La giornata di Obama (e del Papa)

Il Corriere della Sera: “L’incoraggiamento di Obama all’Italia. Elogio di Napolitano. Il monito sulle spese militari: la libertà non è gratis”. “Il Presidente americano emozionato dal Papa: meraviglioso stare qui. Giudizio positivo sulle riforme di Renzi”. La vignetta di Giannelli mostra Bergoglio che benedice Obama, e Obama che benedice Renzi.

A centro pagina: “La sorpresa dalla Cina: la Banca centrale compra quote di Enel ed Eni”.

 

La Repubblica: “Renzi a Obama: ‘L’Italia taglierà le spese militari’”, “Il presidente americano: l’Europa investa di più nella difesa. Intesa sui compiti della Ue: ora servono crescita e lavoro”.

In taglio centrale: “Appalti e cantieri fantasma, il cerchio magico dell’Expo”.

 

La Stampa: “Obama scommette su Renzi”, “’Sangue fresco, farà bene all’Europa’. Napolitano: ricucire con la Russia”.

Di spalla a destra: “Condannato Scopelliti. Dovrà lasciare la Regione”.

 

Il Fatto: “518 politici vanno dal Papa. Francesco: ‘Via i corrotti’”.

A centro pagina: “Gli F-35 non si toccano: Obama e Napolitano mettono in riga Renzi”

 

Il Sole 24 Ore: “Obama: crescita e lavoro”. “Renzi: sulla difesa rispetteremo gli impegni, ma verificheremo il budget”. Di spalla: “Pechino punta sull’Italia. La Banca centrale sale oltre il 2 per cento in Eni ed Enel”.

 

L’Unità: “Crescita e lavoro, yes we can”.

 

Il Giornale: “Berlusconi apre la campagna. Meno Europa per tutti. Forza Italia si ricompatta attorno al leader: ok a programma e candidati”. E poi: “F35 e Russia, Obama detta la linea a Renzi”.

 

Obama

Massimo Gaggi, sul Corriere della Sera (“L’alto prezzo della fiducia”) scrive che il Presidente Usa, che aveva apprezzato “la competenza e lo stile asciutto” di Monti e di Letta, si è trovato a suo agio anche con “l’esuberanza di Renzi, che ha toccato le corde giuste di un presidente che (…) torna ad occuparsi dell’Europa e dell’Italia”. “Quello dei tagli di bilancio della Difesa sul tavolo del governo Renzi poteva essere un capitolo molto delicato”, anche alla luce del 3 percento di Pil che gli Usa destinano al settore militare, contro l’1 percento dell’Europa. “Ma qui il leader americano ha trovato le garanzie del Presidente Napolitano e l’impegno del governo a spendere meno facendo efficienze, ma senza ridimensionare lo sforzo delle nostre forze armate”.

Sul Sole 24 Ore Stefano Folli (“Una stretta di mano per dare fiducia”) scrive che “queste visite lampo devono essere prese per quello che sono”, perché non comportano “svolte clamorose” e non “risolvono d’incanto” i problemi. “Però sono utili a creare un clima e a comunicare con l’opinione pubblica. Obama era arrivato a Roma per incontrare il Papa, ma Renzi voleva incontrare lui, l’uomo politico a cui desidera tanto assomigliare. Ognuno ha ottenuto ciò che voleva e il premier si sente oggi spalleggiato nel suo confronto a distanza, mediatico assai più che politico, con il severo rigore di marca tedesca”. Poi Folli ricorda che “la vera ragione” del viaggio di Obama era l’incontro con il Papa, e “Obama è apparso realmente rapito dalla personalità carismatica” di Bergoglio; che altro punto che ha segnato la giornata è nel rapporto con il Presidente Napolitano, “il vero interlocutore a Roma” in questi anni per gli Usa, “un vecchio amico” di Obama “la cui funzione istituzionale ai suoi occhi è tutt’altro che conclusa”. Il terzo punto della missione è l’Expo di Milano, perché Obama ha portato la promessa di un padiglione Usa alla Esposizione milanese, una decisione “non scontata” e “l’assenza degli Usa sarebbe stata gravissima”. Infine, sugli F35: “é difficile credere che si voglia trascinare un contenzioso che danneggerebbe di sicuro Roma prima che Washington”, il che significa che “tagli agli sprechi vengono prima della rinuncia a investimenti essenziali” e dunque “la riduzione drastica degli F35 sembra accantonata a favore di un più sobrio ridimensionamento magari accompagnato da pagamenti diluiti nel tempo. In ogni caso nulla che possa incrinare gli impegni nella Alleanza Atlantica”.

