Se Occupy Taksim manda in crisi il ‘modello turco’

 

Il Corriere della Sera: “Ilva commissariata, un caso”, “Bondi alla guida. Il governo: non è un esproprio”.

In prima anche i piani sul Fisco: “Le case pignorate non andranno all’asta”, “Equitalia esattore dei Comuni per altri 6 mesi”, “rate flessibili e ricorsi più facili”.

Sotto la testata, il richiamo alla Giornata mondiale dell’Ambiente: “Clima, energia e cibo. Cosa fare (subito) per aiutare la Terra”.

In taglio basso: “Sceltri i 35 saggi per le riforme. Presidenzialismo, il Pd frena”.

 

La Stampa, a centro pagina: “Riforme, ecco i saggi di Letta”, “Scelta trasversale, non c’è Amato: forte presenza di innovatori. Domani da Napolitano”.

Sotto la testata: “Ilva, tensione nella maggioranza”. Ma anche: “Trentamila morti per amianto in 15 anni”

 

Il Sole 24 Ore: “Pagamenti Pa, 21 miliardi già assegnati ai Comuni”, “Via libera del Senato al decreto: ora passa alla Camera. Entro 60 giorni l’erogazione”, “Resta lo ‘scippo’ dei 400 milioni sottratti alle imprese”.

 

Il Giornale si occupa delle motivazioni della ultima condanna a Berlusconi, quella per le intercettazioni Fassino-Consorte nella vicenda Unipol: “Pdl a un passo dalla rivolta. L’ultima condanna di Berlusconi (caso Unipol) talmente assurda (concorso morale) da far traboccare il vaso. A rischio anche la tenuta e il futuro del partito dei moderati”.

 

Anche La Repubblica punta sulle motivazioni della sentenza Unipol: “’Unipol, decise tutto Berlusconi’”, “le motivazioni della condanna”. “Renzi: potrei candidarmi alla segreteria Pd”. A centro pagina: “L’Ilva tolta ai Riva per tre anni”.

 

L’Unità: “Il Watergate di Berlusconi. Le motivazioni della sentenza Unipol: da capo Pdl e premier agì contro Fassino e i Ds”.

 

Saggi e riforme

 

La Stampa scrive che con un colpo di acceleratore, il governo ha varato la Commissione di esperti che aiuterà il Parlamento sulle riforme della Costituzione. 35 cattedratici “ben bilanciati sul piano degli orientamenti politici, culturali e anche di genere, vista la presenza significativa al femminile”. Domani saranno accolti al Quirinale per un incontro “che non si annuncia celebrativo”. Napolitano pare abbia personalmente depennato nomi che non gli sembravano consoni al ruolo o all’altezza della sfida istituzionale, sebbene venissero spinti avanti con forza dai rispettivi partiti. Per il quotidiano nella composizione della commissione si è cercato “un equilibrio tra i fautori della ‘più bella Costituzione del mondo’ e chi invece ritiene sia giunto il tempo di una innovazione”. Due mesi tra i quattro saggi nominati dal Capo dello Stato prevalevano i conservatori dell’attuale assetto costituzionale. Sono di cultura “riformista” Augusto Barbera e Stefano Ceccanti, ma anche due costituzionalisti in qualche modo di area “renziana” come Francesco Clementi e Maria Cristina Grisolia, mentre sono considerati di approccio parlamentarista Massimo Luciani, Elisabetta Catelani, Marco Olivetti ,Valerio Onida, Luciano Vandelli, Luciano Violante, Pietro Ciarlo, Mario Dogliani. All’area di sinistra appartengono invece alcuni dei fautori più accaniti della ‘Costituzione più bella del mondo”, non necessariamente vicini al Pd, che condividono la cultura costituzionalista incarnata dall’ex presidente Zagrebelsky. Sia pur con percorsi diversi, appartengono a questa cultura alcuni tra i componenti della commissione come Lorenza Carlassare e Nadia Urbinati. Di approccio più innovatore i costituzionalisti di centrodestra Niccolò Zanon, Giuseppe de Vergottini, Beniamino Caravita, Ginevra Ferrina Feroni, Giuseppe di Federico, Stefano Mannoni, Ida Nicotra. Battitori liberi sono considerati Michele Ainis, Angelo Panebianco, Cesare Mirabelli, Guido Tabellini. Ma anche colui che si presenta come il veterano di queste commissioni, Francesco D’Onofrio, uno dei professori della stagione De Mita, oltre che componente di due bicamerali, la De Mita Iotti e la Commissione D’Alema. Lo stesso quotidiano si occupa anche della assenza di Giuliano Amato, “peso massimo del riformismo socialista”. Eppure – scrive il quotidiano – Amato è il nome che ha sempre in mente Napolitano quando si tratta di sciogliere nodi complessi. Ieri lo stesso Amato ha parlato in occasione della presentazione di un libro dedicato al Craxi della stagione della grande riforma: “Si può discutere di tutto, ma non con la premessa che gli assetti istituzionali possano essere sostitutivi della politica. Non si migliora una politica diventata marmellata dandogli una protesi”. Insomma, scrive La Stampa, si tenta di nascondere la debolezza dei partiti. Qualcosa lo ha detto anche D’Alema, seduto ieri proprio accanto ad Amato nella direzione del Pd. “Si può discutere di tutto, ma la discussione non può partire sostenendo che chi vuole il semipresidenzialismo è un vero riformatore e tutti gli altri sono conservatori”, ha detto, ricordando che la bicamerale da lui guidata fallì perché Berlusconi rovesciò il tavolo proprio sul semipresidenzialismo. Ma se poi il semipresidenzialismo prendesse corpo, serviranno gli adeguati contrappesi e – ha aggiunto – bisognerà comunque sottoporre la riforma al giudizio dei cittadini.

