PPE contro il populismo

Il Corriere della Sera: “Berlusconi-Merkel, nuovo caso. Il leader Pdl. Lo spread un imbroglio. Monti:basta populismo. Il governo tedesco avverte che non accetterà attacchi durante la campagna elettorale”. A centro pagina: “I ‘moderati’ del Pdl tentati dallo strappo. L’alt leghista al Cavaliere. Da Frattini a Quagliariello in attesa del Professore”.

La Stampa: “La Germania contro Berlusconi. Il premier replica. I nostri concittadini non sono sprovveduti. Il PPE: grave errore far cadere il governo dei tecnici”.

La Repubblica. “L’Europa boccia Berlusconi. Il Cavaliere: lo spread un imbroglio. Il PPE: grave errore sfiduciare Monti. Merkel: gli italiani terranno il Paese sulla giusta via. Confindustria: ripresa solo nel 2014. Risale la Borsa, si allenta la tensione sui Btp”. A centro pagina, con foto: “Grillo: fuori chi mi critica. La base: sei come il Duce”.

Il Giornale: “L’occupazione tedesca. Berlino tifa Monti. Le Borse risalgono, l’arma dello spread non funziona. E ora la Merkel vuole condizionare la democrazia e il voto italiano. Berlusconi sfida il premier: ‘Ha peggiorato il Paese’. E pensiona 9 parlamentari su 10”.

Europa si sofferma sulla “euroscomunica” al Premier da parte del suo stesso partito: “Cacciato di casa, il PPE non vuole Berlusconi”.

Il Foglio dedica l’apertura alla “carta d’intenti del Prof”. “Il memorandum segreto. Così nasce la campagna parallela di Mario Monti. Il presidente del Consiglio prepara un documento da presentare alle Camere. L’ipotesi del voto, le scelte per il futuro”.

Il Fatto quotidiano: “Rai, i partiti uniti nella lotta. Rinviare il festival di Sanremo”. “Dopo la battuta della Littizzetto (‘B. ha rotto il cazzo’) il Pdl Verro ordina: Evitiamo la sovrapposizione con le tribune elettorali’. Detto, fatt: risolta la vera emergenza del Paese”. A centro pagina: “Liste, trappola delle firme contro Grillo Arancioni”. “Resta il Porcellum e una norma che penalizza i nuovi”.

Libero: “Dai Silvio, rottamali tutti. Berlusconi annuncia che non ricandiderà il 90 per cento degli attuali parlamentari. E’ quel che vogliono gli elettori delusi: gente seria e capace con un programma credibile. Vietato tornare indietro”.

L’Unità: “Il me ne frego del Cavaliere”. E, accanto: “Grillo si crede Berlusconi: chi mi critica se ne vada”.

Il Sole 24 Ore dedica il titolo di apertura ai dati del Centro studi Confindustria: “La ripresa arriverà solo nel 2014. Squinzi: la priorità assoluta è la crescita, l’Italia ha le risorse per superare le difficoltà. Il CsC rivede le stime: Pil in calo dell’1,1 per cento nel 2013, poi recupero (+0,6) l’anno successivo. Consumi in caduta (-3,2 per cento) a fine 2012”.

Berlusconi

Libero offre la trascrizione di ampi stralci della intervista a Silvio Berlusconi di Maurizio Belpietro, nel corso della sua trasmissione mattutina su Canale 5. “Ne caccio nove su dieci”, il titolo. “Abbiamo deciso di presentare un movimento con immissione di forze nuove: il 50 per cento dei nostri candidati devono venire dal mondo del lavoro, dal mondo delle imprese e delle professioni. Il 20 per cento deve essere preso da quegli amministratori locali che sono stati rieletti una seconda volta e che si sono conquistati la fiducia dei cittadini. Un altro dieci per cento fra personalità della cultura e dell’arte e un altro 10 da quelli che sono i nostri parlamentari attuali”. Il Pdl cambierà nome? “Se quelli di An avessero una loro formazione politica cadrebbe il loro veto a una modifica del nome Popolo della Libertà. Ma non è che Popolo della Libertà sia un brutto nome, anzi ha due parole bellissime. Il problema è che non si parla di Popolo della Libertà ma di Pdl, si usa l’acronimo. Quindi è possibile che noi sottoporremo alla direzione nazionale un altro nome, oppure mantenere il Popolo della Libertà presentandoci però con un altro simbolo quello glorioso di Forza Italia che ci porta indietro negli anni, alle origini, alla nostra discesa in campo del 1994”.

