La battaglia dell’Italicum

Il Corriere della sera: “‘Sbarchi, non c’è più posto'”. “Il Viminale ai Prefetti: migliaia di migranti in arrivo, cercate nuovi posti”. “L’emergenza. Centri pieni, previste anche requisizioni di locali in tutte le regioni. Ieri dieci morti in mare”.
L’editoriale, firmato da Franco Venturini, è dedicato alla Libia: “Poco tempo per evitare il peggio. Cosa fare in Libia”.
In evidenza “la resa di Ciucci”, ovvero le sue dimissioni dal vertice Anas.
A centro pagina: “Ankara alza i toni con il Papa sul caso armeno”. “L’eccesso di cautela di Roma” è il titolo di un commento di Paolo Lepri.
E poi la fotonotizia: “Crolla il soffitto della scuola appena restaurata. Due bambini e la maestra feriti a Ostuni”.
A fondo pagina spazio per il nuovo film di Nanni Moretti: “Una confessione inaspettata”, “il cuore messo a nudo”, “malinconie e disincanto” nel suo ultimo film, scrive il quotidiano.
Da segnalare in prima anche un articolo di Claudio Magris su Gunter Grass: “Lo scrittore che sferzò la Germania (non se stesso)”.
In alto: “Hillary Chelsea, nasce il ticket madre-figlia”. “Verso la Casa Bianca”.

La Repubblica ha oggi in prima il richiamo alle interviste al direttore dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi e al presidente dell’Inps Tito Boeri: “Fisco, basta blitz e più controlli bancari. Inps: cambia la Fornero, pensioni flessibili”, “Parla il direttore delle Entrate Orlandi: ecco il 730 precompilato. Intervista a Boeri: assegni pagati il primo del mese”.
A sinistra: “Bufera sull’Anas dei viadotti crollati, repulisti del governo e Ciucci si dimette”. “Il manager eterno che licenziò se stesso” è il titolo del commento che Alberto Statera dedica alle dimissioni del presidente Anas Pietro Ciucci.
E sulla stessa colonna: “cede il tetto, terrore a scuola”, “Ostuni, 2 bimbi feriti. L’edificio era appena stato riparato.
In prima la foto del presidente turco Erdogan insieme a Papa Bergoglio, ai tempi della visita di quest’ultimo in Turchia, nel novembre scorso: “’Calunnie del Papa’, Ankara attacca”.
Le pagine R2 della cultura, richiamate nella parte destra della prima pagina si occupano della scomparsa di Gunter Grass (“Addio Grass, la coscienza della Germania”, di Vanna Vannuccini) e di Eduardo Galeano (“Muore Galeano, svelò le ferite del Sudamerica”, di Gianni Mura).
A fondo pagina, “la storia”: il protagonista è Karim Franceschi, che racconta la propria esperienza di guerra sul fronte iracheno per combattere con i curdi e liberare la città di Kobane.

La Stampa apre con le parole del presidente della Banca Mondiale Jim Yong Kim, che ha concesso un’intervista al quotidiano: “’L’Italia ci aiuti a sconfiggere la povertà’”, “Jim Yong Kim: accelerate con le riforme e avrete più crescita e risorse da investire”.
In grande evidenza a centro pagina la foto del soffitto crollato nella scuola elementare di Ostuni: “Un crollo nella scuola riaperta solo tre mesi fa”. E poi le parole del ministro dell’Istruzione Stefania Giannini che, intervistata da La Stampa, dice: “Nessun taglio sui cantieri programmati”.
A centro pagina anche la reazione della Turchia alle parole sul genocidio armeno pronunciate da Bergoglio: “La Turchia contro il Papa: ‘Influenzato dalle lobby’”, “Gentiloni: toni ingiustificati”.
A centro pagina anche le ultime tragedie nel canale di Siclia: “Il Viminale: migliaia di immigrati in arrivo”, “Nel week end 10 morti”.
Sotto la testata: “Addio a due grandi della cultura”, “Gunter Grass, premio Nobel e discusso testimone dei traumi della Germania. Eduardo Galeano, voce del Sudamerica”.

Il Fatto: “Napolitano ridà ordini al Parlamento: ‘Italicum così com’è’”, “Crescono le critiche alla riforma della Boschi con le liste dei nominati dalla Casta e l’ex presidente torna a monitare pro Renzi: ‘Sulla legge elettorale non si può tornare indietro’. Il costituzionalista Ainis al ‘Fatto’: ‘Mattarella sarà in imbarazzo quando dovrà firmare la legge, poi la Corte lo boccerà’”.
Ancora nella parte alta della pagina: “Finocchiaro senza titoli candidata alla Consulta”.
A centro pagina: “Viene giù tutto”, “Ostuni, Puglia: cede il solaio di una scuola elementare appena ristrutturata. Feriti due studenti e una maestra. Dopo le tante promesse, il Def tagli ai fondi all’Istruzione e il governo toglie altri 490 milioni di euro alla sicurezza scolastica. Intanto l’ultimo disastro siciliano si porta via anche Ciucci, presidente-padrone dell’Anas”.

