Veltroni non si ricandida, Formigoni sì

 

Il Corriere della Sera: “Bersani si lancia nelle primarie. Addio di Veltroni al Parlamento. L’ex segretario non si ricandiderà. Il leader: decisione apprezzabile”. Il titolo più grande è per la Lombardia: “’E’ sempre la Lega dei ribaltoni’. Formigoni: così per la Lombardia meglio il voto subito. Il governatore: io ci sarò ancora. Maroni chiede di scegliere un nuovo nome nei gazebo”. L’editoriale, firmato da Alesina e Giavazzi, è titolato: “L’indigestione delle imposte”.

 

La Repubblica: “Veltroni: addio al Parlamento. L’ex segretario Pd non si ricandida: ma non cedo alla rottamazione. Renzi: ho aperto una breccia. Maroni: primarie per guidare la Lombardia. Bersani: Monti serve ancora al Paese. Formigoni all’angolo, il Pdl lo scarica”. A centro pagina il richiamo ad una intervista al Ministro dell’Economia: “Grilli: manovra equa, ma si può cambiare”.

 

La Stampa: “’Lombardia subito al voto’. Formigoni rilancia: io sarò in campo. La Lega chiede le primarie”. In alto: “Bersani: pronti a rinnovare. E Veltroni scuote il Pd: ‘Lascio il Parlamento’”.-

 

Il Giornale. Su Veltroni: “Fuori uno. Veltroni molla. Ora tocca agli altri big”. Il titolo di apertura: “Sprecano ma non pagano. Le Regioni, che regalano soldi ai consiglieri per ostriche e champagne, devono alle aziende 40 miliardi. E le più insolventi sono Lazio e Campania. I commercianti alzano la voce: siamo al collasso”.

 

Politica

 

Ieri a Saint Vincent il segretario del Pdl Angelino Alfano ha detto che non serve l’accanimento terapeutico nei confronti della Giunta regionale lombarda. Di fronte alla decisione della Lega Nord di uscire dalla maggioranza e chiedere le elezioni per aprile, il segretario Pdl ha “chiuso la partita”, come scrive il Corriere della Sera, con queste parole: “Se la Lega dovesse mantenere questa posizione, è chiaro che la responsabilità della scelta sulla data delle elezioni è del Presidente Formigoni. Noi siamo contrari ad ogni forma di accanimento terapeutico”. Per il quotidiano è difficile, allo stato, che il governatore si ricandidi.

E lo stesso Formigoni viene intervistato dal Corriere della Sera. Accusa la Lega di aver mostrato “la sua anima inaffidabile e ribaltonista”, e dice: “Se entro domani (oggi, ndr) non cambiano la loro posizione, mi assumo il compito istituzionale, che mi compete, di limitare al minimo la campagna elettorale ed andare al voto al più presto”. Cosa significa? “Significa che do pochi giorni di tempo al consiglio regionale perché elimini il privilegio del listino bloccato”, “come secondo atto amministrativo voglio vedere cosa succede sulla chiusura del bilancio. Poi si va al voto”. Formigoni ricorda che giovedì scorso il segretario della Lega aveva spiegato che dopo aver ottenuto l’azzeramento della giunta regionale c’era il dovere di andare avanti, ma sabato ha detto che bisogna votare ad aprile. Come giudica l’idea leghista delle primarie? “Se è così, vuol dire che hanno proprio deciso di andare da soli”. Dopo le dimissioni cosa farà? “Io sarò in campo. Non è necessario essere candidato”.

Giancarlo Galan, ex presidente della Regione Veneto, presentato come “ex nemico” di Formigoni, intervistato da La Stampa, dice di non essere meravigliato per la scelta della Lega. “La Lega ha sempre fatto quel che le conveniva. Ci provano, trovano gente molle davanti e vanno fino in fondo. Guardate cosa è successo con quella boiata dei ministeri al nord”. Galan condivide l’atteggiamento di Formigoni, perchè considera “un errore cedere al Carroccio”.

Su La Stampa si scrive che Formigoni sta “trattando” l’uscita. E starebbe pensando ad una lista “nordista” satellite del centrodestra. Sarebbe intenzionato, secondo un fedelissimo, a costruire un percorso che sganci il voto regionale dal diktat leghista. “Magari già a febbraio, dopo aver cambiato legge elettorale e abolito il listino che sa tanto di Nicole Minetti, e votato il bilancio”.

