Staffetta nel governo, testimone a Renzi?

Il Corriere della Sera: “Letta resiste ma il governo Renzi è vicino”. “Sfida finale, oggi l’incontro tra i due leader. Napolitano: ora la parola spetta al Pd”. “Ore drammatiche. Ora il sindaco punta a Palazzo Chigi. Il Presidente del Consiglio può dimettersi o chiedere al Partito Democratico di pronunciarsi”.

A centro pagina, con foto, Bernard Henry Levy a Kiev con i manifestanti ucraini: “Grazie Kiev perché sogni l’Europa. Il messaggio del filosofo ai manifestanti ucraini”. E’ il discorso al “popolo della Maidan” prounciato da HenryLevy

A fianco si parla della inchiesta della Procura di Napoli, un nuovo filone di inchiesta sulla presunta compravendita di paramentari: “L’accusa: incarichi o soldi a dieci parlamentari da Berlusconi premier”.

 

La Repubblica: “Renzi premier, sfida finale con Letta”, “Napolitano: decida il Pd. Il presidente del Consiglio: mi dovete sfiduciare”. A centro pagina, con foto: “Nadia, suicida a 14a nni per le offese e l’odio del web”.

La Stampa: “Letta-Renzi, lo scontro finale”. Sotto la testata: “Piemonte, si torna al voto, respinto il ricorso di Cota”.

Il Fatto: “Arriva il governo Renzi. Ma Letta chi lo caccia?”.

L’Unità sintetizza così la situazione: “Letta non cede, Renzi nemmeno”, e spiega che “il segretario anticipa a domani la verifica nel Pd: ‘Il governo ha le batterie scariche, decideremo se cambiarle o ricaricarle’”. “Il premier: pronto un piano per convincere i partiti”. “Italicum rinviato”. Una buona parte della prima è dedicata ai 90 anni del quotidiano, con supplemento allegato e intervento in prima pagina del Presidente Napolitano (“Pagine di democrazia”).

 

Il Giornale: “Non ridono più”. Ci si riferisce a “Letta & Alfano”, raffigurati in prima pagina mentre si danno la mano. “Fallito il piano anti-Berlusconi del Colle e del governo dei traditori. Renzi (senza entusiasmo) verso Palazzo Chigi da ‘nominato’”. A centro pagina si torna sul Presidente Napolitano e le rivelazioni sull’estate 2011, con un articolo di Vittorio Feltri: “Prove o sospetti, Napolitano deve lasciare”.

 

Il Sole 24 Ore apre con l’audizione di Janet Yellen al Congresso Usa. La neopresidente ha confermato la linea Bernanke, scrive il quotidiano: “’La Fed aiuterà la crescita’. Graduale riduzione degli stimoli ma priorità ai dati del lavoro Usa”. Di spalla: “Governo, staffetta più vicina. Renzi ‘vede’ Palazzo Chigi”. “Letta all’ultimo confronto: ho le mie proposte”.

 

Governo

 

Matteo Renzi dovrebbe scegliere la “strada meno vantaggiosa per lui”. Lo dice il deputato renziano Matteo Richetti, intervistato da Corriere della Sera. Il deputato, definito “fedelissimo del sindaco”, dice: “Certo che Matteo rischia di rompersi l’osso del collo. Ma se vuole fare un servizio al Paese deve scegliere la strada meno vantaggiosa per lui”. Il governo Letta “non ha ridotto il gap con le famiglie, i lavoratori, le imprese”, “serve una fase nuova”. Potrebbe ancora provarci Letta: “Gli è stato chiesto un cambio di passo e non è riuscito a trovarlo”. Se Letta resistesse si andrebbe allo scontro in Direzione? “A quel punto ci sarebbe un confronto tra il premier e il Paese. Ma mi auguro che si arrivi a una condivisione preventiva”. Cosa ha sbagliato Letta: “C’è stato un eccessivo uso della decretazione” e difficoltà nell’impostare provvedimenti che “aggredissero davvero i temi della burocrazia”. Come può Renzi fare quello che non ha fatto Letta? “Spero in questi mesi sia maturata in altre forze la disponibilità ad affrontare i cambiamenti. Penso a Sinistra Ecologia e Libertà”, “mi auguro che in una fase 2 possa esserci un loro coinvolgimento” ma anche ai parlamentari 5 Stelle che “sono entrati in Parlamento per cambiare le cose” e potrebbero “avere l’opportunità di farlo nel nuovo governo”. Berlusconi invece rimarrà all’opposizione, anche se “naturalmente sulla legge elettorale e sulle riforme istituzionali il coinvolgimnto sarà totale”.