 

Il Corriere della Sera intervista Gustavo Zagrebelsky che, sul semipresidenzialismo e sulle divisioni provocate all’interno del Pd, dice: “Penso che il tema andrebbe trattato non come fosse al centro di una guerra di religione o di una disputa ideologica, ma guardando empiricamente come funziona il Presidenzialismo nei vari Paesi. Non cìè forma di governo piùù camaleontica”. Zagrebelsky sottolinea che sono sistemi presidenziali o semi gli Usa come molti Stati del sudAmerica, “che hanno avuto vicende di colonnelli che dall’esercito diventano capi di Stato”, e la gran parte dei Paesi dell’Africa ha un sistema presidenziale. Così come la Russia di Putin. L’Italia è inadatta? “Sotto ogni profilo. Sociale: il presidenzialismo può funzionare se il tasso di corruzione è nei limiti della fisiologia”. “Politico: i Paesi in cui non crea problemi di eccessivo accentramento di poteri sono quelli in cui il capo del governo è il prodotto di partiti che hanno una loro vita politica e loro regole. Negli Usa i partiti non sono solo comitati elettorali. Da noi, invece, “la degenerazione personalistica nella politica è evidente”.

 

La Repubblica dà conto della reazione in casa Pd sulle riforme: nessun muro, neanche sul semipresidenzialismo che – ha detto il segretario Epifani – “non è il diavolo”. Ancora Epifani: “siamo pronti a tutto, se dovesse prevalere negli altri la decisione di far saltare il tavolo. Anche se la nostra idea di governo e il bisogno di riforme istituzionali richiedono un impegno di due anni”. Ecco perché il quotidiano titola: “Epifani chiede due anni di governo, ‘ma se il Pdl rompe reagiremo’”. Epifani, secondo La Repubblica, ritiene che ci voglia subito una legge elettorale “di sicurezza” e che tra gli iscritti, proprio a partire dalle proposte anti-porcellum e sulle riforme, si possa fare una consultazione. E’ il referendum chiesto dai due ordini del giorno presentati in direzione Pd da Fioroni e Civati da una parte, e da Damiano, Chiti e Puppato dall’altro. Accolti di fatto, anche se la conta sull’elezione diretta del capo dello stato che sta agitando il Pd, è rinviata.

Alla prima direzione dell’era Epifani ieri il sindaco Renzi ha ascoltato anche l’annuncio che costituisce l’altro dato politico della giornata Democrat: segretario e premier saranno ruoli distinti e separati.

Epifani ha anche promesso che il Congresso si terrà entro l’anno. E questo è importante per Renzi, che potrebbe organizzare una staffetta a Firenze, dove si vota nella primavera del 2014, e lascerebbe quindi il ruolo di sindaco senza strappi, mantenendo intatto il rapporto di fiducia con i fiorentini. Sullo stesso quotidiano: “Renzi pronto alla corsa alla segreteria”, si titola, riassumendo così uno sfogo del sindaco: “Mi chiamano in ballo su tutto, anche quando mi defilo, anche quando garantisco lealtà. Allora tanto vale…”.