 

Pd

 

Walter Veltroni ha detto ieri, in una intervista a “Che tempo che fa”, che non intende ricandidarsi alle prossime elezioni politiche. Il Corriere della Sera evidenzia il fatto che sia il primo big del Pd a fare un passo indietro “dopo l’offensiva ‘rottamatrice’ condotta da Matteo Renzi”, anche se l’ex segretario Pd nega che questo abbia influito sulla sua scelta. “A me – dice Veltroni – la parola rottamazione non piace”. Sulla esclusione di riferimenti all’esperienza del governo Monti nella Carta di intenti sottoscritta da Vendola, Bersani e Nencini, Veltroni dice: “Secondo me doveva restare perché la sua è una esperienza che stiamo sostenendo, che ha dato prestigio ed autorevolezza all’Italia dopo la tragedia del berlusconismo, e che ha in sé una spinta riformatrice che supera anche una certa inerzia dei partiti”. Veltroni ha detto che continuerà a fare politica e sottolinea che la sua scelta “non vale per altre persone che è giusto che tornino in Parlamento. Si parla molto di Bindi o D’Alema, ma con la rottamazione non entrerebbero persone come Enrico Morando, Pierluigi Castagnetti, Arturo Parisi, persone che fanno del bene al Parlamento”: “l’importante non è solo la carta di identità. Vittorio Foa era anziano ma era uno straordinario innovatore. Fiorito è giovane ma non lo è”.

 

Il senatore Pd e capofila dei cosiddetti “montiani”, Enrico Morando, in una intervista a L’Unità, definisce “generosa” la scelta fatta da Veltroni. E sulla assenza nel manifesto di intenti di riferimenti a Monti, dice che è stata una scelta grave, soprattutto il fatto che sia stata eliminata la frase su questa questione che c’era nella bozza del Pd: “Perché quella frase non diceva che il Pd vuole proseguire l’esperienza del governo Monti, ma che riconosceva a Monti di aver restituito al nostro Paese quella dignità e quella autorevolezza che il governo Berlusconi ci aveva fatto perdere”. Spiega ancora Morando: “Ci stiamo chiudendo in una coalizione con Vendola, ma direi la stessa cosa se ci fosse Casini. Invece di tenere aperta una prospettiva politica a chi apprezza l’opera del governo Monti. Non dobbiamo chiudere ai delusi del centrodestra. Davanti a noi scorre un fiume di elettori”. Per Morando c’è un “chiaro elemento di subalternità” rispetto a Vendola. Precisa poi di essere “contrarissimo a Monti bis, governissimi e alleanze con il Pdl”: “Il problema però sta nei contenuti, nell’asse su cui impostare la nostra proposta di governo”.

 

Sul Corriere della Sera Bruno Tabacci, candidato a quello che lui definisce “l’onere e l’onore di rappresentare” alle primarie “il centro del centrosinistra”, spiega perché non intende aderire alla carta degli intenti. Manca qualsiasi riferimento al merito o alle liberalizzazioni, manca qualsiasi riferimento alla agenda Monti. “Con coerenza, insomma, vengono formulate proposte che non sono un programma di governo. Sono un pezzo del programma, quello della sinistra. Che per essere competitiva ha bisogno del programma dell’altra parte della coalizione, il centro del centrosinistra”.

 

Su Il Giornale: “Fuori uno, Veltroni molla tutto. E spiazza i colonnelli democrat”. Dove si legge che Veltroni ha fatto “il beau geste” rinunciando ad un seggio parlamentare praticamente assicurato, poiché nessuno avrebbe mai negato la candidatura al segretario fondatore. Il passo indietro di Veltroni, per Il Giornale, avrà inevitabilmente dei contraccolpi nel Pd, e rischia di mettere in gran difficoltà molti nel gruppo dirigente storico. “Voglio vedere ora che faranno D’Alema o Bindi. Temo che la raccolta delle firme dovrà essere fermata”, ha ironizzato un parlamentare vicino a Veltroni. Le firme cui ci riferisce sono quelle raccolte in calce ad un appello a sostegno, in nome del meridione, della candidatura di D’Alema.

E l’appello si trova su L’Unità, in una pagina a pagamento firmata da amministratori locali Pd del sud (soprattutto calabresi, pugliesi, lucani): “Basta divisioni e personalismi. Parta dal sud la sfida per il governo. Per noi D’Alema è punto di riferimento in questa battaglia”.