Il Sole 24 ore: “Riparte il superdollaro. Euro ai minimi da 12 anni”. “Il rialzo dei tassi Usa torna nei radar del mercato: l’euro cade a 1,057, tonfo della sterlina”. “Piazza Affari ai massimi dal 2009, ordini per 3,4 miliardi sul Btp Italia”.
Di spalla: “Anas, l’era di Ciucci finisce tra le critiche. Andrà via a maggio”. “Fonti del ministero: dimissioni apprezzate”. “La discontinuità necessaria” è il titolo di un commento di Giorgio Santelli.
A centro pagina: “Primo ok di Bruxelles al Def. Sale la polemica sul ‘bonus’. Nuove risorse: il governo punta su scuole e povertà, dai partiti critiche sulla copertura”. “Decontribuzione estesa al 2016. Taddei: elimineremo la clausola”. “Il tesoretto è solo un’arma di distrazione di massa” il titolo dell’editoriale, firmato da Fabrizio Forquet.
Sulla politica: “Centrodestra sempre diviso in Puglia. Ora anche la Liguria rischia il caos”.
In evidenza in prima: “Putin sfida gli Usa: missili russi all’Iran”.
E poi: “La Turchia contro il Papa sugli armeni”.

Il Giornale: “Un Paese a pezzi. Calcinacci in testa a Renzi”. “Crolla un soffitto in una scuola appena ristrutturata e si sbriciolano ponti e strade. Intanto Alfano si prepara a requisire case e a darle agli immigrati”. “Pd a picco, perde un punto e mezzo e ora trema”.
Di spalla: “Fratelli d’Italia molla Salvini e sceglie Alfano”.
A centro pagina: “Il governo difende chi insulta il Papa”. “Mamma li turchi: danno del filonazista a Bergoglio. Il sottosegretario Gozi giustifica i veleni di Ankara. ‘Armeni? Non definiamolo ‘genocidio'”.

Tasse, tesoretto

Su La Repubblica, alle pagine 2 e 3, un’intervista con il direttore dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi: “Svolta fiscale, sì al dialogo, il nuovo 730 è solo l’inizio, ma per battere l’evasione servono più controlli bancari”, “L’uso di massa dei dati bancari ora è escluso per via della privacy, e così il pacchetto promesso è fermo da due anni”, “Le parole d’ordine: aiuto e persuasione. Inviteremo i contribuenti sospetti a mettersi in regola prima che sia tardi” e, sul fronte della corruzione, “Collaboriamo attivamente alle inchieste sugli appalti e ci sentiamo spesso con Cantone”, “Il direttore dell’Agenzia delle Entrate spiega il nuovo corso dell’amministrazione tributaria basato sulla collaborazione più che sulla repressione e sui blitz, e annuncia che la battaglia si concentrerà sui grandi contribuenti”.

Sul Sole 24 Ore, Fabrizio Forquet scrive che non è opportuno che il governo “spari nel dibattito pubblico” la questione del tesoretto, e aggiunge che un tesoretto da spendere non c’è. Forquet ricorda che “per il prossimo anno, è ormai cosa nota, Renzi e Padoan dovranno trovare 16 miliardi di euro per evitare il disastroso aumento della pressione fiscale legato all’incremento dell’Iva. Sono tagli di spesa dolorosi che dovranno trovar posto nella prossima legge di stabilità”, e per quest’anno il governo “non è ancora riuscito a trovare la copertura alla decontribuzione per chi assume stabilmente. Si tratta di poche decine di milioni. Eppure il decreto è rimasto fermo un mese alla ragioneria perché si individuassero quelle risorse e, alla fine, è stato sbloccato solo ricorrendo al paradossale aumento generalizzato dei contributi. Una figuraccia per il governo, che ha dovuto fare marcia indietro”. Inopportuno spendere un presunto tesoretto da 1,6 miliardi per bonus. E in ogni caso, scrive Forquet, “quei soldi proprio non ci sono. Quei soldi sono un deficit. Sono il differenziale, indicato nel Def, tra l’obiettivo programmatico di un rapporto deficit/Pil a 2,6% e un tendenziale di 2,5%. Da qui quello 0,1% di Pil che si potrebbe spendere. Ma è tutta roba di carta, numeri astratti e potenziali”.