 

La Repubblica parla di “intesa” tra Obama e Renzi: “Giusto cambiare l’Europa”. Secondo il quotidiano quel che stava a cuore ad entrambi era la nuova rotta che deve prendere l’Europa: “del resto -scrive Francesco Bei- sono anni che Obama cerca invano di convincere la Merkel a ‘cambiare verso’ e abbandonare le politiche di austerity. Ora a Renzi sembra di aver trovato un alleato dalle spalle larghe per farsi ascoltare, uno con cui fare sponda. Ma certo l’Italia deve fare prima pulizia in casa propria. E il premier italiano snocciola una per una tutte le riforme messe in cantiere in questo mese di governo, dall’abolizione delle province, ‘uno dei passaggi per recuperare credibilità’, alla riforma elettorale, dal taglio dell’Irpef alla spending review. ‘Se avrai successo in Italia – gli dice Obama – questo piano può diventare un modello per l’Europa’. Renzi si accontenterebbe di rendere più credibile la richiesta italiana di un cambio di rotta in Europa”. Secondo Repubblica non vi sarebbe stato alcun riferimento da parte dei due al programma dei cacciabombardieri F35, “eppure gli investimenti militari son l’unica carta che rende credibili, agli occhi americani, le promesse di maggior impegno in politica estera”. Del resto il presidente Usa lo ha detto chiaramente in conferenza stampa: “Il divario tra le nostre spese e quelle europee in seno alla Nato è diventato troppo significativo”, visto che si fa parte di un’alleanza ognuno “deve farsi carico della propria parte di fardello”.

 

Su La Stampa: “Barack-Matteo: ‘Yes we can’”, “Feeling e pacche sulle spalle fra i due leader che hanno puntato la loro agenda sul cambiamento”, “L’energia del premier conquista il leader Usa”, “Renzi senza complessi: ‘Faremo la nostra parte’”, “’Possiamo affrontare gli impegni internazionali’”.

Il Fatto: “Tu vuò fa’ l’americano. Renzi fa la spalla di Mr. President”. E nella pagina di fianco: “Meno gas russo e più F35, le richieste dell’amico Usa”, “Alcuni Paesi Nato spendono poco per la difesa, scaricando il peso su di noi’”.

Secondo Il Fatto il vero appuntamento-clou di Obama è stato quello con il Papa: “Il presidente Usa parla a quattr’occhi per quasi un’ora con il capo dello Stato e poi avverte: ‘Troppo grande il divario di spese per la Difesa tra Stati Uniti e Ue. ‘Se tagliate troppo rischiate di non essere un partner adeguato. Ridurre la dipendenza di gas dalla Russia’. Poi il contentino a Renzi: ‘Mi fido di lui’. Ma il vero clou è con il Pontefice: ‘Meraviglioso averlo incontrato’”.

Su La Repubblica, a proposito dell’incontro con il Papa: “È feeling tra Barack e Bergoglio, ma la sintonia non cancella i contrasti su aborto e nozze gay”. In conferenza stampa Obama ha fatto sapere di aver parlato con Bergoglio del “problema di una globalizzazione tutta squilibrata verso l’alto, a favore dei più ricchi”. Ma il comunicato finale del Vaticano non ha fatto nessuno sconto, spiega il quotidiano, ricordando che la conferenza episcopale Usa è schierata contro la riforma sanitaria di Obama, che inizialmente costringeva i datori di lavoro a comprare per i propri dipendenti assicurazioni inclusive della contraccezione.

