiti è costante, sia che al voto vadano 50 milioni di elettori sia che ci vadano solo 25 milioni o anche meno. La fanatizzazione dello scontro e gli insulti tra Giorgia Meloni e Elly Schlein hanno a che fare, più con la guerra civile, con il tentativo di scaldare le platee social-digitali dei fan in vista dei prossimi scontri elettorali.
Certo, l’estremismo verbale, oltre ad eccitare pericolosamente all’azione violenta qualche individuo, sottoproduce effetti negativi sulla tenuta della società civile. In America un mix estremo di calvinismo letteralista – la Bibbia è la sola fonte del sapere e del diritto; la legislazione americana dovrebbe ispirarsi direttamente ai testi giuridici dell’Antico Testamento, inclusa la pena di morte per gli omosessuali – di cattolicesimo conservatore, di carismatismo, di pentecostalismo, di ricostruzionismo cristiano sta accendendo violenti bagliori nella società civile.
Ma nell’Italia secolarizzata e cinicamente senza fedi le correnti del cristianesimo fondamentalista e carismatico non si spingono fin là.
In Italia gli effetti negativi della fanatizzazione sono piuttosto altri due: quello di allontanare dalla politica e dalle urne la maggioranza silenziosa degli elettori e quello di frammentare lo spirito pubblico. Frammentazione significa il ripiegamento corporativo dei gruppi sociali e di fasce generazionali specifiche. Gli addetti la chiamano “pillarizzazione”: un processo di segmentazione verticale, nel quale ciascun gruppo crea il proprio pilastro – the pillar – culturale, politico, informativo e associativo, fino a trasformarlo in una bolla. I social sono un potente fattore moltiplicativo di questa dinamica, che aggrega microgruppi e disgrega la società civile. Il ricorso all’estremismo verbale da parte dei leader di partito segnala un’impotenza profonda della politica a fornire qualche ordinamento di senso alle dinamiche plurali e conflittuali della società civile. I partiti e la politica sono sempre stati elementi di differenziazione democratica, ma anche di costruzione di senso per la società civile nel suo complesso. Se questa viene meno, anche la “Nazione” frana. Verso quale destino? Verso un futuro di colonizzazione da parte di potenze politiche e economiche globali. Il nazionalismo sovranista funziona qui solo come scudo retorico.
Immagine di copertina: un minuto di silenzio in memoria di Charlie Kirk al raduno di Pontida, il 21 settembre 2025. (Foto di Alessandro Bremec / NurPhoto via AFP)