Sul Corriere, Enrico Marro cita il responsabile economico Pd Filippo Taddei che dice che il famoso miliardo e 600 milioni “disponibili in più del previsto, sono una cifra ‘una tantum’, vale solo per quest’anno”, e dunque “non può essere destinata a spese strutturali, come per esempio il potenziamento degli 80 euro al mese o forme di reddito minimo. Alla presidenza del Consiglio sono preoccupati per l’assalto al tesoretto che lo stesso governo ha individuato nel Def, Documento di economia e finanza, approvato venerdì. Taddei, consigliere dello stesso premier Matteo Renzi, spiega che le ipotesi plausibili sono molto più modeste”. Per Taddei sarebbero tre le priorità: “Il rafforzamento dell’Asdi; il potenziamento di alcuni interventi sulla scuola in particolare a sostegno dei progetti di integrazione tra istruzione e lavoro; interventi straordinari di manutenzione delle opere pubbliche”. Marro ricorda che l’Asdi spetta ai lavoratori che – esaurita la Naspi, ovvero la nuova indennità di disoccupazione, non abbiano ancora trovato un lavoro ed hanno un Isee basso, o figli minorenni, o sono vicini alla pensione.

Su Il Giornale: “Il Def di Renzi bocciato dal dipartimento renziano”. Si parla del giudizio dell’Ufficio parlamentare del Bilancio, “nato nel 2014 come guardiano dei conti pubblici”, che “sarebbe in realtà stato un organismo benevolo con il governo che si è ritrovato a nominarne il direttivo. Un vertice sicuramente non ostile all’esecutivo, se si considera che il presidente è l’economista Giuseppe Pisauro, ex collaboratore del protagonista delle politiche fiscali della sinistra Vincenzo Visco e gli altri due consiglieri sono Chiara Goretti – etichettata come renziana – e Alberto Zanardi, curatore di una collana del Mulino.
Al contrario, l’ufficio sembra avere scelto di fare prevalere l’altra caratteristica che gli è stata attribuita, cioè l’essere la lunga mano di Bruxelles in Italia. Nella lettera inviata ieri al ministero dell’Economia, da una parte ha validato le previsioni del Def. Dall’altra ha allegato una lettera dove evidenzia i ‘rischi’ che comportano le previsioni fatte dal governo nel documento. A partire dal Pil: la previsione di una crescita del 1,3 è “inferiore di appena un decimale dalla previsione più ottimistica tra quelle possibili. Come dire, avete scommesso sullo scenario migliore, ma non è detto che si avveri”.

Su La Repubblica, a pagina 4, un’intervista al presidente Inps Tito Boeri, che illustra le proposte che verranno presentate al governo: “Pensioni il primo del mese, uscite dal lavoro flessibili, reddito minimo agli over 55. Così cambierà la Fornero”. Le proposte verranno illustrate al governo a giugno, ma intanto Boeri preannuncia: “vogliamo realizzare un’operazione socialmente importante”. Si tratta di questo: “Pagare dal prossimo mese di giugno tutte le prestazioni dell’Inps, dalle pensioni alle indennità di accompagnamento, il primo di ogni mese e non più come adesso in date differenti in relazione alla prestazione e al fondo di gestione. Abbiamo chiesto alle banche di condividere la nostra proposta. Le Poste hanno già accettato, entro mercoledì aspettiamo le risposta degli istituti di credito. Deve essere un’operazione a costo zero: lo Stato incasserà meno interessi sui rate che ora paga il 10 o il 16 del mese, in cambio alle banche, che incasseranno prima, abbiamo chiesto di abbassare i costi dei bonifici”. Quale sarà il vantaggio? “Con le regole attuali avremmo avuto pensionati poveri, con problemi di liquidità, che avrebbero ricevuto le pensioni dieci giorni più tardi, per effetto di un recente provvedimento normativo. Inoltre, unificando le pensioni si assicura migliore funzionalità del servizio, riduzione dei costi, maggiore trasparenza, liquidità per fronteggiare spese tipicamente concentrate a inizio mese. E’ il primo passo verso l’unificazione delle pensioni. Perché -anomalia italiana- molti pensionati ricevono pezzi di pensioni da fonti diverse. Per ogni due pensionati ci sono tre pensioni erogate. Unificando i trattamenti semplificheremo la vita di tutti e avremo dati più trasparenti”. Poi Boeri sottolinea che “c’è un problema molto serio”, ovvero quello delle persone nella fascia d’età 55-65 anni che, “una volta perso il lavoro, si trovano progressivamente in condizioni di povertà. Si calcola che non più di uno su dieci riesce a trovare una nuova occupazione”. E questo ha creato nuova povertà, “non essendoci alcun sussidio per gli under 65. Per queste persone è ragionevole allora pensare di introdurre un reddito minimo garantito”.

