Tensione Monti-Bersani

Il Corriere della Sera: “I redditi perduti delle famiglie. Lavoro e prezzi: spariti almeno mille euro all’anno. La pressione fiscale arriva al 45 per cento. Giù i consumi, potere d’acquisto ridotto del 2,9 per cento”. In alto la politica: “Bersani contro Monti: ora dica con chi sta. Il premier: non sono la stampella di nessuno”. L’editoriale di Aldo Cazzullo (“La scomparsa degli ecologisti”) parla della assenza di liste verdi e ambientaliste alle prossime elezioni.

La Repubblica: “Bersani: Monti non aiuti Berlusconi”. “La replica del premier: ‘Alleanze premature, non solo la stampella di nessuno’. Il leader del Pdl questa sera ospite di Santoro”. “Scontro sulla Lombardia. Le magistrate di Milano: offese dal Cavaliere”.

A centro pagina si parla del rapporto spedito dai Servizi segreti italiani al Comitato parlamentare compentente, e dedicato alla “infiltrazione dei cinesi nell’Italia colpita dalla crisi economica: “I Servizi: Italia a rischio per lo shopping cinese”.

Anche L’Unità parla in prima pagina del “duello Bersani Monti”, e offre tra gli altri un articolo dedicato ai “fuoriusciti del Pdl nelle liste del Professore”.

Secondo Europa è il “triangolo lombardo” che fa “innervosire anche il Pd”. L’incubo di Bersani sarebbe il “pareggio” per colpa della Lombardia, regione chiave. Se il Pd perdesse in quella regione avrebbe una maggioranza traballante in Parlamento. E ieri si parlava di una candidatura di Albertini anche al Senato.

La Stampa: “Tasse e alleanze, scontro a tre. Berlusconi: niente imposte a chi assume giovani Il Pd: giù l’Irpef ai redditi bassi. Bersani apre al ticket con Monti ma il premier frena: non sono stampella di nessuno”.

Libero: “La bomba di Silvio. Zero tasse sul lavoro. Berlusconi vuole abolire le trattenute fiscali e previdenziali per i nuovi assunti per cinque anni. Poi attacca: ‘L’austerità ci porta al fallimento. Se vinco, ricontratteremo il fiscal compact”.

Il Giornale: “Berlusconi gioca il jolly, zero tasse a chi assume”. “Dopo l’affondo sull’Imu, ecco la ricett adel centrodestra per rilanciare l’occupazione”. “E il Pdl gioca in contropiede: già pronti programmi e alleanze”.

Il Fatto apre con le candidature del Pd: “Dossier Crisafulli. Candidare quest’uomo? Il rapporto top secret dei Carabinieri sul senatore siciliano del Pd di nuovo in lista dopo il trionfo delle primarie, sebbene indagato per abuso d’ufficio. ‘Fece pavimentare la strada per la sua villa a spese della Provincia’”. In prima anche la notizia della relazione conclusiva della Commissione parlamentare antimafia: “La trattativa? ‘Intesa tacita, ma all’insaputa dello Stato’”.

Il Sole 24 Ore: “Mutui casa: calano in Europa ma in Italia restano al 4,05 per cento.Il calo dell’Euribor ha ridotto la media europea dei tassi al 3,35 per cento, ma le banche italiane non si sono adeguate”.

Il Foglio dedica l’apertura alla politica estera Usa: “Biden, Kerry e Hagel. E’ il team per l’opzione zero in Afghanistan. L’Amministrazione e la tentazione di non lasciare solo un solo soldato americano dopo il ritiro del 2014. ‘Sarebbe pericoloso’”.

