Ucraina tra logoramento e diplomazia: il costo umano della guerra

“L’altra notte il cielo è diventato completamente rosso, era da un po’ di tempo che non succedeva. Abbiamo avuto veramente paura”, racconta Tatiana, ex guida turistica di Kyiv, che per l’ennesima volta negli ultimi tre anni è stata svegliata dalle esplosioni. “Siamo comunque fortunati rispetto a chi vive a ridosso della linea del fronte, ma dall’inizio di questa guerra nessuno ha più dormito – dice – quasi tutte le notti ci svegliamo con il rumore delle sirene, anche se non ci rifugiamo più in metropolitana ad aspettare che passi”.

Tatiana abita al quinto piano di una delle centinaia di palazzine a ridosso del parco Holosiivskyi, a sud della capitale ucraina, e con lei e il marito vive anche la madre anziana, che fatica a camminare: “Portarla fuori in piena notte fino alla fermata più vicina significa farle fare almeno cinquecento, seicento metri. Ci vogliono più di venti minuti, e un attacco sarebbe certamente più veloce. E se poi suona di nuovo l’allarme, dopo un’ora bisogna ricominciare da capo. Abbiamo deciso che è meglio restare a casa, ci allontaniamo dalle finestre e ci sistemiamo nel corridoio”.

L’anno scorso un missile ha centrato un palazzo vicino a quello dove abita Tatiana, e le schegge si sono propagate per centinaia di metri, andando a colpire tanti altri palazzi vicini. Alcuni ne portano ancora le tracce, perché al posto delle finestre hanno pannelli di compensato e teli di plastica. “A volte è solo fortuna – sottolinea la donna – ma non si può fare a meno di continuare a vivere, e così andiamo avanti. Io non mi sono mai spostata da qui, ma altri amici e colleghi sono partiti, alcuni hanno poi deciso di tornare perché è passato troppo tempo, i soldi sono finiti, il desiderio di essere a casa si è fatto impellenza”.

La notte fra il 24 e il 25 aprile Kyiv è finita di nuovo sotto un pesante attacco di missili e droni, costato la vita a 12 persone, con 90 feriti. Una strage, dopo quella di Sumy della Domenica delle Palme, arrivata in un momento molto delicato per il futuro dell’Ucraina, fra i piani di cessate il fuoco annunciati e non rispettati e ora una nuova “tregua umanitaria” promessa dalla Russia per il prossimo ottantesimo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale, dall’8 all’11 maggio. Pochi giorni dopo, nella notte fra il 30 aprile e il primo maggio, c’è stata anche la firma dell’accordo per la “creazione di un fondo comune per la ricostruzione” fra il governo ucraino e gli Stati Uniti, noto come “accordo sulle terre rare”, che darà a Washington un accesso privilegiato agli investimenti nel Paese, oltre alla condivisione dei profitti derivati dallo sfruttamento dei giacimenti di alluminio, grafite, petrolio e gas, in cambio di nuovi aiuti militari.

Nel frattempo gli attacchi non si sono fermati, e a poche ore da quell’accordo che ristabilisce un allineamento fra Kyiv e gli Stati Uniti dopo settimane di tensione, è stata colpita nuovamente anche Odessa.

“È una condizione difficile da accettare per noi – racconta padre Vladymr, giovane pastore della locale chiesa luterana di San Paolo – è una guerra che non avremmo mai voluto, e che fino all’ultimo abbiamo sperato che non cominciasse. A tre anni di distanza la gente comincia ad avere molti problemi legati al conflitto, perché in quasi tutte le famiglie c’è un parente al fronte o che è pronto a partire e aspetta solo la chiamata, e in tanti sono stati costretti a lasciare le proprie case e a fuggire da quelle che oggi sono zone occupate. Qui in città ma anche nella regione di Odessa abbiamo accolto migliaia di sfollati che non sanno se mai potranno tornare indietro, ed è una condizione estremamente frustrante”.

La sua chiesa ha da poco organizzato un incontro fra le rappresentanze delle diverse fedi religiose presenti in città e il comitato delle madri dei soldati al fronte, una delle tante organizzazioni nate spontaneamente in questi anni dalla necessità di confrontarsi e confortarsi in una situazione che accomuna moltissime famiglie.

Anche padre Roman Megianiv, cappellano militare appena rientrato dal fronte ha partecipato, per portare la sua testimonianza diretta di cosa si viva in prima linea. “Abbiamo soldati che riescono ancora a guardare avanti con speranza e che tengono il morale alto, complici anche i loro superiori che sono in grado di motivarli – racconta – ma purtroppo sono sempre più frequenti anche i casi di depressione e a volte di tendenze suicidarie. Non accade frequentemente, ma è un fenomeno che esiste, e che ci fa capire le difficoltà che questi giovani affrontano giorno dopo giorno, rischiando la vita in un conflitto che sta diventando una guerra di logoramento. Noi cerchiamo di supportarli spiritualmente, perché a volte c’è più bisogno di una parola di conforto che di una razione in più di cibo. E lo stesso vale per queste madri che aspettano a casa, o in un centro per sfollati, spesso per settimane, senza ricevere notizie”.