Pd, legge elettorale

Su Il Giornale: “Pd in calo nei sondaggi: il centrodestra si avvina”. Il quotidiano dà conto di un sondaggio (di Emg, per La7) secondo il quale al centrosinistra andrebbe il 40,5 per cento dei consensi, ai “moderati” il 35,5. “Renzi ostenta sicurezza ma è preoccupato per le Regionali”. Il Pd sarebbe al 35,3 per cento, in calo dell’1,5 per cento. Forza Italia al 12,1 per cento. Salgono Lega e Ncd, sale anche il Movimento 5 Stelle. Secondo lo stesso quotidiano Renzi però “non appare molto preoccupato” dal confronto sull’Italicum in Aula, essendo “convinto che gran parte dei dissensi rientreranno e che sui numeri non ci saranno problemi”.

Il Corriere intervista Lorenzo Guerini: “Per senso di lealtà la maggioranza dei bersaniani dirà sì alla legge elettorale”. Guerini ribadisce che è presto per parlare di fiducia, dice che comunque è “l’extrema ratio”. Dice che “per quanto lo riguarda” non è in discussione la carica di capogruppo per Roberto Speranza, che si aspetta una discussione aperta nella assemblea del gruppo di domani, che non crede che ci possano essere scissioni sulla legge elettorale. Assicura che la questione Ercolano sarà risolta “nelle prossime ore”.

Sul Sole, Lina Palmerini scrive che non si capisce ancora quale sia il piano B della minoranza se non voterà – come alcuni dicono – la legge elettorale”. Palmerini scrive che “se è il Governo l’obiettivo – pienamente legittimo e condiviso anche oltre la minoranza Pd – buttato giù che succede? Si punta al voto con il consultellum, dopo aver fatto un congresso straordinario della ditta? Forse. Ma in un contesto in cui Forza Italia è spappolata, le forze intermedie sono deboli e frammentate, l’estrema sinistra è in attesa di Landini, Salvini e Grillo sono forze anti-euro e potrebbero saldarsi come è accaduto in Grecia, lo scenario diventa piuttosto buio. E la domanda su dove porti la battaglia sulla legge elettorale resta soprattutto se si guarda alla concomitanza con le elezioni regionali”.

Il Fatto, a pagina 2: “La guerra dei due presidenti sulla legge elettorale”, “Napolitano riprende il cavallo di battaglia: ‘Approvatela così com’è’. Mattarella invece tace. In attesa del giorno in cui dovrà firmare”. Wanda Marra ricorda che il 27 aprile la riforma arriva in aula alla Camera e intanto l’ex presidente Napolitano “si sbraccia per sostenere l’Italicum”. Mattarella, invece, “ha scelto di limitarsi ad osservare”, nonostante sia “chiamato in causa da più parti”. “Non si può tornare indietro -ha detto ieri Napolitano a margine dei lavori di un convegno cui era presente anche l’attuale inquilino del Quirinale”- disfare quello che è stato faticosamente cosrtuito, elaborato e discusso in tutti questi mesi. Guai se si ripiomba in un ‘ricominciamo da capo’”, “La legge Mattarella ha funzionato in maniera eccellente ed è stato un gravissimo errore liquidarla. Fu in pochi mesi elaborata e discussa perché ci fu un clima di collaborazione e la consapevolezza che la legge elettorale non può che essere una legge di compromesso”. E Wanda Marra sottolinea come la parola chiave sia proprio quel “compromesso”, visto che “Re Giorgio sulle riforme costituzionali si è giocato la faccia, ha favorito la staffetta tra Letta e Renzi e non ha mai fatto mancare il suo appoggio al premier, senza porsi problemi di eccessivo interventismo rispetto al Parlamento”. Ieri al convegno c’era anche Mattarella: “stile opposto”, nessuna dichiarazione pubblica. Dovrà firmare, poi la legge arriverà alla Corte costituzionale. E nella pagina seguente, il quotidiano intervista il costituzionalista Michele Ainis che, già ieri in un intervento sul Corriere, evidenziava punti critici della riforma: “l’Italicum metterà in imbarazzo il Colle”, dice oggi al Fatto. E spiega: “Se il Senato non verrà abolito, la Corte costituzionale non potrà che bocciare il testo: non è possibile avere due normative diverse per le due Camere”, “Con il premio di maggioranza alla lista avremo un solo partito proprietario di tutto. Rischiamo l’abuso di potere”.

La Stampa, con Carlo Bertini (“Italicum, la battaglia finale”, “Interviene l’ex presidente Napolitano: ‘Non indietreggiare, un errore cancellare il Mattarellum’. Il premier non vuole più toccare nulla per non correre rischi. Ma con la fiducia il Pd uscirà intero?”), sottolinea che Renzi non cede alle richieste della minoranza Dem: neanche a quella della minoranza bersaniana che chiede di aumentare le preferenze e di diminuire il numero dei capilista bloccati. La partita vera si giocherà in aula: senza la fiducia, gli emendamenti si voterebbero a scrutinio segreto. E gli azzurri di Forza Italia pongono le stesse richieste della minoranza Pd.