Su La Repubblica si scrive che “Una maggioranza più ampia punta su Matteo al senato, ma Sel rischia la scissione”. In 30 sarebbero pronti a sostenere il nuovo governo. Scrive Tommaso Ciriaco: “sulla carta, una staffetta dem a Palazzo Chigi garantirebbe al segretario numeri solidissimi. Ancora più consistenti di quelli conquistati da Enrico Letta. In ballo, infatti, c’è un nuovo e prezioso bottino di voti: quelli di Sel -o di una pattuglia consistente del partito di Nichi Vendola- ma anche alcuni cinquestelle esasperati dalla diarchia Grilo-Casaleggio”. Il miglior risultato di Letta è datato 11 dicembre 2013: 173 sì. L’area di un governo Renzi comprenderebbe: 107 senatori Pd, 31 del Ncd di Alfano, 7 di Scelta civica, 12 di “Per l’Italia”, 10 parlamentari del gruppo delle Autonomie, 4 ex M5S (Anitori, Mastrangeli, Gambaro e De Pin), 3 senatori Gal (Scavone e Compagnone, l’ex leghista Davico). Senza dimenticare i cinque senatori a vita (Mario Monti, Renzo Piano, Elena Cattaneo, Carlo Rubbia e Carlo Azeglio Ciampi). E sul fianco sinistro dell’emiciclo si consuma in queste ore un braccio di ferro durissimo, secondo Ciriaco, perché nel partito di Vendola sarebbe in corso uno scontro furioso. Alle pagine seguenti, intervista allo stesso Vendola, che dice: “Non possono chiedere a Sel di governare con Giovanardi”, “se Renzi vuole coinvolgerci deve cambiare lo schema dell’esecutivo, non siamo divisi”. Secondo Il Fatto “Per la squadra di Palazzo Chigi si pensa alla Boldrini ministro”: è “l’esca per pescare Sel”.

Secondo Federico Geremicca, che ne scrive su La Stampa, “Renzi va allo scontro. Ha deciso di puntare il tutto per tutto”, perché “il segretario, calcolati pro e contro, ha ormai rotto gli indugi”.

Secondo La Stampa Letta ha deciso di giocare d’anticipo sulla direzione del Pd convocata per domani per prendere atto dell’esaurimento del governo: “questa mattina incontrerà Matteo Renzi e subito dopo presenterà in conferenza stampa il suo contributo programmatico per rilanciare il governo, un programma che -confidava ieri il premier- ‘ho aspettato a presentare perché così mi chiedeva il partito’” . Ieri sera ai suoi Letta avrebbe detto: “io non resto a tutti i costi, ma deve essere il mio partito a dirmi di lasciare, deve esser il Pd a sfiduciarmi”.

Quanto all’atteggiamento dell’alleato del Nuovo Centrodestra, secondo La Stampa “Alfano accetta la staffetta per allontanare le elezioni”.

Secondo Il Corriere della Sera, che si occupa già della possibile nuova squadra di governo, “il segretario ha già pronti i suoi ministri”. Renzi rimarrebbe segretario del partito, il suo progetto sarebbe quello di un esecutivo “snello” con pochi politici ministri, e dalla squadra il Nuovo Centrodestra uscirebbe “ridimensionata”, non avrà più i ministeri dell’Interno e delle Infrastrutture e non avrà il vicepremier. All’Interno potrebbe andare Del Rio, nel governo potrebbe entrare l’Amministratore Delegato di Luxottica Andrea Guerra, “che di Renzi è buon amico” e che potrebbe andare all’Economia. Ma per questo dicastero si parla anche di Bini Smaghi e Pier Carlo Padoan, o anche di Fabrizio Barca, nome gradito a Sel.