 

 

 

 

Grilli

 

Su La Repubblica un “colloquio” del vicedirettore Giannini con il ministro dell’Economia Vittorio Grilli. Grilli difende la legge di stabilità approvata dal Governo: “Il rigore sta dando i suoi frutti, e questi frutti possiamo cominciare a restituirli ai cittadini, avviando un percorso di riduzione della pressione fiscale”; “per la prima volta da molto tempo, noi tagliamo di due punti le aliquote Irpef sui redditi più bassi”. Il giornalista fa osservare che per molti scaglioni di reddito, l’effetto della riduzione delle detrazioni e delle deduzioni annulla l’abbattimento delle aliquote Irpef; e parallelamente la tassazione supplementare su indennità di accompagnamento per gli invalidi rende poco equilibrata la manovra. Grilli risponde: “Guardi, a regime, con la nostra manovra sull’Irpef, rimettiamo 6 miliardi di euro nelle tasche degli italiani, e ne riprendiamo 1,2 attraverso la riduzione di detrazioni e deduzioni. Faccia lei il saldo. Non solo: quei sei miliardi li restituiamo ai redditi più bassi, e quegli 1,2 li spalmiamo su tutti. Mi dica lei se questa non è una scelta di equità”. Il ministro ribadisce che il governo è disponibile a discutere di possibili correzioni e “proposte migliorative che verranno dalle forze politiche in Parlamento”. “E’ un disegno di legge, non un decreto, e quindi aperto per definizione ai contributi delle Camere”, a condizione ovviamente “che non vengano alterati i saldi”: si può discutere “sull’incidenza del provvedimento nella cosiddetta fase transitoria”. Dice poi che i conti pubblici sono in sicurezza, “come ci riconoscono Ue, Bce, Fmi”: “Nel 2013 centreremo l’obiettivo di pareggio strutturale del bilancio senza aver bisogno di aiuti di alcun genere”, “non chiederemo interventi alla Bce o al Fondo Salva Stati perché non ci servono”. Per Grilli è autolesionistico il dibattito in corso sull’Agenda Monti, che a destra e a sinistra “si ha troppa fretta di liquidare”. Invita a fare un giro tra le Cancellerie e gli investitori al di là delle Alpi: emerge la stessa ossessiva domanda che ha tenuto banco al vertice del FMI questa settimana, ovvero “il tema non è più se l’Italia ce l’ha fatta o no, ma cosa succederà dopo le elezioni del 2013”.

 

Sondaggi

 

Il Fatto quotidiano ha commissionato un sondaggio alla società Demoskopea e ne dà conto nelle prime due pagine di oggi: “Urna vuota la trionferà”: un elettore su due non voterà, ha ancora fiducia nelle istituzioni dello Stato e della vita civile italiana il 44 per cento (no il 56 per cento). Chi interpreta meglio la nuova politica? Per il 38 per cento è Grillo, per il 34 Renzi, per il 14 nessuno di questi, per il 12 Monti, per il 5 Montezemolo/Marcegaglia e il mondo imprenditoriale. Vendola 2 per cento, Di Pietro l’1. Da cosa dovrebbe essere caratterizzata la nuova idea di politica? Per il 52 per cento dai tagli ai costi della politica e ai privilegi, per il 35 dalla crescita dell’occupazione, per il 26 dalla riduzione di tasse e pressione fiscale.

 

Internazionale

 

Su L’Unità si riferisce di una ipotesi prospettata dalla Lega Araba e dall’inviato Onu per la Siria Lakdar Brahimi di costruire un modello simile a quello Unifil in Libano: 3000 caschi blu, come la Forza Onu che presidia il confine tra Israele e Libano. Avrebbero, secondo Brahimi, le infrastrutture e le competenze sul campo per mettere insieme una forza di pace in Siria. L’Italia è tra i Paesi contattati a questo fine, poiché ha avuto un ruolo di primo piano nella stabilizzazione dell’area.

 

Su Il Giornale Magdi Cristiano Allam chiede al Papa di essere accolto in Vaticano con una delegazione di musulmani convertiti al cristianesimo in Europa e nel mondo. L’idea è di Mohamed Christophe Bilek, franco-algerino fondatore della associazione Notre Dame de Kabylie, e che promuove la missione della conversione dei musulmani al cristianesimo. Allam cita alcune cifre su tale fenomeno: nel 2006 lo sceicco Ahmad Al Qataani disse che ogni ora 667 musulmani si convertono al cristianesimo. E ieri a Parigi lo stesso Bilek ha detto che persino in Arabia Saudita ci sarebbero 120 mila musulmani convertiti al cristianesimo.