La Repubblica, pagina 14: “Italicum, nella guerra Pd l’appello di Napolitano: ‘Guai a tornare indietro o ricominciare daccapo’”, “Ma l’ex presidente rimpiange il Mattarellum”. Il quotidiano intervista Stefano Fassina, esponente della minoranza Dem: “Io le riforme non le voto lo stesso”. Il problema, ribadisce, “non è la legge elettorale, quanto il pacchetto Italicum-revisione del Senato, che comporta un presidenzialismo di fatto, senza i necessari contrappesi”. E sulla stessa pagina il “retroscena” di Goffredo de Marchis: “L’ultima sfida della minoranza: ‘Sarà Renzi il responsabile della scissione’”. Oggi, ricorda il quotidiano, si riuniscono gli 85 deputati di Area riformista, la corrente che si oppone al premier. E domani si riunisce l’assemblea del gruppo, dove “è scontata la resa dei conti sulla legge elettorale”.

Centrodestra

Intanto in Puglia “La candidatura a sorpresa dell’ex sindaco di Lecce, emersa come contromossa berlusconiana alla rottura con i Ricostruttori di Raffaele Fitto, spiazza il partito di Giorgia Meloni”, scrive Il Giornale. Ncd “si trova davanti a un bivio pericoloso”: appoggiare comunque Schittulli, “ritrovandosi così sulla stessa sponda politica di Ncd e dei fittiani (e avversaria della Lega con cui da tempo cerca di costruire un asse di destra). Oppure sostenere un candidato iscritto al proprio partito, come la Poli Bortone (nonostante la candidatura non sia maturata dentro Fdi) rinsaldando l’asse con Matteo Salvini”.
Per ora – come dice il coordinatore regionale di FdI, il partito resta con Schittulli, e “l’indicazione viene raccolta dallo stato maggiore del partito nel corso di un lungo vertice nel quale emerge l’amarezza per il ‘s’ non concordato della Poli Bortone all’offerta di Forza Italia e Lega”. “‘Quella della Poli Bortone è una candidatura messa in campo con tempi e metodi francamente discutibili’ spiega Giorgia Meloni. ‘Ci avrebbe fatto piacere se avesse partecipato alla nostra riunione, ma ci ha fatto conoscere le sue intenzioni a mezzo stampa’”. Intanto Adriana Poli Bortone fa capire che non si fermerà. Anzi qualora non ci dovesse essere l’appoggio alla sua candidatura, riterrà conclusa la sua esperienza nel partito”.

Il Corriere: “Puglia: scontro Meloni – Forza Italia. Anche la Liguria rischia il caos”. Si legge che tra Poli Bortone e Fratelli d’Italia “è alle viste un divorzio” mentre “Forza Italia va per la sua strada”. E poi che non è la Puglia l’unica regione con problemi. In Liguria c’è la candidatura, alternativa a quella di Toti, di Enrico Musso, ex pidiellino, vicino a Scajola, candidato di “Liguria Libera”. Meloni e La Russa ieri hanno fatto sapere di essere pronti a considerare candidature alternative a quella di Toti che – ha detto La Russa – rischia di essere considerato un “paracadutato” nella Regione.

Su La Repubblica, le pagine 16 e 17 si occupano del centrodestra alla vigilia delle elezioni regionali, in particolare in vista di quelle pugliesi: “Forza Italia nel caso. Ultimatum della Meloni: ‘Si rompe in Puglia e Liguria’. Poli Bortone: resto in corsa”, “La leader di Fdi punta i piedi, possibile un candidato alternativo a Toti. Berlusconi: ‘Questi sono ricatti’”. E il quotidiano intervista lo stesso Giovanni Toti, che dice: “Fitto così si è messo fuori dal partito”.
Alla pagina seguente, “Il punto” di Stefano Folli: “La lezione di Le Pen per il centrodestra, anche il Cavaliere andrebbe rottamato”, “In Francia Marine ha ‘licenziato’ il padre. Qui non ci sono gli eredi”, “I forzisti attendono il loro Renzi: un innovatore che parta dalla base”, “Il leader gestisce il declino come gestì il successo. L’idea di una resurrezione è illusoria”.

Il Fatto: “Mal di Puglia: guai per la Meloni e Fitto vuole il simbolo di Silvio”, “Fratelli d’Italia si spacca, Poli Bortone con B. e Schittulli vuole il logo di Fi”.

La Stampa: “Berlusconi: in Puglia non accetto di prendere ordini dalle pulci”, “Attacco a Fitto e Meloni, che resiste alla Poli Bortone”. Spiega il quotidiano che ieri la Meloni, leader di Fdi, ha dato a Berlusconi 24 ore per verificare se Adriana Poli Bortone unisce tutto il centrodestra. Ma poiché così non è, allora Fdi rimane con Schittulli, si schiera contro Toti in Liguria e spezza il fronte “lepenista” con Salvini.