Secondo fonti ufficiali ucraine, i soldati morti dall’inizio dell’invasione russa su larga scala sono stati 46mila, e oltre 380mila i feriti, ai quali si aggiungono le decine di migliaia di militari, presumibilmente catturati in battaglia nei territori oggi sotto occupazione, dei quali si sono perse completamente le tracce e non si conosce la sorte. Fonti indipendenti non governative parlano di numeri ancora più alti fra le vittime militari ucraine, almeno 70mila. Di certo, in ogni cimitero, da quello del più piccolo villaggio rurale a quello della grande città, si possono scorgere quasi ogni giorno nuove bandiere gialle e blu, e corone di fiori freschi deposte su tumuli di terra appena smossa.

Sul fronte russo, il sito indipendente Mediazona, in collaborazione con BBC Russian Service, ha confermato l’identità di oltre 101mila soldati morti nel conflitto in Ucraina.

“La guerra è cambiata rispetto all’inizio, quando la Russia ha dispiegato colonne di mezzi militari spesso obsoleti – spiega Inna (nome di fantasia), ucraina di adozione ma russa di nascita, volontaria e fondatrice di una scuola per l’infanzia che negli ultimi tre anni è diventata anche un centro di prima accoglienza per famiglie sfollate e minori soli – ormai viene gestito quasi tutto da remoto con i droni, e si è in grado di colpire su distanze lunghissime con grande precisione. Arrivare nelle città, in qualunque momento e posto, sia a ridosso dei territori occupati che in luoghi molto lontani, anche dall’altra parte del Paese, è diventata una strategia per terrorizzare la popolazione, fiaccarne la resistenza mentale e renderla più incline ad accettare una pace a qualsiasi costo, anche se dovesse vanificare tutti i sacrifici compiuti finora in termini di vite umane, di feriti, di distruzione del nostro paese.”

Inna si considera ucraina e ora sta cercando di ottenere la cittadinanza, dato che il padre era nato qui: “Non posso rivolgermi ai canali ufficiali, perché se entrassi in un’ambasciata russa, in qualsiasi Paese, con tutta probabilità sarei arrestata per tradimento”.

Dall’inizio del conflitto ha partecipato a numerose missioni a seguito dell’esercito e di diverse organizzazioni umanitarie; ha portato aiuti e viveri fino alle zone del fronte, anche con la sua macchina, ha incontrato gli sfollati sin da quando Zaporizhzha accoglieva gli abitanti di una Mariupol sotto assedio ma non ancora occupata. A Kharkiv ha incontrato gli ultimi abitanti rimasti a pochi chilometri dal fronte, quando la città stava per finire in mano russa, nel 2022, e raccolto le storie di chi da mesi viveva sottoterra negli scantinati delle scuole, con bambini e animali domestici a seguito.

“A Bakhmut, nel 2023, sono riuscita con altri volontari a entrare nella città poco prima che cadesse in mano russa, e a portare via i bambini che vivevano in un seminterrato da quasi un anno. Erano in condizioni indescrivibili. Abbiamo guidato sotto il tiro dei cecchini, eppure, anche se era pericoloso, avevi la possibilità di farcela. Oggi, con l’uso massiccio dei droni comandati semplicemente con un joystick, non sarebbe nemmeno pensabile percorrere le stesse strade e uscirne vivi. Probabilmente nel giro di qualche anno spariranno anche le front line, e le guerre si combatteranno completamente così, grazie alla tecnologia. È uno scenario spaventoso perché ci sarà meno contezza dei danni, ma molte più vittime.”
Inna è preoccupata, come tutti, dei prossimi sviluppi di questo conflitto. “L’ingresso in campo di Trump ha reso tutto più complicato: un giorno sembra voler continuare a sostenere l’Ucraina, quello dopo si riavvicina alla Russia. La verità è che senza il supporto internazionale non abbiamo possibilità di vincere, è triste ammetterlo ma sarebbe da visionari pensare il contrario. Il punto è cosa dovremmo sacrificare per averlo? Le nostre risorse agli Stati Uniti, dei territori occupati con la forza alla Russia? Nel mentre, l’Europa non riesce a imporre una sua posizione netta e compatta, e quindi è tutto in mano all’America, sembra quasi di essere tornati a qualche decennio fa. Ma il mondo nel frattempo è completamente cambiato. Cosa succederà non so dirlo, noi andiamo avanti: il prossimo fine settimana partiamo per Slovjansk, accompagno un medico fisioterapista dai soldati al fronte, li aiuterà”.

 

 

Immagine di copertina: il memoriale per i caduti in Piazza Indipendenza a Kyiv, in Ucraina. Foto di Ilaria Romano, tutti i diritti di riproduzione sono riservati.

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