 

La Stampa ha la sua “cartolina da Kabul”, firmata da Jawad Joya, che è tornato a vivere a Kabul dopo anni di lontananza dal Paese. Parla della vicenda di Malala, la ragazzina di 14 anni cui i taleban pakistani hanno sparato perché colpevole di andare a scuola. La vicenda è sulla prima pagina de L’Unità, che racconta come milioni di persone attendano con il fiato sospeso ogni minimo segno di miglioramento della quattordicenne gravemente ferita dai talebani. Milioni di studenti in Pakistan pregano per lei, insieme agli insegnanti. Fiaccolate di ragazzini della sua età gridano la loro rabbia per strada. Venerdì scorso persino i mullah, nelle moschee pakistane, hanno preso posizione apertamente, durante la preghiera, definendo anti islamico il feroce gesto di violenza. Si riferisce il giudizio del New York Times, secondo cui l’attacco a Malala ha “liberato menti incatenate e talebanizzate”. La ragazza aveva denunciato, con il suo diario scritto per la BBC nel 2009, l’insostenibile vita quotidiana di ragazze e donne negli anni in cui la Swat valley, la sua bellissima regione, era sotto il controllo talebano. Da allora è nel mirino. Nelle aree sotto controllo in Pakistan, i taleban proibiscono l’istruzione femminile, attaccano le studentesse con l’acido, impediscono le vaccinazioni. E’ figlia di un insegnante illuminato e democratico, ed aveva solo 11 anni quando ha deciso di iniziare a parlare.

 

Il Fatto riproduce una intervista di Le Monde al presidente del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad) Kanayo F. Nwanze. L’Ifad è una delle tre agenzie Onu ad aver redatto il rapporto di ottobre secondo cui nel periodo 2010-2012 868 milioni di persone hanno sofferto di malnutrizione. Titolo dell’intervista: “Il continente nero sfamerà il mondo”. Dice che “il ruolo dell’agricoltura su base familiare – che in tutto il mondo conta 500 milioni di persone- non è riconosciuto come merita. I piccoli produttori sono considerati semplicemente poveri che hanno bisogno di aiuto. Ma il settore privato non è solo Monsanto o Unilever. Obiettivo dell’Ifad è dimostrare che il piccolo agricoltore è un imprenditore che vuole guadagnare di più per guadagnare il denaro occorrente a mandare i figli a scuola e a garantire un discreto tenore di vita alla famiglia”. E’ necessario “agevolare l’accesso degli agricoltori al credito e a un certo numero di servizi e infrastrutture, quali ad esempio silos per lo stoccaggio della produzione. Per l’Ifad la commercializzazione della produzione dei piccoli agricoltori è la priorità”.

 

Su La Repubblica un commento di Nadia Urbinati sulla decisione di attribuire il premio Nobel per la pace all’Europa. E’ la democrazia ad aver ricevuto questo Nobel, “perché ha trasformato l’Europa da continente di sanguinosi e atroci conflitti a unione di intenti per la libertà e la tolleranza”. Ma è la democrazia “ad essere in grave crisi oggi, insieme alla identità dell’Unione europea, insieme alla crescita delle diseguaglianze sociali e – come si vede nella umiliata Grecia – insieme alla pace sociale”. Per quel che riguarda l’Italia, essa è a un tempo “laboratorio” e “monito” di una “fase di appannamento del regime democratico”. Il riferimento è ai sistemi di corruzione, al familismo immorale e al clientelismo cronico e via dicendo. Nel laboratorio Italia, secondo la Urbinati, si combattono due battaglie: “per la democrazia e per la giustizia sociale; per la democrazia delle regole e la democrazia del welfare”. Le due battaglie non devono essere disgiunte.

 

La Stampa intervista Gerardo D’Ambrosio, ex procuratore capo di Milano e ora senatore Pd. Commenta l’affermazione della ministra della giustizia Severino, secondo cui siamo di fronte ad una nuova tangentopoli. Per D’Ambrosio le cose “stanno molto peggio rispetto a venti anni fa. Si prendono i soldi direttamente alla fonte, cioè nelle tasche dei cittadini. Con Tangentopoli ci si muoveva soprattutto per finanziare partiti, e venivano richieste tangenti”, “oggi si bada all’arricchimento personale”. Una volta il reato era quello di corruzione, ora sempre più spesso è il peculato: “il peculato – spiega D’Ambrosio – è il reato tipico di chi si appropria dei soldi pubblici nella convinzione che, essendo pubblici, non siano di nessuno”.

 

La Repubblica torna ad occuparsi dello scrittore tedesco Gunter Grass, che torna ad attaccare Israele in una intervista alla radio pubblica tedesca. La definisce “forza d’occupazione che ruba terre” e ribadisce che “Israele è una potenza nucleare incontrollata”. “Esistono aspetti razzisti in Israele”, dice Grass.

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