Anas

È una “discontinuità necessaria” “l’accelerazione impressa al cambiamento nel settore dei lavori pubblici” che ha portato alle “quasi clamorose” annunciate dimissioni di Pietro Ciucci. Più che i problemi degli ultimi mesi, scrive il quotidiano di Confindustria, ha pesato il fatto che “Delrio ha squadernato senza mezze parole a Ciucci, forte anche della totale condivisione con Matteo Renzi” la necessità di “discontinuità e rinnovamento. E all’Anas dopo dieci anni il bisogno di rinnovamento si sentiva, nonostante la gestione Ciucci abbia portato anche risultati positivi: la trasformazione in Spa e il conseguente pareggio di bilancio, una ripresa degli investimenti in manutenzione, il tentativo di costruire una missione coerente all’Anas come concessionario e soggetto fornitore di servizi allo Stato in vista di una possibile privatizzazione. Tentativo, per altro, ancora lontano dall’avere una quadratura solida e coerente”.

Armeni

Su La Repubblica, due pagine per la polemica sulle frasi del Papa sul genocidio armeno: “La Turchia attacca il Papa: ‘Armenia, solo calunnie’. Gentiloni: Ankara sbaglia”, “Pesanti reazioni al discorso di Bergoglio sul genocidio. Il Gran Mufti: ‘Così aumenta la spaccatura con i musulmani’”.
Il quotidiano riferisce dunque le dure critiche del primo ministro Davutoglu e del ministro degli Esteri Cavusoglu. Di fianco, due interviste. La prima a Murat Belge, professore di letteratura alla Bilgi University di Istanbul, che dice: “I nazionalisti vogliono una guerra tra religioni, ma il Paese riconoscerà quello che è accaduto”. “In Turchia – spiega – purtroppo c’è chi tiene la gente nell’ignoranza. La causa del negazionismo? L’istruzione nelle scuole, l’educazione dentro le famiglia. Un nazionalismo estremo”. Ricorda poi che il governo attuale, a guida Akp “prima della rivolta di Gezy Park aveva un atteggiamento meglio disposto sulla questione armena. Adesso, invece, si sta comportando come tutte le compagini nazionaliste o di centro o di destra, con le stesse loro posizioni”. Quello in corso, sottolinea, è un anno cruciale: a giugno ci saranno le elezioni e, ad aprile, in contemporanea con l’anniversario dei 100 anni del genocidio armeno, il governo ha deciso di celebrare la campagna di Gallipoli, “disfatta da cui scaturì però la capacità di difesa dei turchi nella Prima Guerra mondiale”. Di fianco, intervista al cardinale Velasio De Paolis: “Nessuna provocazione da parte di Francesco -dice – il suo unico obiettivo è la riconciliazione” fra armeni e turchi. “I grandi genocidi del Novecento -dice ancora De Paolis – sono stati tutti ammessi dai Paesi protagonisti. Perché quello armeno no? Nessuno accusa i turchi di oggi, ma un mea culpa sul proprio passato va fatto”.
“Il governo scomunica il Papa: ‘Non dite genocidio armeno’. La stoccata del sottosegretario Gozi: ‘L’esecutivo italiano non usi quel termine'”. Si legge che anche il ministro Gentiloni, che a criticato la Turchia per la sua reazione, “glissa con diplomazia sulla parola genocidio” ed “evita accuratamente di pronunciarla”, “in linea con Gozi”. “Il nostro governo e la Ue vogliono mettere la testa sotto la sabbia”, scrive il quotidiano.

“I compromessi (a Roma) non fanno la buona politica” scrive Paolo Lepri sul Corriere della Sera criticando le parole del sottosegretario Gozi che “ritiene che non sia compito del governo decidere cosa è successo cento anni fa” a proposito delle polemiche sul cosiddetto genocidio armeno. Scrive Lepri che “un milione e mezzo di persone furono eliminate”, che “lo stesso Hitler nel 1939 si rallegrava del fatto che quanto era accaduto nell’Impero Ottomano fosse ormai sostanzialmente dimenticato”, e che la questione armena richiama “soprattutto il negazionismo governativo” del quale il presidente turco Erdogan “è il più instancabile propagandista”. “Il ministro Gentiloni ha parlato di durezza ingiustificata da parte turca”, “preferendo” dunque soffermarsi sulla reazione più che sulle parole del Papa. Lepri ricorda che l’Italia è stata co-sponsor a Ginevra, in sede Onu, di una risoluzione contro il genocidio armeno presentata dall’Armenia. “Un testo in cui le cose venivano chiamate con il loro nome”.
Anche sul Sole si fa il punto sulla “crisi diplomatica” tra Turchia e Vaticano.