“Gli alfaniani nel panico rischiano di sparire”, scrive Il Giornale in un articolo spiega che i ministri del governo Renzi sarebbero così distribuiti: 10 al Pd, 2 al Ncd, uno di Scelta Civica, uno di Sel. Agli alfaniani andrebbe la Difesa e un ministero minore.

Il Giornale descrive il premier come “alla frutta”, e spiega che oggi Renzi e Letta si incontreranno, e che Renzi proporrebbe all’attuale premier la poltrona di ministro degli esteri del suo governo, “ma tutto dipende da lui”.

 

Governi che furono

 

Massimo D’Alema scrive una lettera al Corriere (“Io dopo Prodi un errore, ma quante menzogne”, il titolo) e ricorda che il governo Prodi cadde non per un appoggio venuto meno dal suo partito ma perché ne uscì Rifondazione Comunista e che nel frattempo aveva già avuto il voto favorevole su alcuni provvedimenti da parte dell’Udr di Cossiga. “Informai Prodi, il quale rifiutò, anche su consiglio dei suoi collaboratori, ritenendo che il governo potesse comunque contare su una maggioranza”, dice D’Alema. “Non era questa la mia convinzione, e purtroppo il governo cadde, sia pure per un voto”. Quel che accadde dopo, racconta D’Alema, è che andò a parlare con Carlo Azeglio Ciampi, per convincerlo ad accettare l’incarico. Ciampi disse di sì, ma il lunedì successivo D’Alema ricevette una telefonata dal Presidente Scalfaro che gli disse che Prodi aveva chiesto di avere per sé un nuovo incarico con un mandato esplorativo. “Scalfaro mi disse che non ci si poteva sottrarre a tale richiesta e Prodi ebbe l’incarico”. A questo punto “Cossiga compì due mosse determinanti”, dice D’Alema: disse no a Prodi e diede una una intervista “contro Ciampi per bruciare ogni possibilità di un suo ritorno in campo”. A questo punto D’Alema fu convocato da Scalfaro, “che era letteralmente furioso”; disse che a suo avviso Prodi voleva l’incarico con l’unico scopo di portare il Paese alle elezioni. “Egli escluse di poterlo consentire”. “O l’Ulivo e il centrosinistra sono in grado di formare un nuovo governo politico con l’appoggio dell’Udr oppure darò al Presidente del Senato l’incarico di formare un governo istituzionale per affrontare la difficile crisi del Paese”. In una successiva riunione, “presieduta da Prodi”, si decise di proporre a Scalfaro il nome di D’Alema. “Io accettai. Fu un errore. Non perché avessi tramato contro qualcuno, al contrario avevo cercato fino all’ultimo di sostenere il governo Prodi. Ma perché avevo sottovalutato l’incomprensione che questa vicenda avrebbe generato nel nostro stesso popolo e il peso di una campagna di delegittimazione che da subito Berlusconi mise in atto”.

 

Sullo stesso quotidiano una intervista a Franco Frattini, con il titolo: “La caduta di Berlusconi non fu un complotto”. “’La maggioranza era sul punto di sfaldarsi. Il Cavaliere compì una scelta alta e giusta, chi la attribuisce ad altri non gli rende onore”. Frattini ricorda che ben prima di novembre, già in estate, la crisi era gravissima, e ricorda l’intervento di Tremonti in Aula a luglio, “diede il senso della drammaticità della situazione”, evocando il Titanic. E Berlusconi, se avesse sospettato manovre del Quirinale, “non si sarebbe mai dimesso”, dice Frattini.