Politica

Il Corriere della Sera intervista Natale Forlani: “Che errore appiattire il mondo cattolico su un partito”. L’ex portavoce del Forum di Todi dice: “Io, insieme ad altri, pensavo che il Forum dovesse esercitare una, diciamo così, pressione prepolitica, e quindi essenzialmente di tipo culturale”, e invece “pochi giorni dopo Todi 2, qualcuno ha deciso di trasformare questa idea e questo progetto in un impegno diretto di tipo partitico e di allearsi per questo con Italia Futura e Montezemolo. Scelta del tutto legittima in sé, per carità, ma che è stata fatta senza che gli esponenti più importanti dell’associazione ne sapessero nulla”. Un colpo di mano? “Beh, sì, un colpo di mano. Contro di me dissero che mi ero dimesso perché volevo fare da spalla al Pdl… anzi, perché ero uno del Pdl, un uomo del centrodestra”. E’ vero o no? “No, non è vero. Sono amico di Sacconi, e poi ci ho anche litigato, ma che significa?. Non sono mai stato iscritto al Pdl e se proprio vuole sapere come la penso, le dirò che sono stato un sostenitore dell’esperienza del governo Monti. Non è questione di Monti o non Monti, ma…”. Ma, spiega Forlani, “una cosa è il voto alle elezioni, altra è appiattire tutta la complessa ricchezza del mondo cattolico cercando di canalizzarla su un obiettivo partitico”. Poi ricorda che la “Todi 2” era stata preparata “con il contributo di circa sessanta intellettuali cattolici di grande spessore” che lavoravano ad un “progetto comune” e che “sono stati sistematicamente ignorati”, come i coordinatori Luca Antonini, Stefano Zamagni, Lucio Romano e Mauro Magatti. E quale era questo progetto comune? “Era quello di cercare di avere una forza effettiva di un centinaio di parlamentari presenti nei tre principali partiti, in grado al momento giusto di far valere trasversalmente le questioni che ci stanno a cuore, le questioni eticamente sensibili”. Ma il progetto -fa notare il cronista- ricorda molto quello del cardinale Ruini, ora che succederà? “Ci sarà qualche candidato qua e là”, senza “nessuna possibilità di incidere. I cattolici saranno condannati ad essere irrilevanti”. A che si deve tutto questo? “Alla pretesa di rappresentare una società civile di per sé capace di fare una palingenesi nella politica”. Troppa fretta nell’endorsement della Chiesa a Monti? “Forse una maggiore prudenza nell’assecondare questa tendenza della società civile sarebbe stata auspicabile”, “alla fine Todi è servita solo a afr candidare qualcuno nella lista Monti”.

Nadia Urbinati su La Repubblica critica il “connubio” tra “cattolicesimo e liberismo”, poiché da un lato ci si trova in presenza di un candidato premier come Mario Monti, “che fa del liberismo la sua bandiera morale, oltre che del suo programma politico”, e dall’altro “la Chiesa di Roma, che ne benedice la candidatura, anche se intanto getta l’allarme sui poveri che aumentano di numero”. La Urbinati sottolinea che possono esserci “diverse declinazioni di cristianesimo cattolico” e che “una di queste” può essere quella liberista: “il catto-liberismo” per la Urbinati “tiene insieme il progetto di un dimagrimento dello stato sociale (a cui corrisponde una crescita delle funzioni dell’associazionismo cattolico, magari con l’aiuto pubblico) e la morale della misericordia per i poveri i quali, dove la mano dello Stato non arriva, devono sapere di poter contare sulla carità cristiana.

Luigi Marino, presidente di ConfCooperative e uno dei fondatori del Forum di Todi, ora candidato al Senato con Monti, in una intervista a La Stampa sottolinea che il terzo Forum di Todi in realtà non era in agenda. Sottolinea che “in Italia il cattolicesimo politico è plurale” e che “quando è nata Todi, l’Italia stava attraversando la sua stagione più buia”, perché “l’antipolitica e il disastroso epilogo del governo Berlusconi interpellavano le coscienze dei cattolici che già da tempo erano stati sollecitati dal Papa e dai vescovi ad una nuova stagione di impegno nella vita pubblica”. Perché ha scelto Monti? Marino risponde: “Nel movimento cooperativo ho imparato il valore della sussidiarietà, e nel programma del premier non c’è solo l’ala liberista ma anche quella della economia sociale. Il mio servizio politico al Paese vuole unire disciplina di bilancio e rigore alla solidarietà”.

Carlo Dell’Aringa viene intervistato da L’Unità, e spiega che si candida nel Pd perché “penso che Bersani abbia individuato le due emergenze che devono essere subito affrontate: lo sviluppo e il lavoro”. Sulla riforma fatta dal governo Monti dice che “l’intervento è stato insufficiente proprio perché è mancata la concertazione. La riforma delle pensioni è stata troppo veloce, andava pensata prima e soprattutto valutata nelle sue conseguenze sociali. C’era bisogno di una transizione diversa”. Dell’Aringa nega di aver ricevuto da Monti l’offerta del ministero del welfare, e spiega di essere, da cattolico, “preoccupato dello spread sociale”. “Non posso cambiare il mio curriculum. Ho avuto rapporti stretti con la Cisl e la Confindustria. Sono contento di trovare nelle liste del Pd il segretario della Cisl Santini. Mi piace lavorare in squadra, discutere e poi trovare l’unità. Non sono come quelli che dicono o si fa così o me ne vado”.

