Litvinenko: un assassinio ‘probably’ su ordine di Putin

Il Corriere della Sera ha in apertura la foto di un migrante nel gelo di una stazione ferroviaria: “Ipotesi di chiusura delle frontiere. Schengen rischia”, “L’offensiva di Berlino”.

Il titolo in grande evidenza più in basso: “Draghi rassicura le Borse”, “La Bce non esclude nuove misure a marzo. Milano risale del 4,2%, balzo Mps del 43%”, “E il presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem: l’Italia non è un problema”.

Sul tema, le parole di Else Konig, presidente del Consiglio di risoluzione dell’unione bancaria: “’Le vostre banche al riparo’”.

Poi il commento dei Maria Teresa Meli: “Renzi, affondo su Juncker”, “Verso l’incontro con Merkel”.

L’editoriale è firmato da Alberto Alesina: “I compiti di Bruxelles e i nostri”.

A centro pagina la foto dell’ex agente dei servizi segreti russi Alexander Litvinenko, dopo le conclusioni della commissione d’inchiesta del governo inglese: “Avvelenato con il polonio, ‘Putin disse sì, probabilmente’”.

Sulla politica italiana: “Lite nel Pd sui posti ai verdiniani. Delitto stradale, governo battuto”.

E un’intervista al ministro dell’Interno Angelino Alfano: “’Riforme, noi indispensabili’”.

La Repubblica: “Draghi: ‘La Bce pronta a tutto’. Le Borse volano”, “Gli interventi a marzo, solide le banche italiane. Europa, spunta l’ipotesi dello stop a Schengen”.

“Il salvagente di Francoforte” è il titolo del commento di Fernando Giugliano.

Di fianco, foto della vedova di Litvinenko, che ieri ha tenuto una conferenza stampa. Mostra il rapporto della commissione di inchiesta britannica: “’Putin dietro la morte di Litvinenko’. Cameron accusa, l’ira del Cremlino”.

Su questo tema le analisi di Roberto Toscano (“Avviso a Mosca”) e di Paolo Garimberti (“Lo zar oscuro”).

Sulla colonna a sinistra, la “la polemica”: “Senato, ai verdiniani tra vicepresidenze. Sinistra pd in rivolta”.

E la rubrica “il punto” di Stefano Folli: “Il sentiero dell’ambiguità”.

In prima anche la lettera dell’ex sindaco di Roma Ignazio Marino: “Marino: premier ipocrita, alle primarie non ci sarò”.

A fondo pagina: “Ustica, un film svela le bugie dei francesi”, di Anais Ginori.

E la corrispondenza da New York di Federico Rampini: “Apple, l’ultima sfida si gioca a Napoli”, “Al via scuola per 600 giovani”.

Di spalla a destra: “C’era una volta la Bella e la Bestia”, “Gli antropologi scoprono che l’origine delle favole risale a 6mila anni fa”, di Marino Niola.

La Stampa: “L’Ue mette sotto esame le frontiere”, “Ecco il piano per creare l’agenzia che valuterà come gli Stati gestiscono i confini esterni. L’addio a Schengen costerebbe 28 miliardi”, “Draghi annuncia nuove politiche monetarie e le Borse volano: Milano +4,2%”.

Il quotidiano ha oggi un’intervista con l’ex presidente del Consiglio Mario Monti: “Monti attacca il premier: ‘Dice frasi da bar sporto’”, “Il senatore: l’aggressività non serve, al massimo produce consensi in casa”.

Di fianco: “Le spine di Renzi”, “Scoppia il caso Verdini: ‘Ora è in maggioranza’”, “Insorgono minoranza Pd e Forza Italia. Sondaggio: crescono i no al referendum”.

E l’editoriale di Emanuele Felice su governo e riforme: “La crescita passa dall’istruzione”.

A centro pagina: “Caso Litvinenko, Londra accusa Putin”, “La spia russa avvelenata. L’ira di Mosca: barzellette”.

Ne scrive Federico Varese, che ha seguito il processo: “Quell’intreccio tra politica, misteri e dolori privati”.

In prima la foto di Sofia Loren ieri al funerale di Ettore Scola: “Le lacrime di Sofia per Scola”.

Poi “il caso”: “Anonymous? Era la bufala di un dj di Aosta”, “denunciato informatico di 29 anni: inventò il falso attacco di Isis a Firenze, ‘Mi hanno manipolato’”.