Anche su La Stampa un “colloquio” con Renzi, che dice: “Io non tramo contro il governo. E’ perfino offensivo che lo si dica”, “sia chiara una cosa, io non tramo ma non tremo. E visto che di qualunque cosa parlo mi sparano addosso, allora chiedo: se vogliono farmi la guerra loro, me lo dicano, così mi regolo…”.

 

Da segnalare in prima pagina de L’Unità una lettera di Giorgio Napolitano, titolato “Il mio ruolo di garante”, in cui il Capo dello Stato si dice “non poco stupito” di aver letto ieri il titolo di apertura del quotidiano, che si soffermava sul “no di Napolitano” al presidenzialismo, cinque anni fa. Napolitano esorta a “non utilizzare impropriamente interventi pubblici da me svolti in varie occasioni per ‘tirarmi da una parte’ nella disputa in corso tra forze politiche su organi di stampa. Di fronte alla decisione del Parlamento di aprire un processo di riforme istituzionali e costituzionali, non posso che restare rigorosamente estraneo, preoccupandomi solo di garantire che tale processo si svolga secondo regole corrette e auspicando che non parta da sommarie contrapposizioni pregiudiziali”.

 

Ilva

 

Ieri il governo ha annunciato la nomina “ad horas” del Commissario straordinario Ilva. Sarà Enrico Bondi, attuale amministratore delegato dimissionario e – come lo definisce Il Sole – “uomo delle mille emergenze, dal risanamento della Parmalat alla spending review di Monti”. Sarà commissario a tempo, dodici mesi rinnovabili al massimo due volte (tre anni in tutto). A lui il governo si affida per salvare lo stabilimento che, dopo il maxisequestro, era vicino al default. A Bondi è affidato il compito di garantire la continuità industriale e le operazioni di bonifica previste dalla Autorizzazione Integrata Ambientale. La decisione di commissarariare l’Ilva per decreto è arrivata, secondo il quotidiano, dopo un lungo braccio di ferro con il Pdl, che ha frenato a lungo, e con il premier Letta che è stato cruciale nello sblocco della partita. Capofila della protesta è stato l’ex ministro Fitto, e il Pdl ieri ha parlato di un “esproprio aziendale”. Sullo stesso quotidiano si raccoglie l’allarme del presidente di Federacciai Antonio Gozi: “La norma crea un pericolosissimo precedente perché vale per tutti i siti di interesse nazionale, che fino a oggi sono tutte le fabbriche con più di duecento addetti, vale a dire tutta la media e grande impresa nazionale”. Invece, scrive ancora Il Sole, la città di Taranto approva il nuovo decreto: disco verde dai metalmeccanici della città, dai capi dell’azienda, dal sindaco. Il sindaco Stefano avrebbe voluto l’amministrazione straordinaria, ma la strada del commissariamento va bene “se è funzionale alle priorità: rilancio della azienda, risanamento ambientale, tutela dei posti di lavoro”.

Per Adriano Sofri, che continua i suoi reportages dalla città di Taranto, tra gli operai dell’Altoforno è esplosa la rabbia. Dicono: “Bondi? E’ come prendere il centravanti della squadra avversaria e farlo arbitro”. Da un commissario si aspettavano quindi il ripristino di una legalità produttiva e di un clima umano: gli operai trattaticome interlocutori liberi e competenti e i quadri restituiti ad un lavoro fatto bene. Si chiedono come si concili l’amministratore dei Riva con il Commissario del governo.

 

Raffaele Fitto, già governatore della Puglia nonché ex ministro, in una intervista a La Stampa, dice che in Parlamento dovranno esserci modifiche e che ci sono questioni di rilievo costituzionale. Poi spiega: “il decreto scrive che l’azienda verrà gestita da un commissario che non risponderà delle eventuali diseconomie causate dall’azienda, se non per dolo o colpa grave. E’ un precedente pericoloso”.