Su Il Giornale si racconta del “finto schiaffo del Prof al Pd”, perché ieri Monti ha detto “non sarò la vostra stampella”. “Il premier a parole frena sull’alleanza dopo il voto con Bersani”. In un altro articolo, si legge che “Bersani prepara già l’inciucio con Monti. Dopo le avance sel segretario, Letta conferma: ‘A urne chiuse il nostro primo interlocutore sarà il Professore”.

Il Sole 24 Ore spiega che oggi Monti pubblicherà la lista dei candidati “promossi dal ‘selezionatore’ Enrico Bondi”.

Su Il Giornale un retroscena parla delle “riunioni fiume” a Palazzo Grazioli per la definizione delle alleanze che Berlusconi vorrebbe chiudere. Berlusconi avrebbe deciso di “differenziare al massimo l’offerta elettorale”, puntando a moltiplicare le liste che lo sostengono: ci sono Fratelli D’Italia di Meloni, La Russa e Crosetto, il Mir di Samorì, la Destra di Storace, la lista 3L di Tremonti, Intesa Popolare di Catone e Sgarbi, i pensionati, e naturalmente la Lega al Nord. Al sud ci sarebbe il Grande Sud di Micciché e il Pid di Saverio Romano, e – in Calabria – il Pri di Nucara. In altre regioni ci sarà la Federazione Cristiano Popolare di Baccini, e ci saranno i socialisti di Stefania Craxi. Da capire se ci sarà anche un accordo con Fermare in declino di Giannino, e anche “dove andranno i radicali”.

Internazionale

Gli Stati Uniti, e quindi i loro alleati, potrebbero ritirare tutte le loro truppe dall’Afghanistan entro il 2014, scrive La Stampa, spiegando che è questo l’avvertimento che Washington lancia al Presidente Karzai, che domani incontrerà Obama. E chiosa il quotidiano: “Forse si tratta di una mossa negoziale, da usare tanto con Kabul quanto con il Pentagono, ma gli stessi consiglieri della Casa Bianca non escludono l’ipotesi della opzione zero”. Oggi Karzai arriva a Washington per il negoziato sulla presenza internazionale del suo Paese: è stato spesso critico verso gli Usa, ma non vuole che lascino l’Afghanistan, perché teme per la tenuta del suo stesso governo. L’inviato de La Stampa ha ascoltato la conference call della Casa Bianca con il viceconsigliere per la sicurezza nazionale Ben Rhodes e il coordinatore per l’Asia meridionale Doug Lute. Rhodes ha detto che gli obiettivi strategici in Afghanistan sono due: smantellare Al Qaeda e impedire che possa tornare nel Paese. Poi, però, ha aggiunto: “Ovviamente ci sono molte maniere diverse per centrare questi scopi. Alcune possono coinvolgere truppe americane, altre no”. Si punterebbe in questo caso sui droni, e Rhodes ha concluso che l’ipotesi di ritirare le truppe è “una opzione che consideriamo”. Un po’ è verità, un po’ strumento negoziale per convincere il Pentagono a ridurre le sue richieste (attualmente ci sono 68 mila uomini in Afghanistan, e il generale Allen che li guida aveva lasciato intendere fino a 20 mila soldati per la missione dopo il 2014) e per convincere Karzai ad agire con più responsabilità. Secondo un recente rapporto della Difesa, solo una delle 23 brigate dell’esercito afghano è in grado di operare senza l’assistenza Usa o Nato.

Anche su La Repubblica si lega questa prospettiva di ritiro dei soldati Usa ad una tattica negoziale Obama-Karzai. E si scrive che Kabul vuol far leva sul timore che i taleban possano tornare al potere: in tal modo il clan di Karzai spera di spuntare il massimo di aiuti, soprattutto finanziari. Obama vorrebbe togliergli l’arma negoziale sulla presenza di truppe straniere dopo il 2014. Tanto più che Washington non accetta di ottenere una garanzia essenziale: l’immunità per i soldati Usa che restano.

Restiamo a La Repubblica per occuparci dei risarcimenti per torture e abusi avvenuti nel carcere di Abu Ghraib durante la guerra in Iraq. Sette militari Usa furono condannati, oggi le vittime delle violenze ricevono un risarcimento di 5 milioni di dollari. A versarli è la Engility Holding, azienda di contractor del settore difesa Usa. Spiega il Corriere che una azienda appalatatrice di contractor, accusata di complicità, risarcirà 72 ex prigionieri. A versare la somma sarà l’americana Engilty Holding, per conto della controllata L3 Services. L’Unità scrive che questa azienda doveva provvedere agli interpreti, e che l’accusa è che i suoi dipendenti abbiano partecipato direttamente alle violenze durante gli interrogatori e che per quelle violenze furono processati alcuni militari: 11 in tutto, condannati a pene detentive fino ad un massimo di 11 anni. In questo caso non ci sono stati risarcimenti in denaro, perché il governo Usa è immune da rivendicazioni connesse ad operazioni di tale natura. Meno chiaro sul piano giuridico è la posizione dei tanti privati che hanno partecipato attivamente alla guerra, perché le corti Usa non hanno ancora deciso se estendere a questi soggetti una immunità legale. In ogni caso, non c’è stata alcuna azione giudiziaria promossa dallo Stato contro l’operato delle aziende di contractors.