Il Fatto: “Mps mentiva mentre chiedeva 10 miliardi ai risparmiatori”, “Conti ritoccati. Solo i pm hanno smascherato il trucco sul derivato miliardario”, “La banca registrava come buoni del Tesoro i derivati utilizzati per nascondere le perdite, facendo così sembrare l’istituto più solido per gli aumenti del capitale”.

Il titolo di maggiore evidenza, con foto di un abbraccio tra Matteo Renzi e Denis Verdini: “Verdini gli salva la schiforma e Renzi gli regala tre poltrone”, “Voto di scambio. Decisivo per distruggere la Costituzione, Denis va all’incasso”, “Eva Longo, Pietro Langella e Giuseppe Compagnone, passati con Ala, diventano vicepresidenti di commissioni di peso a Palazzo Madama: Finanze, Bilancio e Difesa. Ma per il premier ‘non sono in maggioranza’”.

Sul caso banca Etruria: “Il Csm riprocessa Rossi: non disse nulla su Boschi”.

E le parole di Mario Saporito, che nel 2008 era socio del padre del ministro Boschi: “’Macché ‘ndrine, Papà Riforme mi ha rovinato’”, dice, intervistato dal quotidiano.

E a questo è dedicato l’editoriale del direttore Marco Travaglio: “Babbino caro”.

A centro pagina anche la foto del pm Ilda Boccassini: “Expo e mafia, inchiesta segreta della Boccassini”, “’Cosche negli appalti’ Milano”.

 

Draghi, Banche

Il Corriere della Sera, pagina 2: “L’intervento di Draghi: misure a marzo”, “Il presidente Bce: alle banche non serve nuovo capitale. Milano, rialzo del 4,2%. ‘Pronti a riconsiderare la nostra politica monetaria’. Su le Borse europee”.

E l’analisi di Danilo Taino: “Il ritorno di SuperMario e le due opzioni in gioco: giù i tassi sui depositi e spinta all’acquisto di titoli”.

A pagine 3, sul consiglio di risoluzione dell’unione bancaria, presieduto dall’economista tedesca Elke Koig: “Gli arbirtri del credito non muovono contro Mps”.

Il Corriere della Sera intervista il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem: “’L’Italia non è un problema ma parte della soluzione’”, “Cerchiamo di fare progressi per rendere l’unione bancaria europea più forte e più profonda”, “Mettere in ordine le banche in tutti i Paesi è una necessità, non possiamo rimandarla”, “Il bail-in è l’elemento chiave per l’Unione bancaria”.

Anche La Stampa offre ai lettori un colloquio con Dijsselbloem: “Dijsselbloem diventa colomba, ‘Italia è il momento di collaborare”, “Il presidente dell’Eurogruppo: ‘Sono un fan di Renzi. Ma alcune richieste creano disequilibrio in Europa’”.

Il Fatto: “Solo Draghi fa rifiatare Piazza Affari. Ma della bad bank non c’è traccia”, “La Bce promette interventi a marzo, Monte dei Paschi rimbalza del 43%”.

E l’analisi di Diego Valiante, capo dell’unità mercati finanziari e istituzioni del Center for European Policy Studies: “Il caos Borsa è colpa nostra: anni di polvere celata sotto il tappeto”, “L’Italia dice sì al bail-in in Europa senza nessun vincolo sulla creazione della protezione finanziaria comune”, “I governi non hanno cercato alleanze in Europa per predisporre un vero sistema di salvataggio dei gruppi in crisi”.

Poi il focus su Mps: “Il derivato occulto: ecco la bugia di Mps ai mercati”, “Il Fatto scoprì un buco nei bilanci 3 anni fa, ma la banca ha continuato ad abbellire i conti con un trucco (ora scoperto dai pm) chiedendo 10 miliardi ai soci”. Ad “accendere il faro” sui conti Mps, spiega il quotidiano, è la Procura di Milano. Ne scrivono Antonio Massari e Marco Palombi.

La Stampa, pagina 4: “Draghi: ‘Interventi senza limiti’. Le Borse ripartono: Milano +4,2%”, “La Bce rassicura: banche italiane solide. Da rivedere la nostra politica monetaria. A New York il barile torna sopra i 20 dollari al barile col maggior rialzo da tre mesi”.

In basso, Stefano Lepri, sul “personaggio2 Draghi: “Le 7 settimane di Super Mario per dimostrare il tocco magico”, “Entro marzo l’Eurotower dovrà centrare l’obiettivo di far salire l’inflazione”.

La Repubblica: “Draghi rianima i mercati, ‘Pronti a misure in marzo, niente richieste a banche’”, “’Non ci arrendiamo. E per gli istituti italiani i patrimoni sono nella media europea’. Milano recupera: più 4,2%”.