“Sua Santità è stato chiaro nella sua visione, su alcune cose sono d’accordo, su altre parzialmente”, ha detto Obama, riferendosi al colloquio con il Papa, che è durato oltre 50 minuti ed ha toccato anche i temi “etici”. Oltre ai 50 minuti, c’è stata anche una “mezz’oretta” di incontro con il Segretario di Stato Parolin, ricorda il Corriere della Sera. Mentre con il Papa si è parlato della “inquietudine per i poveri, gli emarginati e la globalizzazione delle disuguaglianze”, con Parolin Obama ha affrontato questioni che stanno a cuore alla Chiesa cattolica e dunque anche “l’annosa questione legata alla riforma sanitaria”. Ma dal Vaticano precisano che nel colloquio tra Obama e il Papa si è parlato di tutto: “Nessuna distinzione di contenuti, come se avessero una diversa rilevanza”.

Sul Sole un commento del vaticanista Carlo Marroni è titolato: “Con il Papa distanze sui temi etici”, in cui si ricorda che Obama, dopo aver parlato delle parziali divergenze di opinione, ha detto: “Ma non credo che il Papa voglia entrare in partnership con un leader politico, qualsiasi esso sia”. Obama ha anche ricordato che già oggi le organizzazioni no-profit religiose hanno diritto all’obiezione di coscienza sull’Obamacare.

 

Anche il Corriere, come altri quotidiani, dà conto dell’omelia mattiniera del Papa ai parlamentari, ieri, prima dell’incontro con Obama. “I peccatori pentiti sono perdonati. I corrotti no, perché rifiutano di aprirsi all’amore”, ha detto il Papa alla presenza di 518 deputati e senatori, compresi diversi ex . “A citare la frase esatta su Twitter è stato Renato Farina, vaticanista di lungo corso, poi eletto nelle liste del Pdl”- Il Giornale: “La levataccia di 518 politici, il Papa li manda all’inferno”.

In grande evidenza su Il Fatto le parole pronunciate dal Papa. Il quotidiano riproduce integralmente il testo dell’omelia sotto questo titolo: “‘Dio perdona i peccatori, ma i corrotti…no'”.

 

Berlusconi

Su Il Giornale si racconta dell’Ufficio di Presidenza di Forza Italia di ieri: “Conta sfiorata (ed evitata) all’ufficio di presidenza, passa il lodo Fitto che potrà candidarsi a Bruxelles. Alle amministrative tandem con Ncd”. “L’appello di Berlusconi: ‘Noi siamo euroscettici, chi vota Pd vota Schulz’”. La cronaca del quotidiano si apre con il racconto della “idea anti-giornalisti” presa ieri per evitare fughe di notizie: “un apparecchio segnala i telefonini accesi”, Verdini lo segnala a Berlusconi, il quale allarga le braccia e dice ‘per cortesia’ ai 66 membri dell’Ufficio di Presidenza. Berlusconi ha detto che il partito “deve avere una linea euroscettica”, perché “il nostro elettorato è diviso a metà tra chi è no-euro e chi comunque non vuole abbandonare la moneta unica”. Qualche perplessità perchè “la sensazione” è che Berlusconi “spinga per un avvicinamento al Ncd” per le amministrative. Fitto sarà candidato e – se eletto – andrà a Bruxelles.

Anche sul Corriere. “Berlusconi: sì a Fitto. E alza il tiro sul governo”. “Il via libera ai candidati che si dimettono da parlamentari”. Lo slogan per la campagna elettorale sarebbe “Meno Europa in Italia, più Italia in Europa”. Anche il quotidiano milanese racconta dell’intervento di Raffaele Fitto, offeso per “quello che si è detto su di me”, che “avrei lasciato Forza Italia se non fossi stato candidato”, che “voglio correre per fare le scarpe a qualcuno”.