 

La Stampa intervista Fabrizio Cicchitto, ora nel Nuovo Centrodestra di Alfano, ma nel 2011 capogruppo Pdl: “Nel 2011 non ci furono congiure. Monti lo volevamo noi”, “pensavamo a lui per l’Economia”. Dice Cicchitto parlando di quella estate del 2011: “nessuna congiura da parte di Napolitano che, anzi, cercava di tamponare una situazione politica che era in crisi”. Ricorda poi che quella delicata e lunghissima fase politica era iniziata con l’uscita di Fini dal Pdl: una rottura che “provocò un indebolimento di fondo anche se venne tamponata a dicembre 2010 con la sostituzione di Fini con i cosiddetti ‘responsabili’”. Sarebbe convenuto a tutti, anche a Berlusconi, “andare ad elezioni anticipate dopo aver battuto Fini nello scontro in parlamento”. E poi: “Nel contempo fu scatenato l’attacco giudiziario e questo incise sui suoi rapporti internazionali che erano fino a quel momento ottimi. Ci fu prima il caso Noemi e successivamente quello Ruby”. Alle amministrative -spiega ancora Cicchitto- il Pdl prese il ballottaggio a Milano e Napoli. Poi esplose il contrasto sulla politica economica tra Berlusconi e Tremonti: erano così tesi i rapporti che “Tremonti cercava addirittura di impedire che il presidente del Consiglio dialogasse con Draghi che era ancora governatore della Banca d’Italia. A quel punto partì la speculazione internazionale sui nostri titoli di Stato e lo spread schizzò alle stelle”.

 

Piemonte

 

Ieri il Consiglio di Stato ha bocciato il ricorso del Presidente della Regione Cota, che aveva chiesto di sospendere la sentenza del Tar che aveva annullato le elezioni regionali del 2010 e disposto nuove elezioni. “Il Piemonte torna alle urne”, scrive il Corriere della Sera. Già la sentenza del Tar aveva lasciato a Cota solo l’ordinaria amministrazione, e “le possibilità di un salvataggio in zona Cesarini erano minime. A Torino lo sapevano tutti”, e “la campagna elettorale per la sua successione è già iniziata da un pezzo”.

La Stampa intervista Sergio Chiamparino, che ha rassegnato le dimissioni dalla Compagnia di San Paolo per candidarsi alla presidenza della regione Piemonte per il centrosinistra. Chiamparino vuole che vi sia una “lista civica del presidente” perché, spiega, “in Piemonte ci sono 1206 comuni e la stragrande maggioranza dei sindaci dei piccoli comuni governa perché eletto in liste civiche trasversali che non hanno un preciso colore politico”. Della sentenza del Consiglio di Stato sulla giunta Cota dice che quattro anni per arrivare ad una sentenza in materia elettorale “sono davvero tanti. Ci dovrebbe essere una decisione rapida e poi dovrebbe scattare una moratoria per legge”. Ci saranno le primarie? “Io sono in campo e non ho timore di affrontare le primarie purché siano vere, un confronto tra programmi politici e non un modo per contarsi tra partiti e personalità”. Quattro anni fa grillini e No Tav hanno contribuito alla sconfitta del centrosinistra, ha paura di questa offensiva? Chiamparino risponde di non aver paura, ma di essere preoccupato per la forza di questo movimento “che sfrutta una situazione di diffuso malcontento popolare nei confronti della politica”, “credo che il mio compito sia quello di raccogliere quei temi che hanno fondamento per poi costruire un progetto; ma senza rincorrerli sul populismo perché la gente tra la fotocopia e l’originale sceglie sempre l’originale”.

 

Internazionale

 

Su La Repubblica, un articolo sul primo discorso programmatico del nuovo sindaco di New York: “carte d’identità ai clandestini, lo schiaffo di De Blasio ai repubblicani”. “Il sindaco: ‘A tutti i miei concittadini immigrati senza documenti: questa città è anche vostra”. L’impegno di De Blasio arriva proprio mentre al Congresso la destra repubblicana blocca la riforma Obama delle politiche migratorie.

