“Sono pronto a incontrare chiunque, anche Zelensky”. Con queste parole, Vladimir Putin ha lasciato intendere una possibile apertura al dialogo con l’Ucraina – ma solo “nella fase finale” dei negoziati. A Kyiv e nelle capitali occidentali, però, prevale lo scetticismo. L’ultima proposta del Cremlino – tra le condizioni: disarmo, nuove elezioni e cessione dei territori occupati – è stata respinta dall’Ucraina perché irricevibile. Nel frattempo, Mosca ha intensificato la pressione militare: martedì scorso ha lanciato oltre 440 droni e 32 missili, in uno degli attacchi più violenti dall’inizio del conflitto.
In questo scenario, Reset DOC ha incontrato lo storico Yaroslav Hrytsak a margine dell’evento La questione ebraica in Ucraina: tra propaganda e realtà storica, organizzato da Associazione Boristene, il 18 giugno al Memoriale della Shoah di Milano. Con lui abbiamo parlato di situazione militare, impasse diplomatica, sostegno occidentale e prospettive di pace.
I negoziati sono in stallo. L’ultima offerta russa è stata giudicata irricevibile da Kyiv. Eppure Putin insiste sulla via diplomatica. Come valuta la situazione?
I negoziati in tempo di guerra hanno senso, ma è difficile che quelli di quest’anno portino a risultati concreti. Le posizioni restano troppo distanti. L’Ucraina ha un bisogno urgente di pace, ma non a qualsiasi condizione. Deve essere una pace sostenibile – e questo significa avere più forza o garanzie solide di sicurezza. Finora non abbiamo visto né l’una né le altre, né da Mosca né dall’Occidente.
Putin parla solo la lingua della forza. In questo momento considera l’Ucraina debole, l’Europa debole e l’Occidente ancor più fragile a causa dell’influenza di Trump. Questo lo spinge ad andare avanti, a continuare a strappare territori. Finché l’Ucraina non rafforzerà davvero la propria posizione, una pace duratura resterà fuori portata.
Che tipo di garanzie servirebbero per una pace “sostenibile”?
Bisogna agire su due piani: quello immediato e quello di lungo periodo. Questa è una guerra di logoramento, e si vince con le risorse. Per quanto determinata, l’Ucraina non può battere da sola una Russia che ha tre o quattro volte più risorse. Ma con l’appoggio occidentale, la Russia non ha possibilità: il suo PIL è simile a quello dell’Italia – non dell’intera Unione Europea o degli Stati Uniti.
Nel breve periodo, dobbiamo costruire capacità militare-industriale sul nostro territorio. Non possiamo più dipendere solo dagli aiuti esterni: dobbiamo produrre armi e sistemi di difesa in casa. Ma per farlo, serve protezione dal cielo. Almeno una parte del Paese – idealmente l’Ucraina occidentale – va messa al riparo da missili e droni russi. Quelle aree diventerebbero basi logistiche ed economiche fondamentali. Ma senza copertura aerea, qualsiasi infrastruttura rischia di essere spazzata via.
Questa proposta – sostenuta anche da Zelensky, dal premier britannico Keir Starmer e discussa da leader come Scholz e Macron – è nota come “coalizione dei volenterosi” o “modello danese”. Attenzione: non significa solo ricevere armi dall’Europa, ma costruire un’industria bellica ucraina finanziata con fondi europei. Sarebbe più economico, ma soprattutto più duraturo.
E guardando al lungo periodo?
Serve un salto di qualità: l’Occidente – comunque lo si definisca, al di là del ruolo americano – deve diventare una vera unione di sicurezza, non solo politica ed economica. Potrebbe assumere diverse forme: la NATO, un’UE riformata o una nuova alleanza ristretta con Londra e parte dell’Unione. La sua forma dipenderà da come finirà la guerra.
Per l’Occidente, l’Ucraina non è un problema, ma una risorsa. Abbiamo il più grande esercito in Europa e abbiamo resistito a un’invasione su vasta scala da parte di Mosca. Ma soprattutto, abbiamo esperienza reale sul campo – qualcosa che nessun altro Paese europeo può vantare.
Crede che Trump vi sosterrà?
Più conosciamo Trump, meno fiducia abbiamo. In Ucraina si dice che sia una pecora travestita da lupo: forte con i deboli, debole con i forti. Finora è stato morbido sia con Putin che con Netanyahu. E poiché (erroneamente) ci considera deboli, pensa di poterci ignorare a piacimento. Il rischio è che ci abbandoni.