Il Corriere, come Il sole 24 Ore, segnala che ieri il Tribunale di Bari ha deciso che Berlusconi dovrà testimoniare al processo barese nei confronti di Giampaolo Tarantini sulle escort da lui portate nelle residenze dell’ex premier.

 

Riforme, Renzi

In prima pagina su Il Fatto compare oggi l’appello firmato, tra gli altri, da Nadia Urbinati, Gustavo Zagrebelsky, Stefano Rodotà, Lorenza Carlassare sotto il titolo: “La svolta autoritaria”. “Stiamo assistendo impotenti – scrivono – al progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un Parlamento esplicitamente delegittimato dalla sentenza della Corte costituzionale n.1 del 2014, per creare un sistema autoritario che dà al presidente del Consiglio poteri padronali. Con la prospettiva di un monocameralismo e la semplificazione accentratrice dell’ordine amministrativo, l’Italia di Matteo Renzi e di Silvio Berlusconi, cambia faccia mentre la stampa e i cittadini stanno attoniti (o accondiscendenti)a guardare. La responsabilità del Pd è enorme poiché sta consentendo l’attuazione del piano che era di Berlusconi”.

Sul Corriere si dà conto del clima in Parlamento: “’Calendario parlamentare alla mano, da qui alle europee ci sono solo 28 giorni utili… Nemmeno De Gasperi, Moro e Leopoldo Elia insieme potrebbero riformare il Senato in così poco tempo!’. Cinque del pomeriggio, Palazzo Madama. I senatori sciamano verso la buvette e il lettiano Francesco Russo, che tiene nel cassetto un documento con 25 firme contro ‘un Senato dopolavoristico’ scambia battute con Roberto Calderoli. ‘La riforma di Berlusconi era uguale a quella di Renzi e i cittadini la bocciarono’, ammonisce il vicepresidente leghista del Senato. E qui l’ex ministro della Difesa, Mario Mauro, apre l’Ipad e recita Wikipedia, alla voce Referendum costituzionale del 2006: ‘La maggioranza dei votanti ha respinto la riforma… Dovremmo rispettare la loro volontà, non possiamo riproporgliela pari pari. Stiamo attenti a non fare sciocchezze’.

“Il voto sulle Province, dove il governo ha rischiato grosso, ha fatto rialzare la testa ai tanti che, pure nella maggioranza, covano perplessità sul metodo e sul merito. Chi parla (sottovoce) del rischio di una ‘deriva autoritaria’ e chi invita il governo a frenare. ‘Alla riunione del Pd – racconta Corradino Mineo – ho detto a Renzi attento ‘Matteo, che infroci’!”. E il premier? ‘Mi ha risposto ‘non ti preoccupare’”.

 

Il decreto lavoro del governo è all’esame della Commissione Lavoro della Camera, e l’Unità scrive di “rischi e dubbi”, perché diversi parlamentari del Pd, a partire dallo stesso presidente della Commissione Damiano non condividono il provvedimento. “I renziani sono in minoranza”, scrive il quotidiano del Pd. Il ministro Poletti ha incontrato il capogruppo Pd Speranza, “si cerca una mediazione”.

Anche Il Sole 24 Ore scrive che sul decreto lavoro “la minoranza dem chiede modifiche di contrasto alla precarietà che il governo non potrà ignorare”.

“Più in generale, denuncia Forza Italia, si sta riaffacciando un “partito anti-Italicum” il cui obiettivo è quello di rimaneggiare in modo sostanziale il testo votato dalla Camera sulla base dell’intesa Renzi-Berlusconi. Il passaggio a palazzo Madama in seconda lettura della nuova legge elettorale, il decreto Poletti sul lavoro alla prova delle modifiche su contratti a termine e apprendistato in commissione Lavoro alla Camera, e il braccio di ferro che, si prevede, ci sarà sulla riforma del Senato: tre fronti impegnano il governo Renzi. E la prova del fuoco, le elezioni europee, è alle porte”.