Su La Stampa, ancora attenzione per gli effetti del referendum svizzero sulle quote di immigrazione: “La Ue spegne la luce alla Svizzera”, “Bruxelles congela i dossier: Stop alle trattative sull’elettricità. In bilico Erasmus e partnership sulla ricerca”. Ma nella parte bassa della pagina, il “caso” raccontato da Tonia Mastrobuoni spiega che “il fronte populista adesso alza la voce” e chiede un voto, perché in Austria e Germania si spinge perché vi siano consultazioni sugli stranieri. A chiedere un referendum in Austria è il partito di destra Fpo. Lo stesso accade in Belgio con l’estrema destra della formazione Vlaams Belang. L’olandese Geert Wilders non ha trattenuto l’entusiasmo: “Anche in Olanda dobbiamo limitare l’arrivo degli immigrati. E usciamo dalla Ue!”. Il quotidiano intervista poi il leader del partito indipendentista Ukip britannico, Nigel Farage, che afferma: “Adesso la mia speranza è che l’Italia possa essere la prossima zona cada dell’euroscetticismo”.

Anche sul Sole 24 Ore si racconta della “alta tensione tra Ue e Svizzera”, dove l’Unione “chiede a Berna il rispetto dei trattati”. E anche il quotidiano di Confindustria spiega che ieri Bruxelles ieri ha sospeso i negoziati tecnici in corso sull’import-export di energia elettrica con la confederazione elvetica, aggiunge il quotidiano.

 

Alle pagine R2 de La Repubblica un reportage dalla Repubblica Centrafricana di Rosalba Castelletti: “L’ultimo genocidio”. Il Paese è insanguinato dalla guerra tra cristiani e musulmani, con migliaia di sfollati e morti, “come il Ruanda di 20 anni fa”. E’ “la religione del Machete”: qui una volta convivevano cristiani e musulmani, ma dopo i massacri dei ribelli Seleka è arrivata la vendetta e un violento conflitto settario. Oltre mille i morti in un solo mese, sotto gli occhi inerti dei contingenti internazionali. Con un intervento di Samantha Power, ambasciatrice Isa all’Onu sotto il titolo: “Pieni poteri alle forze di pace per fermare questa barbarie”.

Su La Stampa: “Stretta di mano storica tra Cina e Taiwan”, “A Nanchino primo incontro bilaterale 65 anni dopo la separazione”. Nelle due capitali saranno aperti uffici di rappresentanza per rilanciare le relazioni.

Sulla stessa pagina si racconta poi, in una corrispondenza da New York di Paolo Mastrolilli, la “trionfale accoglienza” del presidente francese Hollande: “Asse Obama-Hollande, ‘Alleanza mai così forte’” (si sintetizzano così le dichiarazioni del presidente Usa). Obama ha evitato la trappola di dichiarare se la Francia abbia superato la Gran Bretagna nelle preferenze degli americani: “Io ho due figlie, le amo nella stessa maniera. Lo stesso vale per i miei straordinari partner europei”. La nuova intesa, dopo il gelo degli anni di Bush e la guerra in Iraq, era cominciata soprattutto con l’intervento in Libia. Quando nell’agosto scorso si è trattato di minacciare l’azione militare contro la Siria, Washington ha trovato Parigi al suo fianco. C’erano invece state tensioni sull’Iran nei giorni scorsi, dopo che la Francia aveva mandato una delegazione di 100 uomini d’affari a discutere della ripresa di accordi commerciali. Obama ieri ha ricordato che le sanzioni contro Teheran sono ancora in vigore. Hollande ha spiegato di aver avvertito le aziende che non si possono siglare contratti fino a quando il problema del nucleare iraniano non sarà risolto.

Su tutti i quotidiani la prima audizione di Janet Yellen ieri al Congresso Usa. Sul Corriere Massimo Gaggi scrive che la neopresidente Fed segue le orme di Bernanke, secondo il giudizio del deputato del Colorado Permutter, che così ha detto in Congresso alla Yellen: “Ho sempre trovato le esposizioni del dottor Bernanke molto acute e rassicuranti. E anche poco eccitanti. Vedo che lei segue le sue orme”. L’audizione è sintetizzata sotto il titolo: “La dottrina Yellen: Fed avanti con gli aiuti”. “La neopresidente: c’è molto da fare per la crescita, nessun pericolo significativo dai mercati emergenti”.

Anche su Il Giornale. “Yellen imita Bernanke: ‘Tassi bassi e aiuti’. E le Borse applaudono”.

 

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