Libia, internazionale

Da segnalare su Il Sole e sul Corriere la notizia che il presidente russo Putin ha tolto il veto alla vendita di sistemi anti missile all’Iran, bloccata nel 2010 da Medvedev. “Putin ci ripensa: luce verde alla vendita di S-300 a Teheran”, si legge sul quotidiano di Confindustria. Nel 2010 la scelta era dovuta alla volontà di attuare il “reset” nelle relazioni con gli Usa. Gli S-300 coprono 400 km, “distanza che Israele teme possa mettere a rischio la propria aviazione militare e civile”, scrive il quotidiano. Kerry, in una conversazione con il suo omologo Lavrov, avrebbe espresso preoccupazione per la decisione di Mosca.

Per tornare al Giornale, da segnalare una intervista ad Antonio Martino: “‘Politica estera inconcludente. Renzi chiacchiera e non fa nulla’”. Martino però “non condanna l’eccesso di prudenza” del governo sul caso armeno: “I Paesi europei non possono permettersi di prendere posizione perché un buon rapporto con la Turchia è fondamentale nella battaglia contro il Califfato”, come la Russia. “Perché ce li dovremmo inimicare”. Martino parla della necessità di costruire una più ampia alleanza contro l’Isis.

Sul Corriere Franco Venturini firma l’editoriale dedicato alla situazione in Libia. “Poco tempo per evitare il peggio”. Parte dai numeri sugli immigrati che arrivano e arriveranno sulle nostre coste, e scrive che in Libia, “se si vuole evitare un disastro”, occorre “far nasce un unico interlocutore”, “imponendo un limite di tempo alle rivalità, alle vendette, alle ambizioni smodate delle fazioni che hanno sin qui messo i bastoni tra le ruote” all’inviato Onu Leon.
Sullo stesso quotidiano Lorenzo Cremonesi descrive le coste libiche “in mano a milizie irregolari (con lo spettro dell’Isis)”. Decine di milizie armate che “controllano i movimenti di ogni tipo di imbarcazione” e che sono “organizzate per sfruttare il traffico di profughi verso l’Italia”.

Immigrazione

Sul Corriere, Fiorenza Sarzanini dà conto della circolare diramata dal Ministero dell’Interno ai Prefetti: “Trovare subito 6.500 posti anche con ‘provvedimenti di occupazione d’urgenza e requisizione’. Perché la situazione è ormai al collasso, i luoghi destinati all’accoglienza sono pieni e soprattutto non si sa che cosa accadrà nelle prossime settimane. Le previsioni parlano di migliaia di persone pronte ad arrivare in Italia, i numeri già forniscono il quadro dell’emergenza con 120 sbarchi dall’inizio dell’anno che fino a ieri mattina hanno portato nel nostro Paese 18.260 persone”. “La circolare firmata dal prefetto Mario Morcone, direttore del Dipartimento Immigrazione, prevede che Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana, Emilia e Campania mettano a disposizione 700 posti, 300 la Puglia, 250 il Lazio e le Marche mentre altri 1.500 vanno divisi nel resto d’Italia. La Lombardia ha già fatto sapere che ci sono problemi dovuti all’organizzazione dell’Expo, dal Veneto non arrivano risposte chiare nonostante il ministero dell’Interno abbia più volte evidenziato la necessità di avere una ‘distribuzione sull’intero territorio anche per evitare problemi di ordine pubblico’, in particolare ‘una suddivisione equa delle responsabilità di tutti i capoluoghi di provincia senza esclusioni ed eccezioni’, naturalmente in proporzione rispetto al numero degli abitanti. Per questo nella circolare non si esclude la possibilità che i prefetti ricorrano a misure drastiche pur di reperire strutture disponibili”. Nell’elenco dei giunti in Italia negli ultimi mesi ci sono oltre 2000 eritrei, 1500 somali, altrettanti siriani. Oltre 1000 sono i minori, altrettante le donne. “La maggior parte ha diritto all’asilo, chiede di ottenere il riconoscimento e poi partire per altri Paesi europei, qualcuno addirittura mira a raggiungere gli Stati Uniti. Ma le procedure per il rilascio dello status continuano ad essere lunghe, il rischio forte è che non si riesca a fare fronte alle istanze prima che la situazione degeneri ulteriormente.”

Il Giornale: “Alfano allerta le Prefetture. ‘Trovate casa ai profughi'”.

Il Sole 24 Ore: “Il Viminale: reperire nuove strutture. Per fare fronte al notevole afflusso di migranti verificatosi in questi giorni, in una situazione che vede i Centri di accoglienza quasi al limite della loro capienza, i prefetti italiani sono stati invitati dal Viminale con una direttiva a reperire nuove strutture nei territori di loro competenza”.

