LA BELLA CONFUSIONE

Oscar Iarussi

Giornalista e scrittore, in libreria con "Amarcord Fellini. L'alfabeto di Federico" (Il Mulino ed., 2020)

Pasolini lo straniero. Note sul film di Abel Ferrara

Il lascito di Pier Paolo Pasolini nel corso del tempo, a quasi quarant’anni dal suo omicidio nella notte fra l’1 e il 2 novembre 1975 (aveva 53 anni), ha subìto dapprima una rimozione feroce e quindi una paradossale edulcorazione. La figura del poeta è stata via via metabolizzata e trasformata in un’icona pop, un “santino” buono per ogni stagione. Oggi Pasolini è gradito persino alla destra che lo odiò, perché tardivamente ha intravisto nella sua “nostalgia” una dimensione culturale per certi aspetti familiare. Non che a sinistra il Nostro fosse mai stato a suo agio, considerando i rapporti tumultuosi con il Pci. La Federazione comunista di Pordenone, cui era iscritto nel dopoguerra, lo espulse nel 1949 per “indegnità morale” attribuita alla sua omosessualità, ma anche dovuta “alle deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide e Sartre”. Pasolini laconico rispose: “Malgrado voi, resto e resterò comunista, nel senso più autentico di questa parola”.

Tuttavia, a petto della lenta “assimilazione” nella cultura italiana, egli fu e permane un corpo estraneo, sidereo, una luce aliena o una “forza del passato”, irriducibile al suo tempo e al nostro. Fa testo Poesia in forma di rosa (1964): “Giro per la Tuscolana come un pazzo,/ per l’Appia come un cane senza padrone./ O guardo i crepuscoli, le mattine / su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo, / come i primi atti della Dopostoria, / cui io assisto, per privilegio d’anagrafe, / dall’orlo estremo di qualche età sepolta”.

Il Pasolini eretico, corsaro o luterano, straniero talora finanche a se stesso, riluce nel film che Abel Ferrara gli ha dedicato, protagonista Willem Dafoe, ieri in concorso a Venezia e dal 25 settembre nelle sale. Il regista newyorchese, l’“italiano del Bronx” di opere “maledette” sul peccato, la redenzione e i vincoli di sangue (Il cattivo tenente, Fratelli, Mary) si concentra sulle ultime ventiquattr’ore del protagonista. Nel suo Pasolini, sceneggiato con Maurizio Braucci (Gomorra, Reality, L’intervallo), Ferrara racconta gli incontri, le interviste, i legami, le passioni, il lavoro dello scrittore e regista. In quei giorni Pasolini attendeva sia al romanzo Petrolio, apparso postumo nel 1992, sia alla sceneggiatura di Porno-Teo-Kolossal, in cui avrebbero dovuto recitare Eduardo De Filippo e Ninetto Davoli, ed era reduce da una presentazione a Stoccolma del film-shock Salò o le 120 giornate di Sodoma.

Il diritto allo scandalo rivendicato nell’opera di Ferrara corrisponde alla frase evangelica Necesse est enim ut veniant scandala (Matteo 18, 7), cioè all’opportunità di creare un inciampo nelle situazioni stagnanti. Pasolini tenacemente assunse posizioni controcorrente  sulla scuola, l’omologazione televisiva e la fine della civiltà contadina, il ’68 dei “figli di papà”, il Palazzo e la Dc per cui invocò il “processo”… L’approccio era tanto metaforico quanto concreto, come se davvero egli guardasse alla “terra vista dalla luna”, titolo di un suo breve film. Ed è la prospettiva “celeste” che Ferrara radicalizza anche grazie ai personaggi di contorno, soprattutto Ninetto Davoli (Epifanio) e Riccardo Scamarcio il quale interpreta Ninetto Davoli affiancandolo!

In tal senso, il fatto che Willem Dafoe si esprima in inglese è un vantaggio e non un handicap, anzi, diventa il suggello della distanza di Pier Paolo dal contesto familiare, colto e borghese. Dafoe parla italiano soltanto con Pino Pelosi, il ragazzo di vita che all’idroscalo di Ostia uccide Pasolini insieme ad alcuni complici (una “verità politica” e non processuale). Siamo alle battute finali, poco prima della tragedia scandita da Una voce poco fa di Rossini cantata da Maria Callas. Eccolo, Pasolini. E’ a terra, colpito, umiliato, sanguinante. Quando alza il capo nell’ultimo gesto vitale somiglia al Cristo di Dafoe nel film di Scorsese del 1988, mentre la macchina da presa si innalza come nella celebre sequenza finale di Mamma Roma ispirata al Cristo morto di Andrea Mantegna. Intanto le immagini dell’Eur con la monumentale vuotezza del “Colosseo quadrato” (il Palazzo della Civiltà italiana) e le nuvole immote in un cielo metafisico congiurano per alludere all‘apocalisse di un istante.

Allora, in quell’istante, l’Italia diventò un altro paese, forse un altro mondo: più povero di voce critica, quasi afono, sebbene a volte cerchi di autoassolversi celebrando i poeti del passato. Il film di Ferrara stride, rimane diverso da questo paese, perciò è un omaggio autentico a Pasolini, alla sua pugnace solitudine: “E poiché il mondo non è più necessario a me, io non sono più necessario”.

Articolo apparso sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” del 5 settembre 2014

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