Di fianco, l’analisi di Fernando Giugliano: “Ma dopo il flop di dicembre la sfida è rispettare le attese”, “E’ in gioco la credibilità dell’Eurotower. Draghi ieri ha dichiarato che tutto il consiglio direttivo, Wiedmann compreso, è d’accordo sulle nuove misure espansive. Va confermato con i fatti”.

In basso, intervista ad Angel Gurria, segretario generale dell’Ocse, che dice: “’Non esiste un caso Italia, ora serve uno sforzo in più’”, “Le banche soffrono per le turbolenze dei mercati, ma è normale: chi si ricorda più dei sobbalzi dello scorso agosto”.

E a pagina 8: “Bad bank, accelerata per l’accordo”, “Oggi incontro a Bruxelles sulle questioni tecniche con Tesoro e Banca d’Italia. Forse già nel fine settimana vertice politico conclusivo. Schaeuble: il bail in si è deciso insieme, le regole vanno rispettate”.

E un articolo di Andrea Greco: “Ecco il piano del Tesoro per liberare gli istituti dai crediti in sofferenza”, “Bad bank garantita dalle cartolarizzazioni. Pronti 50 miliardi di fondi e il rischio si riduce a quello dei Btp”, “Ogni gruppo potrà creare una o più società per smaltire i prestiti che i clienti non ripagano più”.

A pagina 10: “Mps rimbalza: più 43%. Renzi: ‘Chiunque verrà farà un ottimo affare’”, “Il premier: ‘Spero che arrivi un italiano’. Padoan: ‘La banca è sana e ha forte liquidità, deve rafforzarsi’”.

Il quotidiano intervista l’ex presidente di Mps Alessandro Profumo: “’Roma ha sottovalutato l’impatto delle regole Ue’”; Profumo “contesta il modo in cui sono passate le nuove norme sui salvataggi bancari”.

Su La Stampa: “Il crollo di Mps deciso a tavolino da tre fondi speculativi americani”, “Renzi: ‘Banca risanata, ora è un ottimo affare comprarla’”. Ne scrive da Siena Gianluca Paolucci.

Sulla stessa pagina il “retroscena” di Francesco Manacorda, inviato a Davos: “Fmi in missione a Roma. Nel mirino le sofferenze delle banche italiane”, “Gli ispettori chiedono informazioni sui prestiti. Vertice Ue sulla bad bank. Il premier: troppo tardi”.

 

Litvinenko

Su La Repubblica, pagina 2: “La verità di Londra: ‘La morte di Litvinenko fu omicidio di Stato e forse Putin dette l’ok’”, “Dieci anni dopo l’avvelenamento dell’ex agente. La vedova: ‘Ora sanzioni contro il Cremlino’”.

Su La Stampa, pagina 14: “’Litvinenko ucciso su ordine di Putin’. I giudici britannici accusano lo Zar”, “Il rapporto sulla morte della spia: gli oligarchi temevano parlasse di mafia-potere. Cameron: omicidio di Stato, linea più dura con Mosca. Il Cremlino: una barzelletta”. Ne scrive Anna Zafesova, riferendo le parole contenute nel rapporto di 329 pagine della commissione guidata da Sir Robert Owen, che ha raccolto 60 testimonianze: Litvinenko è stato ucciso “da un’operazione dell’Fsb, probabilmente approvata dal suo capo Nikolaj Patruschev, e anche dal presidente Putin”. Il rapporto, scrive Zafesova, raccoglie i molteplici legami dell’agente russo, tra spie triplogiochiste, oligarchi in fuga, mafia russa, dissidenti, guerriglieri ceceni e generali dell’ex Kgb. “Ci sono voluti dieci anni e più di 60 testimoni per capire -scrive- quale di queste piste ha portato Litvinenko a morire nel novembre 2006 dopo aver bevuto un tè al polonio in un bar di Mayfari, in compagnia di due russi, Lugovoi e Dmitri Kovtun. Erano anche loro ex operativi dell’Fsb, guidato prima da Putin e poi dal suo fedelissimo Nikolai Patrushev. I due uomini sono già stati incriminati da Londra, ma Mosca si è rifiutata di estradarli (Lugovoi nel frattempo è diventato deputato della Duma, e ieri ha liquidato il rapporto come una ‘nuova prova della posizione antirussa degli inglesi’). I motivi per cui i servizi russi si sarebbero decisi a un’operazione così ardita sono numerosi. Litvinenko aveva accusato Putin ai aver ordinato le stragi a Mosca nel 1999, attribuite ai ceceni, e di aver cercato di uccidere Boris Berezovsky (in seguito morto suicida), l’oligarca fuggito a Londra sul cui libro paga Litvinenko figurava da più di 10 anni”. Litvinenko avrebbe anche rivelato che Romano Prodi e Ayman Al Zawahiri fossero “uomini del Kgb”. Secondo Litvinenko Putin aveva avuto solide connessioni con la cosca di Tambov, attiva a Pietroburgo negli anni ’90, quando l’attuale presidente era vicesindaco. Ed è a questa pista che i giudici britannici hanno dato particolare rilievo: Ltvinenko stava per recarsi dai magistrati spagnoli che indagavano sul boss di Tambov Ghennady Petrov.