 

Il Corriere scrive anche della protesta di Vendola su Bondi: “E’ stato nominato amministratore delegato dai Riva, non c’è rottura con il passato”. E a Taranto il decreto non è stato accolto bene dagli ambientalisti, che protestano: “Allunga i tempi del risanamento”. Il quotidiano intervista l’ex ministro Clini. Clini si trova in Brasile, e precisa di non voler commentare il decreto del governo, che non conosce. Della sua azione dice di aver “sempre applicato la legge, e la legge dice che l’Autorizzazione integrata ambientale non è un documento per chiedere le fabbriche ma una procedura per fare in modo che le attività produttive proseguano e vengano risanate. Evidentemente questo approccio non è molto piaciuto a chi riteneva che la fabbrica dovesse essere chiusa”. Si riferisce ai magistrati di Taranto? “Beh, loro l’hanno dichiarato in modo esplicito. Io ho rilasciato l’Aia il 26 ottobre 2012, l’Ilva ha risposto accettando il piano degli interventi il 15 novembre, e tutto era pronto per partire. Ma il 26 la magistratura ha sequestrato i prodotti finiti, bloccando di fatto l’area a freddo dello stabilimento”.

 

Il Foglio offre un “colloquio” con Flavio Zanonato, che dice che il governo ha trattato la vicenda Ilva come “materia di interesse strategico nazionale. L’azienda è salva e questo è un bene per l’economia italiana, perché può tornare a essere competiva, rispettando ambiente e salute”. La nomina di Bondi sarà per dodici mesi, “era un intervento di urgenza”. Il Foglio scrive che la vicenda Ilva “si presenta come una tipica storia di capitalismo straccione italiano: pochi investimenti, produzione di scarso valore, nessun miglioramento tecnologico, nessun collegamento con i centri di ricerca del Paese, l’impianto industriale di Taranto ha rischiato la chiusura perché la proprietà non ha investito come avrebbe dovuto per l’ammodernamento di impianti considerati altamente inquinanti. Su Bondi dice: “Adesso lavora per il governo”.

 

Sul Sole 24 Ore le accuse della inchiesta di Milano sul “giro estero dei fondi dei Riva”, dopo il sequestro degli 1,2 miliardi di euro. Si tratta delle nuove indagini con cui viene ricostruita la mappa completa delle operazioni dall’Olanda a Panama.

 

Internazionale

 

Oggi il vicepremier turco Arinc incontrerà una delegazione di ottanta associazioni diverse aderenti al progetto “solidarietà a Taksim”, dopo le sanguinose proteste dei giorni scorsi. Il Corriere riferisce che sono quattro le richieste del movimento: il parco della città di Istanbul Gezy non deve essere toccato; i responsabili del comportamento delle forze dell’ordine, a partire dal governatore della città, devono essere puniti; tutte le persone arrestate devono essere rilasciate; qualsiasi divieto di manifestare a Taksim o altrove deve essere rimosso. La Repubblica riferisce le paroel pronunciate ieri dal vicepremier: “mi scuso per questo con i cittadini”, ha detto Arinc riferendosi alle brutalità della polizia. Ed ha aggiunto: “Il governo ha imparato la lezione, non abbiamo il diritto e non possiamo permetterci di ignorare la gente. Le democrazie non possono esistere senza l’opposizione”, “il nostro governo rispetta ed è sensibile a tutti gli stili di vita”. Il sindacato ha proclamato già da ieri un lungo sciopero, e le proteste hanno registrato la terza vittima. Ad Antalya il sindaco, appartenente al partito social democratico, cioè all’opposizione, ha negato l’acqua del comune per rifornire gli idranti della polizia. Il Corriere scrive che anche l’Onu ha chiesto indagini “tempestive, complete, indipendenti e imparziali” sugli incidenti. Una analisi di Antonio Ferrari parla di una resa dei conti possibile al vertice del Paese: tra il capo dello Stato Gul (anche lui appartenente all’AKP di Erdogan) e il primo ministro, gli screzi non sono mancati, e il primo mal sopporta quel che Erdogan non riesce a vedere di se stesso, ovvero l’autoritarismo. Erdogan, nel lavoro di tessitura della sua base, aveva contato su due capisaldi: “coniugare la conservazione con la crescita e il consumismo” e “dare spazio a istituzioni e fondazioni islamiche, a cominciare da quella di Fetullah Gulen, che tira le fila dagli Usa. Fallimento su entrambi i fronti: conservazione è diventata sinonimo di islamizzazione”. E con Gulen i rapporti si sono guastati, anche perché il pensatore sarebbe contrario alla pacificazione tra la Turchia e il leader PKK Ocalan