La grande domanda ora è se l’Europa riuscirà a colmare l’eventuale vuoto lasciato dagli Stati Uniti. Se ne parla, ma una risposta concreta ancora non c’è.
Quali sono le vostre priorità militari oggi?
Due cose sono fondamentali. Primo, i sistemi di difesa aerea Patriot – che solo gli Stati Uniti o Paesi come la Germania possono fornire, ma con l’autorizzazione di Washington. Secondo, l’intelligence satellitare, altrettanto cruciale. Se queste due esigenze venissero coperte, crediamo che il resto – armamenti, forniture, persino la produzione – potremmo gestirlo con l’aiuto europeo o con risorse interne.
Per ora, abbiamo i mezzi per resistere fino alla fine del 2025, forse anche oltre. Ma più in là, nessuno può dirlo.
Come reagisce oggi l’opinione pubblica ucraina?
Gli ucraini vogliono che la guerra finisca, questo è evidente. Ma sta crescendo la consapevolezza che potrebbe durare ancora a lungo. Ci saranno forse negoziati o una tregua, ma finché Putin resterà al potere – ossessionato com’è dall’Ucraina – la minaccia continuerà. Che sia guerra convenzionale, fredda o ibrida, poco cambia.
La stanchezza è profonda. Ma nessuno vuole una pace che legittimi, secondo il diritto internazionale, l’occupazione russa della Crimea o del Donbas. Pensiamo che il regime di Putin prima o poi crollerà. Fino ad allora, potremmo tollerare temporaneamente l’occupazione di alcuni territori – ma non li riconosceremo mai ufficialmente.
Putin vuole un cambio di leadership a Kyiv. Se si votasse oggi, Zelensky vincerebbe?
Sì, batterebbe chiunque, tranne forse una persona: il generale Valerii Zaluzhnyi, ex comandante in capo delle forze armate e oggi ambasciatore nel Regno Unito. È più popolare dello stesso Zelensky, ma non è chiaro se intenda entrare in politica.
A parte questo, Zelensky vincerebbe. Detto ciò, il punto non è chi vincerebbe, ma quando si vota. Gli ucraini non vogliono elezioni durante la guerra: le vedono come un rischio suicida. Vogliono votare, sì – e probabilmente rinnovare la classe dirigente – ma solo dopo la pace.
E qual è oggi il suo livello di consenso?
C’è una consapevolezza diffusa: andare al voto ora dividerebbe il Paese, danneggerebbe l’unità nazionale e indebolirebbe la resistenza. Zelensky continua a ricoprire il suo ruolo. È il volto dell’Ucraina, ma l’Ucraina va ben oltre la sua figura. Le opinioni sul suo operato sono variegate, ma su alcune questioni fondamentali il sostegno resta solido.
Quel che non è chiaro è se lui voglia ricandidarsi. Dopo tre anni da presidente in guerra, sempre in prima linea, dev’essere esausto. C’è un detto che circola: Zelensky sta interpretando il ruolo di Churchill. E cosa successe a Churchill dopo la guerra? Perse le elezioni. Noi gli auguriamo di guidare il Paese fino alla vittoria, ma non necessariamente di essere il presidente della pace.
In passato ha detto che tornare ai confini del 1991 è ormai irrealistico. Quale compromesso sarebbe accettabile per l’Ucraina senza sacrificare la sovranità?
Il cambiamento più profondo nell’opinione pubblica è questo: oggi, molti ucraini riconoscono che nemmeno i confini del 2022 sono più realistici. In un modo o nell’altro, dovremo rinunciare – almeno temporaneamente – al controllo di parte dei territori occupati. Non vediamo alternative.
In Ucraina si discutono tre scenari. Il primo è quello russo: una resa. Cessione di territori, esercito ridotto, ritorno nell’orbita di Mosca. È respinto da tutti. Il secondo è lo scenario americano, legato a Trump: negoziare una pace che riconosca Crimea e Donbas alla Russia. Anche questo è inaccettabile. Il terzo è lo scenario europeo: un compromesso che preveda la temporanea perdita di controllo su alcune aree, ma accompagnato da negoziati credibili e, soprattutto, garanzie forti e vincolanti.