Ecco l’Italia dell’analfabetismo religioso, dove la diffidenza nasce dall’ignoranza

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Due canonizzazioni nella stessa giornata; due Papi sullo stesso sagrato e circa 800mila fedeli accorsi a presenziare l’evento. Roma capitale della spiritualità, eppure la religione in Italia è cosa per pochi. Ce lo dicono i numeri: i dati del “Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia”, realizzato dalla Fondazione per le Scienze Religiose Giovanni XXIII e presentato settimana scorsa nella Capitale, proprio sulla scia del forte entusiasmo e fervore che hanno accompagnato la celebrazione dei due nuovi Santi della Chiesa di Roma.

Curato dallo storico  Alberto Melloni, ordinario di storia del cristianesimo all’Università di Modena-Reggio Emilia, con il contributo di una trentina di studiosi nel settore, lo studio edito da Il Mulino è un’analisi completa, e complessa, della situazione italiana su un tema che da tempo anima dibattiti non soltanto politici, come nel caso della famosa controversia sul crocifisso nei luoghi pubblici e sull’insegnamento della religione nelle scuole. Discussioni che diventano sterili quando si scontrano con una realtà, quella raccontata dal testo in questione, fatta di ignoranza, innanzitutto nei confronti del cristianesimo e del cattolicesimo.

In questo, i numeri sono impietosi: un italiano su 4 (il 26,4%) è convinto che la Bibbia sia stata scritta da Mosè, mentre il 20,4% ritiene che l’autore sia stato Gesù. Il 51,2%  non sa chi ha dettato i dieci comandamenti, mentre solo il 14,3% conosce il sesto (“Non commettere atti impuri”). Un’ignoranza specifica che si intreccia con un’ignoranza molto più ampia, quella che porta a non conoscere la religione di Primo Levi (nel 39% dei casi) o a non aver mai sentito parlare di Martin Lutero (si va dal 49,5% del nord-est al 66, 3% del sud Italia). Eppure, soltanto il 15% degli italiani si dichiara ateo o non credente, mentre il 55% è interessato all’insegnamento di altre religioni e il 63,2 dice di essere favorevole all’apertura di moschee o altri luogo di culto.

Dov’è finito dunque quel 79% di cattolici che dovrebbe conoscere l’abc del proprio credo? In quella sorta di limbo che monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, ha definito nel corso della presentazione “fede light”, cioè un “frutto amaro ma evidente di un sentimento religioso che poggia su tracce cristiane infantilistiche, anche nel linguaggio e nelle immagini”. Un infantilismo che, così, non permette di “formarsi e di avere una coscienza critica e una sensibilità capace di capire e di apprezzare le differenze, senza demonizzarle né volerle necessariamente omologare”. Passaggio indispensabile, questo, per una società multirazziale e plurale.

Secondo l’ultimo Dossier statistico immigrazione 2013 (ne avevamo già parlato su qui su Reset) sono poco più di cinque milioni gli stranieri residenti in Italia, la metà di questi di religione cristiana, ma solo 960mila (circa) cattolici; il resto è composto da islamici, ebrei, induisti, buddhisti e da 215mila non appartenenti a nessun credo. E il paesaggio culturale oggi sotto gli occhi di tutti, spiega nell’introduzione il professor Melloni, è quello di un paese dove, oltre all’ignoranza statisticamente rilevabile verso la propria fede di origine, emerge “la superficialità con la quale si leggono le fedi estranee al proprio immaginario infantile”. La questione in questo caso diventa sociale e si unisce a quella del tanto decantato pluralismo. Com’è possibile, infatti, di fronte alla sostanziale ignoranza nei confronti della propria religione di provenienza, comprendere quelle altrui?

“Anche quella fascia colta – prosegue Melloni – che non confonde corvi e cornacchie in uscita dall’arca di Noè, incespica in disortografie e vere e proprie dislessie intellettuali quando si trova davanti a questioni più urgenti, come ad esempio un attentato islamista in una città europea o l’elezione di un nuovo papa”. E qui alcuni esempi tirano in ballo l’informazione, co-responsabile di quell’infantilismo di cui parlava monsignor Galantino.

“Prima che la stampa italiana, leggendo qualcosina del Corano, comunicasse che il testo sacro fa distinzione fra il grande e il piccolo jihad (di solito declinato al femminile, nelle lingue che hanno in quel genere la guerra) – scrive ancora il professor Melloni – sono dovuti passare molti mesi dagli attentati alle torri gemelle del 2001: mesi nei quali l’identificazione del terrorismo islamista con l’islam ha potuto seminare esattamente quello che gli autori degli attentati volevano piantare”.

Quel seme della diffidenza e del pregiudizio passa anche attraverso l’uso di termini in modo inappropriato come, sempre nel caso dell’Islam, l’identificazione della “sharia” con il diritto musulmano e del jihad con la guerra santa. Perché nel primo caso, sottolinea Massimo Campanini, a Roma per la presentazione del Rapporto, si dovrebbe usare la parola “fiqh, il fondamento rivelato del diritto musulmano”, perché la sharia non è un corpus di diritto, ma “ha valore anche di guida etica, morale e comportamentale del credente”. Allo stesso modo il jihad, grande o piccolo che sia, “è lo sforzo sulla via di Dio, può avere delle dimensioni belliche, ma non necessariamente sulla via delle armi, e può anche essere uno sforzo personale, come il pellegrinaggio alla Mecca”. Troppe semplificazioni, quando si parla di religione o di questioni ad essa legate, non aiutano la conoscenza e contribuiscono all’analfabetismo tout court, una piaga non meno grave.

“L’analfabetismo religioso italiano non è l’unico di cui ci si dovrebbe preoccupare, ma non è per questo di scarso peso in una società complessa. Esso non nasce dal nulla”, prosegue Melloni, ma dipende fortemente dalla scuola, o meglio dalla politica della scuola, dalle sue mancanze, dalle sue riforme, con la riduzione della classica “ora” a insegnamento della religione cattolica (“anche se è noto a tutti che il cattolicesimo non è una religione, nemmeno nella propria autodefinizione, ma se mai una confessione appartenente al cristianesimo come esperienza di fede”), con l’abolizione della facoltà di Teologia, e da “un laicismo sciocco (che credeva di espungere così l’oscurantismo dalla società escludendone la madre dalle università) e un clericalismo cieco (che pensava di migliorare la qualità del clero monopolizzando nei seminari una preparazione più devota e meno intellettuale)”. Un problema ancora più spinoso in un Paese come l’Italia che per la sua posizione geografica è ponte dal Mediterraneo verso l’Europa, e prima tappa dei suoi processi migratori. Ancora una volta, dunque, per una questione di grandi numeri, quando si parla di religione e di analfabetismo religioso si pensa all’Islam e a quegli “analfabeti a caccia di simboli” che generano e disseminano diffidenze e paure che hanno conseguenze sulla percezione del reale.

Vai a www.resetdoc.org

  1. Non vedo come conoscere meglio l’islam lo renderebbe meno pericoloso. Del resto, l’articolo si apre ntando come molti non conoscono neppure la propria di religione. Dunque conta come viene declinata nella pratica, non cosa vorrebbe dire in teoria. E comunque, la jihad violenta è senza alcun dubbio una possibilità.

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