Sullo stesso quotidiano, con un richiamo in prima, un intervento del filosofo francese Bernard-Henry Levy, sotto il titolo: “Da dieci anni perdoniamo tutto a Erdogan”. In questi anni si è tollerato tutto: gli arresti di giornalisti e intellettuali, l’arbitrio e il terrore quotidiano, “veniva tollerato che venissero chiuse le rivendite di bibite alcoliche con il pretesto di salvaguardare la salute pubblica, e che si condannassero per il reato di blasfemia scrittori, artisti, umoristi. Si accettava in nome del ‘islamismo moderato’ che si riteneva rappresentasse gli accessi di febbre antisemiti e il rifiuto ostinato, quasi folle, di riconoscere il genocidio armeno, a pochi mesi dal suo centenario. Ci si rifiutava di vedere la repressione dei curdi e delle altre minoranze”, “poiché Ankara val ben una predica, era stato costruito il mito di un ‘modello Akp’ fondato su un islamismo di stato, controllato e – quindi – ponderato, che doveva assomigliare – in modo un po’ più energico, ma appena! – ad una democrazia cristiana alla italiana o alla tedesca”.

Ora il velo si è strappato, in piazza ci sono ecologisti, laici, kemalisti, aleviti (preoccupati che il terzo ponto sul Bosforo sia intitolato al sultano Selim I, responsabile dei massacri che li decimarono cinque secoli fa): “E’ il re Erdogan ad essere nudo, ed è il mito del suo islamismo sorridente a dissolversi come un miraggio”.

Su La Repubblica, Ian Buruma sottolinea che parlando delle proteste si sono fatti paragoni con Occupy Wall Street, e si parla addirittura di una “primavera turca”. Scrive Buruma: “All’apparenza, al cuore della questione turca vi sarebbe la religione. L’islam politico è considerato dai suoi oppositori come intrinsecamente antidemocratico. Naturalmente, però, la faccenda non è così semplice. Lo stato secolare kemalista non era infatti meno autoritario del regime islamista populista di Erdogan. Tutt’al più è vero il contrario, ed èinoltre significativo il fatto che le prime proteste di piazza Taksim ad Istanbul non siano sorte a causa di una moschea ma di un centro commerciale. La paura della sharia si accompagna alla rabbia suscitata dalla rapace volgarità dei costruttori e degli imprenditori sostenuti dal governo di Erdogan. La primavera turca sembra animata da sentimenti di sinistra. Scrive ancora Buruma: “L’alleanza tra uomini d’affari e populisti religiosi non è certo un fenomeno esclusivamente turco. Molti dei nuovi imprenditori, così come le donne che si coprono il capo, provengono dai villaggi dell’Anatolia, sono nuovi ricchi di provincia, e nutrono nei confronti della vecchia elite di Istanbul un risentimento paragonabile all’odio che un uomo d’affari del Texas o del Kansas prova nei confronti delle elites liberal di New York o di Washington.

Buruma evidenzia come vi siano dei paradossi nella primavera araba in generale. E scrive: “La maggiore visibilità dell’islam è una inevitabile conseguenza delal diffusione della democrazia. Fare in modo che questa maggiore visibilità non vada a scapito della tolleranza rappresenta il compito più importante a cui i popoli del medio oriente devono fare fronte. Erdogan non è certo un liberale, ma la Turchia è ancora una democrazia. C’è da augurarsi che le proteste contro di lui la rendano anche più tollerante”.

 

E poi

 

Le prime tre pagine del Corriere sono dedicate alla giornata mondiale dell’ambiente: “Lo squilibrio in cifre: 3,5 trilioni i costi economici e sociali della malnutrizione nel mondo. I danni da fame e malnutrizione ci costano 500 dollari a testa. Due miliardi di persone soffrono per una alimentazione inadeguata. La Fao, nel suo rapporto scrive che il 25 per cento dei bambini sotto i 25 anni è affetto da rachitismo. 1,4 trilioni di dollari è la spesa sanitaria dovuta alla sovra-alimentazione. 4 pianeti sarebbero necessari per sfamarci se tutti consumassero come gli americani. 0,6 pianeti sarebbero necessari se tutti consumassero come gli indonesiani. E’ la denuncia dell’anima più ambientalista di Confagricoltura: il cemento in dieci anni si è mangiato 200 mila ettari di suolo agricolo.

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