Usa

La Stampa, a pagina 14, scrive della discesa in campo di Marco Rubio, avvenuta a meno di 24 ore da quella di Hillary Clinton: “Giovane, ispanico, di destra. Rubio: sono io l’anti-Hillary”, “Il 43enne figlio di esuli cubani annuncia la candidatura alla Casa Bianca. ‘Clinton è passato’. In cinque in corsa per la nomination repubblicana”. Se “sulla sponda democratica del Potomac”, scrive Francesco Semprini, “sembra non esserci gara, con Hillary Clinton vincitrice nei sondaggi, anche a causa del vuoto competitivo interno al partito”, a dar filo da torcere alla ex first lady saranno i repubblicani, impegnati a loro volta in un confronto interno “decisamente più incerto”. Cinque i profili forti de Grand Old Party e fra questi c’è Marco Rubio, figlio di un barista emigrato da Cuba, protagonista di un “sogno americano” in piena regola. Gode della simpatia degli ispanici, che ieri erano assiepati a centinaia nei pressi della Freedom Tower di Miami per ascoltare il suo discorso. Ha un vantaggio anagrafico (43 anni) che gli permette di presentarsi come il leader di una nuova generazione, che si contrappone alle dinastie politiche. Nelle prossime settimane è previsto l’ingresso in gara di Jeb Bush, figlio e fratello di ex presidenti: da molti, compresi i sondaggi, è visto come il più quotato tra i potenziali avversari repubblicani di Hillary, anche perché il suo nome è garanzia di popolarità e finanziamenti. Tuttavia, scrive Semprini, dovrà fronteggiare l’opposizione della base conservatrice del partito, che vede in lui un repubblicano troppo moderato, con posizioni considerate discutibili su istruzione e riforma dell’immigrazione. Anche lui tenta lo sfondamento sui “latinos”, tanto che, nel 2009, in un formulario di registrazione elettorale, contrassegnò la casella “ispanico” per definire le proprie origini. Chi cavalca la crociata anti-Bush è Ted Cruz, senatore del Texas, paladino dei valori religiosi, tanto da annunciare la sua discesa in campo nell’università evangelica più grande del mondo. È adorato dai Tea Paty e le origini ispaniche e la giovane età (44 anni) ne fanno un candidato insidioso. Ha ufficializzato la sua corsa anche Rand Paul, il libertario del Gop che predica il ritorno alla dottrina isolazionista in tema di politica estera ed è un critico spietato della Federal Reserve. Infine, l’ultimo candidato, Scott Walker, governatore del Wisconsin, 47 anni, nemico giurato dei sindacati, contro cui si è battuto nel 2011, durante la sua corsa per la guida dello Stato. Temono che possa affondare durante i dibattiti tv, però, specie sui tempi di politica estera: ed è forse per questo – scrive Semprini – che si recherà a maggio in Israele per incontrare il premier Netanyahu, facendo così del rapporto privilegiato con lo storico alleato Usa un punto di forza della sua campagna.

Due pagine su La Repubblica, a firma di Federico Rampini: “Su candida il repubblicano Rubio. Una sfida ispanica per la Clinton”, “Jeb Bush: ‘L’ex first lady ha rafforzato i nostri nemici’. E De Blasio: ‘Per ora niente appoggio’”.
Vittorio Zucconi scrive che il segreto della candidatura della Clinton potrebbe diventare il marito Bill, che vanta una popolarità nei sondaggi ancora quasi al 70%.

“Un ‘cubano’ presidente. Il sogno di Marco Rubio galvanizza i repubblicani”. Quando si candidò alla carica di governatore della Florida era dato al tre per cento, e vinse con un messaggio basato sul cambiamento generazionale, scrive Massimo Gaggi sul Corriere della Sera. Ha 43 anni, piace alla destra dei Tea Party “anche se non è sulle posizioni estreme di Ted Cruz o Rand Paul”, figlio di cubani scappati dalla rivoluzione castrista. Due anni fa appoggiò la proposta di Obama di regolarizzare 11 milioni di immigrati clandestini ma poi “di fronte alla ostilità degli attivisti di destra per ogni sanatoria si rimangiò l’apertura”. Molti “non hanno dimenticato il suo tradimento”. Non ha grandi risorse economiche, e la famiglia Bush (Jeb era un suo mentore, ma se si candida ovviamente saranno nemici) “gli sta facendo terra bruciata intorno”.

Mario Platero sul Sole si sofferma su Clinton e sulla alleanza quasi “naturale” con Janet Yellen, la presidente della Fed, “oggi la donna più potente d’America”, “di estrazione democratica”, impegnata come Clinton nella lotta alle disuguaglianze. Platero cita anche Elizabeth Warren, senatore del Massachussetts, gradita alla sinistra democratica. Lei ha più volte negato di essere in corsa ma da tempo esiste un comitato che la vorrebbe impegnata nella competizione. È “ineleggibile per il grande pubblico” ma “certamente in grado di disturbare Hillary”.

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