Su La Repubblica: “Il Pd si spacca sul Jobs Act di Renzi”, “La sinistra del partito contesta il provvedimento e allo stat attuale mancano i voti per farlo passare. Rischio bocciatura immediata in commissione. Vertice tra il capogruppo Speranza e il ministro Poletti”. Il quotidiano intervista Stefano Fassina, esponente della ‘sinistra Pd’ che, sul decreto lavoro dice: “Strada sbagliata, lo cambieremo in Parlamento”, “Parlerò con Poletti: la durata dei contratti a termine va ridotta a due anni con tre proroghe”.

Su La Stampa: “Decreto lavoro :’Si può discutere ma non stravolgere’”, “Il ministro Poletti risponde alla minoranza Pd”.

 

Su La Repubblica da segnalare un’intervista al presidente dell’Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli. Si parla dei progetti di legge relativi al voto di scambio politico-mafioso. Spiega che il testo in discussione alla Camera “contiene una frase che mi lascia perplesso. Quando si prevede di punire ‘la disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa’ dopo aver indicato tra le colpe ‘l’erogazione o la promessa di erogazione di denaro o qualunque altra utilità’. Un giurista direbbe che c’è un difetto di tipicità”, “Il punto è che parlare di ‘disponibilità’ fa pensare più a uno stato d’animo che a un comportamento specifico. Al di là del discorso teorico, questo rischia di produrre dubbi sul concreto ambito applicativo di questa norma”.

 

La Stampa torna ad occuparsi del “referendum” secessionista veneto che, secondo il leader del comitato Plebiscito.eu, avrebbe visto la partecipazione di oltre 2 milioni di voti: “Voti gonfiati al referendum veneto. ‘Un elettore su 10 collegato dal Cile’”, “L’analisi degli accessi al sito: solo 100mila partecipanti”. A fare i conti sono quattro “contatori” che monitorano il traffico in entrata e in uscita dai siti: Trafficestimate, Calcusta, Semrush e Alexa.

 

Internazionale

Su La Stampa Marta Ottaviani spiega che a tre giorni da un voto amministrativo chiave per la Turchia, la censura si è abbattuta sul web per la seconda volta in una settimana: ieri pomeriggio la Tib, authority per le telecomunicazioni, ha bloccato Youtube. E proprio ieri era comparsa “la più compromettente delle intercettazioni telefoniche pubblicate fino a questo momento”, poiché il ministro degli Esteri Davutoglu, il dirigente dei servizi segreti Findan, il sottosegretario agli Esteri Sinirliogu e il vicecapo di Stato maggiore Gurel, parlavano della creazione di un casus belli contro la Siria. Davutoglu, durante l’intercettazione, dice che il premier islamico-moderato Erdogan considera una guerra contro Damasco “un’opportunità”. Il piano prevedeva l’organizzazione di un attacco alla tomba di Suleyman Shah, nonno del fondatore dell’Impero ottomano il cui luogo di sepoltura si trova in una zona controllata dagli islamisti. L’attacco sarebbe stato addebitato ad Al Qaeda e sarebbe stato il pretesto per invadere la Siria.

Su La Repubblica segnaliamo un’intervista di Marco Ansaldo a Fetullah Gulen: 72 anni, ex imam, vive in autoesilio negli Usa da molti anni: il suo movimento Hizmet è diffuso in 160 Pesi. All’inizio degli anni Duemila la sua alleanza informale con il partito conservatore moderato islamico di Erdogan ha portato all’estromissione dei generali dalle stanze del potere in Turchia. “Dopo averci lodato, adesso di punto in bianco il premier ci considera nemici e ci attacca senza fondamento”, dice Gulen. E spiega, sulla crisi in corso nel proprio Paese: “Noi siamo per la presunzione d’innocenza fino a prova contraria. Tuttavia l’inchiesta sulla corruzione è in corso. Lo Stato mette tutta la sua forza contro i pubblici ministeri e i poliziotti, che non fanno nient’altro che il loro dovere. Allo stesso modo una grande comunità viene messa sotto accusa dai media. Si sta cercando di mettere il potere giudiziario sotto il controllo dell’esecutivo. Forse la soluzione sta nel rispetto della legge, del diritto, dei principi democratici come previsto dai criteri dell’Unione europea, poiché il nostro Paese è candidato alla sua adesione”, “Anni fa avevo detto che sia la Turchia sia l’Europa hanno da dare e ricevere da questa adesione. Non ho cambiato idea”.