Il Corriere della Sera dedica al caso le pagine 18 e 19. “Omicidi Litvinenko, Londra accusa Putin”, “L’eliminazione col polonio dell’ex agente del Kgb compiuta ‘probabilmente’ su ordine del Cremlino. Il governo britannico convoca l’ambasciatore russo. La vedova Marina reclama nuove sanzioni”, scrive da Londra Fabio Cavalera. Che firma anche “Anatomia di un delitto”, dove si ricostruiscono le vicende dei due accusati Lugovoj e Kovtun, dal loro scalo a Heathrow (con famiglia) al veleno versato nel tè.

Su La Repubblica Nicola Lombardozzi, da Mosca, intervista “il presunto assassino” Lugovoj, che dice: “’Io un killer? Un’inchiesta ridicola, montatura politica’”. “E la Russia lo celebra”, scrive Lombardozzi sottolineando che le accuse, in patria, gli hanno portato fortuna: è stato eletto con percentuali da record alle politiche del 2007 e poi a quelle del 2011, è il più autorevole deputato del partito liberaldemocratico di Zhirinovsky, nonché membro della commissione parlamentare per la Sicurezza. Ha condotto poi una serie tv sulla rete ‘Zvezda’, gestita dal ministero della Difesa. Che si chiama “Traditori”. Gli è stata disegnata addosso su misura, racconta le storie vere di disertori e spie inseguite e catturate all’estero in era sovietica dal Kgb. “Dove sono le prove?”, dice Lugovoj. “Vogliono attaccare il Cremlino”, spiega.

A pagina 4 ne scrive Paolo Garimberti: “Il lato oscuro dello Zar. Da Magnitskij a Nemtsov, una lunga scia di delitti misteriosi”.

E in basso un’intervista allo scrittore Frederick Forsyth: “L’omicidio era un messaggio agli altri Servizi”, “Litvinenko parlava troppo, così gli hanno chiuso la bocca”.

“Avviso a Mosca”, è il titolo di un’analisi di Roberto Toscano che inizia in prima su La Repubblica. Le conclusioni della commissione d’inchiesta britannica, secondo cui il delitto è stato “probabilmente” autorizzato dal capo dell’Fsb Patrushev e dallo steso Putin -scrive Toscano- sono “abbastanza scontate, se si pensa che un criminale comune non potrebbe certo procurarsi una sostanza che viene prodotta nei reattori nucleari e che il Fsb aveva molte ragioni per eliminare Litvinenko, un ‘traditore’ che, fuggito in Gran Bretagna nel 2000, non aveva smesso di accusare il regime putiniano per l’assassinio della giornalista Politkovskaya, attribuendogli anche connivenze con la grande criminalità russa a livello internazionale”. Per quel che riguarda Putin, “il ‘probabilmente’ del rapporto della commissione d’inchiesta dice o troppo o troppo poco, nel senso che non vi sarà mai un modo di provare un’accusa del genere”. Ma la notizia non è irrilevante se guardata nel contesto attuale: dopo il colpo di mano dell’annessione della Crimea, Putin era parso in difficoltà “di fronte al prezzo da pagare per il suo unilateralismo armato”, troppo alto perché contrastava con la sua ambizione “ad esser riconosciuto soprattutto da Washington come essenziale interlocutore a livello politico-diplomatico”. Poi la Siria ha offerto a Putin l’occasione di uscire dall’angolo: ma la riapertura del caso Litvinenko viene a ricordare che, “nonostante l’abilità politico-diplomatica dimostrata da Putin”, la via per il riconoscimento come autorevole interlocutore “resta ancora accidentata”. E Toscano sottolinea che può esser “ legittimo perseguire l’interesse nazionale, ma a condizione del rispetto delle regole internazionali”.

