Un ‘frozen conflict’ in Ucraina:
resa alla Russia o male minore?

Da Reset-Dialogues on Civilizations

I “conflitti congelati” nell’ex URSS

L’accordo su un cessate il fuoco permanente in Ucraina orientale ha indotto diversi commentatori a prefigurare lo scenario di un possibile frozen conflict. Nello spazio post-sovietico, si intende per conflitti congelati l’affermazione di repubbliche non riconosciute, sorte in territori e regioni autonome di diversi paesi dell’ex URSS a seguito di brevi conflitti armati. Ne esistono oggi quattro, articolati in diverse forme statuali: la Transnistria in Moldavia, l’Abkhazia e l’Ossezia Meridionale in Georgia, il Nagorno-Karabah in Azerbaijan. Queste entità non riconosciute sono accomunate dal sostegno diretto o indiretto della Federazione Russa, per la quale assolvono un compito strategico: ostacolano eventuali integrazioni degli stati in cui si trovano nelle strutture istituzionali euro-atlantiche.

Mosca basa tale strategia sull’assunto che la NATO non si allargherà a paesi che non esercitano piena sovranità sul loro territorio. Infatti, nel caso tali paesi entrassero nell’Alleanza Atlantica, il persistente rischio dell’evoluzione di un conflitto congelato in un conflitto vero e proprio – con un eventuale coinvolgimento di truppe russe a “difesa delle minoranze” – aprirebbe alla possibilità di un confronto diretto fra NATO e Russia. Un rischio che, scommette Mosca, la NATO preferirebbe evitare.

Ripetere lo schema?

L’eventualità dell’evoluzione del conflitto in Ucraina orientale in un conflitto congelato potrebbe costituire dunque per la Russia il raggiungimento di un obiettivo strategico, cioè una disarticolazione territoriale dell’Ucraina volta a garantire alle province pro-russe una sorta di diritto di veto sulle scelte di politica estera del governo di Kiev. Non avendo raggiunto l’obiettivo attarverso la proposta di una riforma costituzionale dell’Ucraina in senso federale, l’opzione di un frozen conflict potrebbe essere diventata per Mosca quella più desiderabile. Una repubblica nelle province dell’est ucraino dotata di statualità verrebbedifficilmente riconosciuta dall’Occidente e da Kiev, ma sarebbe sufficiente ad impedire un ingresso dell’Ucraina nella NATO – perlomeno nella sua attuale configurazione territoriale. Qualora l’Ucraina volesse continuare a perseguire una politica di integrazione con l’Occidente, finirebbe con il dover riconoscere de iure la repubblica separatista e rinunciare ufficialmente ad una considerevole quantità di territorio. In caso contrario, sarà costretta a rinunciare ad ambizioni di integrazione europea o atlantica finchè non avrà riguadagnato la sovranità sulle province separatiste. Ma come si è visto, Mosca ha la capacità e la volontà di scongiurare questo evento attraverso l’uso della forza.

Sulla base dell’esempio della Transnistria nel 1992, per creare un’entità di fatto in Ucraina orientale sarebbe sufficiente un cessate il fuoco permanente. Tuttavia, rispetto agli altri conflitti congelati, l’Ucraina rimane un caso specifico che presenta significativi elementi di rischio. Ad esempio, la Transnistria è dotata di confini naturali rispetto alla Moldavia, e di un’omogeneità etno-linguistica slava che la distingue dal territorio ad ovest del fiume Dnestr controllato dal governo di Chisinau. Del pari, i confini regionali dell’Abkhazia e dell’Ossezia Meridionale sono sempre stati chiari. Nel caso ucraino, la frontiera della cosidetta Novorossija – il nome dato alla nuova entità dai separatisti – sarebbe molto meno definita dal punto di vista amministrativo, storico, etnico o linguistico. In altre parole, la definizione di tale confine è semplicemente il frutto di operazioni militari, con il risultato che le parti in causa continuerebbero ad avere incentivi per riaccendere il conflitto. Soprattutto considerando che tali parti potrebbero diventare più di due, nel caso in cui dalla confusione dei processi politici in atto emergano milizie irregolari potenzialmente fuori dal controllo dei governi – riconosciuti e non.

Il male minore?

L’ipotesi della stabilizzazione della crisi ucraina verso un frozen conflict presenta grossi pericoli. Come già accennato, una repubblica non riconosciuta si articolerebbe lungo una frontiera mobile che potrebbe essere causa di ulteriore instabilità in futuro. Come altre repubbliche non riconosciute, potrebbe trasformarsi in un crocevia di traffici illegali, aspetto decisamente preoccupante viste le potenziali dimensioni della Novorossija rispetto alle altre piccole e isolate repubbliche non riconosciute. Certificherebbe inoltre l’impotenza dell’Occidente di fronte ai disegni revisionisti di altri potenze del sistema internazionale, con effetti su altri quadranti geopolitici.

Eppure le alternative rischiano di essere meno attraenti dell’ennesimo conflitto congelato. I paesi occidentali potrebbero sostenere l’Ucraina con la fornitura di armamenti per aiutare Kiev a riguadagnare le province separatiste. Tuttavia, l’Occidente – e l’Ucraina – hanno già sottostimato la determinazione della Russia, e le conseguenze di nuovi calcoli erronei potrebbero essere serie. Inoltre, data la complessità della situazione sul campo, non è escluso che tali armamenti possano finire nelle mani di milizie irregolari, o usati contro civili.

Dunque, considerando che l’Ucraina riveste un’importanza strategica discutibile per USA ed europei, l’ipotesi di un conflitto congelato – che risolva almeno per il breve periodo la questione dei limiti dell’allargamento NATO e UE – potrebbe risultare meno inaccettabile di quanto appaia.

Marco Giuli è Research Fellow, Madariaga – College of Europe Foundation

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