 

Anche gli altri quotidiani si occupano anche della “chiusura” ieri in Turchia di Youtube. La decisione, scrive Il Giornale, è stata comunicata ieri dall’Autorità governativa sulle comunicazioni (Tib) agli operatori Gsm e ai server del Paese, dopo la pubblicazione di una intercettazione tra il ministro degli esteri Davutoglu, il capo dei servizi segreti e il vice capo di Stato maggiore che parlano di un possibile intervento in Siria. “Erdogan senza freni, ora chiude pure Youtube”, scrive il quotidiano.

Anche sul Sole 24 Ore “il bavaglio di Erdogan zittisce anche Youtube”, in cui si ricorda che il video – “la cui autenticità è da verificare – conteneva una conversazione in cui si discuteva di eventuali “provocazioni militari per muovere guerra alla Siria”.

 

Su La Stampa, Anna Zafesova si occupa di Ucraina: “Timoshenko si candida e spacca la piazza di Kiev”, “Alle presidenziali affronterà i capi del Maidan, che l’hanno liberata”.

Su La repubblica: “Kiev, la destra assedia il Parlamento”. Un migliaio di simpatizzanti della destra nazionalista ha circondato la Rada chiedendo le dimissioni del ministro dell’Interno, dopo l’uccisione, due giorni fa, di un leader del movimento ‘Pravii Sektor’.

 

In Ungheria si vota il prossimo 6 aprile e se ne occupa Il Sole 24 Ore, secondo cui nel Paese”si fanno sentire le tensioni scatenate dalla crisi in Ucraina”. “La retorica anti occidentale del leader magiaro, con gli ormai consueti attacchi al Fondo monetario, ai ‘poteri forti che vogliono comandare in casa d’altri’ e all’Unione Europea, trova nuova forza nei 10 miliardi di euro che Mosca ha promesso a Budapest per costruire due nuovi reattori nucleari. ‘L’Ungheria non è parte del conflitto’, dice Orban: ‘l’accordo sull’energia nucleare con la Russia non è in discussione”.

“Non ci sono dubbi sulla sua vittoria alle elezioni del suo partito: il Fidesz trionferà chiudendo ancora nell’angolo – dicono i sondaggi – l’opposizione capeggiata dai socialisti. E mentre si prepara a governare il Paese con una maggioranza schiacciante, Orban scopre nuove affinità con Putin: dallo stile di leadership, alla linea politica populista, al nazionalismo, fino alla necessità di trovare sempre nemici al di fuori dei propri confini”.

 

Il Sole si occupa del confronto Tv tra Nick Clegg e Nigel Farage: il leader del partito liberaldemocratico ha accettato – unico – il confronto con il capo degli euroscettici dell’Ukip, in vista del voto per il Parlamento europeo. In un sondaggio a caldo fatto dopo la trasmissione, Farage è stato giudicato più convincente dal 57 per cento degli intervistati. “L’euroscetticismo attira anche in Tv”, titola il quotidiano.

 

L’inserto R2 de La Repubblica è dedicato al Venezuela: “L’altra rivoluzione dei ragazzi di Caracas”. L’inviato è Omero Ciai: “Inflazione alle stelle, carestia, corruzione e repressione. Il dopo Chavez è il caos. Nelle piazze ora si scontrano le due metà di un Venezuela allo stremo: i custodi della dottrina bolivariana contro sindaci e studenti”, “Lo Stato è sommerso dai debiti e l apolitica economica del governo è fallimentare”. Con un’intervista a Moses Naim: “Il socialismo del petrolio è ormai alla bancarotta”.

 

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