Su Il Fatto se ne occupa Leonardo Cohen, ricostruendo le fasi dell’inchiesta. “Certo -scrive Cohen- Litvinenko era in fondo un pesce piccolo’, spiega Owen (il giudice, ndr.), ma stava stringendo relazioni con tanti altri dissidenti russi e sapeva abbastanza per compromettere i dirigenti del regime legati alla mafia. E’ stato ucciso per dare un segnale agli altri ‘nemici del potere russo’, ha concluso il giudice, che pure ha avuto le sue gatte da pelare nel portare avanti e concludere la sua inchiesta. Perché nell’establishment dei servizi britannici e del Foreign Office non era molto gradita la possibilità di riacutizzare lo scontro con Mosca. Ecco la ragione del ‘probably’”. Il premier Cameron ha detto: “la sentenza sull’assassinio di Litvinenko conferma quello in cui abbiamo sempre creduto: si è trattato di un omicidio commissionato da uno Stato”. Cohen si chiede poi cosa accadrà, anche perché in Medio Oriente inglesi e russi sono alleati nella lotta all’Isis. E propende per l’ipotesi che non succederà granché.

Sul Corriere Fabrizio Dragosei, corrispondente da Mosca, scrive: “Mosca minaccia ed è furiosa. Ma ha bisogno dell’Occidente”.

Su La Stampa: “Quegli intercci di 007 e oligarchi che impediscono una vera rottura”, “a Londra 150mila ricchi espatriati. E i russi sono indispensabili per la pace in Siria”, scrive Lucia Sgueglia.

 

Tunisia

Sul Corriere Francesco Battistini, inviato a Kasserine, racconta “la seconda rivolta dei tunisini”. “Stavolta parte dalla città islamista”, “Senza lavoro, i ragazzi tornano in strada a Kasserine, patria di 6 mila foreign fighters”, che si trova in una delle regioni più povere della Tunisia, con la disoccupazione al 70%. E si trova ai piedi del monte Chambi, dove si addestrano molti dei jihadisti pronti a partire per Libia o Siria.

Su La Repubblica ne scrive, anche lui da Kasserine, Giampiero Caladanu: “Tra i giovani di Kasserine, ‘Tradite le promesse, ora un’altra Primavera araba’”, “Cinque anni dopo la caduta di Ben Ali, la morte di Ridha ha provocato nuove tensioni nella città culla della rivolta. Il sogno è un lavoto dignitoso. Il governo ha garantito nuovi impieghi, ma nessuno ci crede. ‘Perché dovremmo dire no all’Isis?’”.

 

Usa

Su La Stampa: “L’ex capo del Pentagono Gates, ‘Obama non ha capito l’Isis’”, “Sottovalutato l’effetto psicologico degli attentati in Occidente”. E’ Francesco Semprini a scriverne da New York, dando conto delle dichiarazioni di Gates nel corso di un incontro del Council on Foreign Relations.

 

Libia

“Modello curdi per Misurata. Milizie come forza anti-isis”, “La città è la maggior potenza in Libia: le forze occidentali sul posto a supporto”. A scriverne è Rolla Scollari, che focalizza l’attenzione sulle milizie di Misurata, che hanno avuto un ruolo di primo piano nella conquista di Tripoli nel 2011: ancora oggi Misurata si sente custode dell’ideologia rivoluzionaria e non ha deposto le armi.

Libano

Su La Stampa Giordano Stabile si occupa di Libano, dopo la decisione dell’ex generale Geagea di appoggiare la candidatura di Michel Aoun: “Arci-nemici nuovi alleati in Libano”.

Kenya

Francesca Paci su La Stampa riferisce che è morto Salah Farah, “il musulmano che difese in cristiani su un bus in Kenya”. Era stato ferito dagli Shabab a dicembre: fece da scudo ai cristiani a bordo del suo pullman quando i killer provarono a separare i passeggeri musulmani dagli “infedeli” per giustiziarli. “Gli abbiamo chiesto di ucciderci tutti o di lasciarci in pace”, aveva raccontato.

Kippah

Sul Corriere Bernard Henry-Lévy interviene sul dibattito nato dall’invito del Consiglio israelitico di Marsiglia a non portate la kippah (era stato aggredito un insegnante che la indossava): “Kippah, simbolo eterno. Proteggiamo chi la indossa”, “L’intera società francese si è sentita testimone dell’antico dilemma tra il comandamento ebraico di coprirsi il capo e quello di pensare a salvaguardare la propria vita quando i ‘pogromisti’ tirano fuori i coltelli”, “Un pezzo di stoffa è stato elevato al rango di totem di una Repubblica stanca di sé”.

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