Sul Corriere della Sera la foto di 48 iraniani commossi fino alle lacrime dopo la liberazione, in Siria, da parte dei ribelli. Per il Corriere è “il grande scambio di Damasco”, un baratto che sintetizza “attori e snodi della crisi siriana”. Il regime di Assad ha liberatoo 2130 prigionieri per ottenere il rilacio di 48 iraniani da parte dei ribelli. La complessa partita è iniziata ad agosto, quando gli insorti hanno intercettato alcuni bus con a bordo i 48 iraniani: loro dichiarano di essere dei pellegrini sciiti, e per mesi la stessa cosa ripete Teheran. In realtà la comitiva è composta da ufficiali dei pasdaran, e da elementi della divisione Qods, l’apparato clandestino incaricato di missioni speciali. Il gruppo fa parte di un contingente inviato dall’Iran per assistere gli alleati siriani nella repressione. A mediare per la liberazione sono stati Turchia e Qatar, due tra i principali sostenitori della opposizione ad Assad. Tra i 2130 detenuti “politici” liberati ci sarebbero anche turchi e palestinesi, attivisti, militanti, donne, adolescenti. Ovviamente un ruolo di primo piano l’ha avuto l’Iran nella trattativa: “L’essenza della storia è che Assad è ancora al potere, e non vuole cedere, ma se ènecessario trovare soluzioni bisogna chiedere alle potenze regionali. Turchia e Qatar da un lato, Iran dall’altro. E probabilmente una via da esplorare è quella iraniana. Teheran può forse convincere il dittatore a trovare una intesa.

L’Unità si occupa delle prossime elezioni in Germania. A partire da quelle in bassa Sassonia, previste per il 20 di gennaio: “Liberali a picco, Merkel verso la grande coalizione”. Nei sondaggi la Fdp sarebbe al 2 per cento, mentre la Cancelliera vola, senza più liberali, alle elezioni per il rinnovo del Bundestag, a settembre, uscirà o perdente o costretta ad allearsi con i socialdemocratici, se non con i Verdi. Per L’Unità è una occasione per riflettere sulle ripercussioni per la sinistra europea: si riuscirà ad elaborare una contro-agenda per la crescita, visto che il socialista Hollande è in difficoltà in Francia e da noi la campagna elettorale “è partita pro o contro una agenda Monti”.

Il Corriere della Sera si interroga sulle possibilità che ha il candidato socialdemocratico alla Cancelleria Steinbruck sia quello giusto per sconfiggere la Merkel. A porsi questo interrogativo è stato il quotidiano Handelsblatt. Steinbruck è stato scelto per la sua competenza economica e politica acquisita come ministro delle finanze nella Grosse Koalition ai tempi della crisi, e soltanto un mese fa il congresso del suo partito aveva votato al 93 per cento per la sua candidatura. Ma il settimanale Stern ha scritto che, secondo nuovi sondaggi, solo il 22 per cento degli elettori voterebbe per lui (4 in meno rispetto a dicembre) mentre il 58 per cento preferirebbe la Cancelliera (che ha guadagnato il 7 per cento nei sondaggi).

Si citano poi le gaffes commesse da Strinbruck: onorari elevati per i suoi discorsi, critiche allo stipendio che considera “troppo basso” (circa 300 mila euro) della Cancelliera, e lobbying presso la Thyssenkrupp.

Il Corriere della Sera si occupa invece delle elezioni parlamentari israeliane previste il 22 gennaio, e lo fa intervistando il leader dell’ultradestra Naftali Bennet. “Il milionario israeliano che vuole annettere la Cisgiordania. E insidia Netanyahu”. Idolo dei coloni, ha portato il suo partito a una spettacolare ascesa: diventerebbe la terza formazione del Paese. Dice: “Stabilire uno Stato palestinese nella terra di Israele porterebbe ad una guerra eterna”. Il suo piano è annettere il 60 per cento della Cisgiordania, offrendo ai 50 mila palestinesi che vi risiedono la scelta tra la cittadinanza e andarsene.

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