Spread, Europa, Germania

Nel corso dell’intervista Berlusconi ha commentato anche le notizie relative alla instabilità dei mercati e dello spread, salito a 360 punti all’indomani del preannuncio di dimissioni del governo Monti: “Non c’è una ragione vera perché i mercati si debbano agitare. Per lo spread, smettiamola di parlare di questo imbroglio. Di spread non si è mai sentito parlare, se ne parla solo da un anno, ma che ci importa di quanto e gli interessi che il nostro debito pubblico paga a chi investe sui nostri titoli, rispetto a quelli che pagavano investitori che investano sul debito pubblico tedesco. Noi siamo andati avanti nel Paese da quando c’è l’euro a pagare il 4,3 per cento, la Germania pagava il 3,3, poi la Germania ha deciso di fare una cosa nei suoi interessi: ha ordinato a tutte le banche di vendere tutti i titoli del tesoro italiano che avevano in cassa”, “gli altri fondi internazionali e americani hanno pensato ‘se la Germania vende ci sarà qualcosa sotto, hanno venduto anche loro, e allora tutti gli altri investitori, per investire nel nostro debito pubblico e in quello dei Paesi cicala, hanno chiesto un premio per il rischio teorico di investire sui nostri titoli”.

Il Corriere intervista Renato Brunetta. Gli vien chiesto se sia stato lui a convincere Berlusconi del fatto che lo spread sia un grande imbroglio: e l’ex ministro conferma, ricordando che questo è proprio il titolo del suo libro, “ci parliamo quasi tutti i giorni e l’ho convinto. Del resto due premi Nobel gli hanno detto lo stesso”. Cosa ha scoperto studiando? “Che tutto comincia per causa della Deutsche Bank che, oppressa da titoli tossici, ha venduto otto miliardi di titoli di debito pubblico italiano”. Poi dice, a proposito del calo dello spread: “Si è detto che Monti lo ha fatto diminuire, ma non è vero, è stata la Bce”.

Franco Venturini, sul Corriere della Sera, in una analisi dal titolo “L’Europa (e la Germania) temono il vento populista che soffia sull’Italia”, si sofferma sui “marcati accenti antitedeschi” adottati da Berlusconi. E della risposta del ministro degli esteri tedesco Westerwelle: “Non accetteremo che la Germania sia fatta oggetto di una campagna elettorale populista”. Venturini ricorda di aver criticato spesso alcuni aspetti della politica tedesca in Europa, come la lentezza nell’applicare le decisioni comuni: “Ma demonizzare la Germania è cosa ben diversa. Dire che è stata Berlino a sabotare volontariamente l’equilibrio finanziario dell’Italia (che peraltro non esisteva, men che meno al momento delle dimissioni di Berlusconi), sostenere implicitamente che se in questo anno sul capo degli italiani sono piovuti sacrifici è colpa della Germania oltre che di Mario Monti, questo è davvero sabotaggio. Dell’Italia e dell’Europa, non certo della Germania”. Venturini però, allo stesso tempo, sottolinea che anche il Partito Democratico di Bersani dovrebbe riflettere perché il segretario Pd “non rassicura, a causa della sua alleanza, con le opinioni assolutamente rispettabili ma meno moderate di Nichi Vendola”, come confermato dalle dichiarazioni dello stesso governatore pugliese ieri: “Se c’è l’agenda Monti io non ci sono. Se c’è l’agenda Bersani, io ci sono”.

La Stampa dà conto della conferenza stampa tenuta ieri a Strasburgo dal capogruppo PPE all’europarlamento, il francese Joseph Daul, che aveva accanto a sé, peraltro, il capodelegazione italiana e parlamentare del Pdl Mario Mauro. “E’ stato un grave errore provocare le dimissioni di Mario Monti”, ha detto Daul. Ancora parole di Daul dal Corriere: “Per l’Euro e per l’economia non ci possiamo permettere una politica spettacolo”. Secondo La Repubblica la “scomunica” a Berlusconi da lui pronunciata non è stato un atto estemporaneo, perchè sarebbe stata “soppesata” dai leader conservatori, dalla Merkel a Rajoy, da Juncker a Katainen. E a poco sarebbe servita una telefonata nel pomeriggio del Cavaliere, che avrebbe tentato di rabbonire Daul: “Io resto europeista, ma attaccare la moneta unica porta voti”, avrebbe detto Berlusconi.

Il Giornale intervista Antonio Tajani, vicepresidente della commissione europea e vicepresidente del PPE dal 2002: “Il Pdl? Non è populista. Il Cav odia la burocrazia, ma è il primo europeista”, “se il Pdl fosse stato un partito populista antieuropeo me ne sarei andato da un pezzo”.

Ancora parole di Daul citate dal Sole 24 Ore: il Ppe “combatterà tutti i populismi”. Poi le parole di Mauro: “Se le elezioni in Italia diventeranno un referendum sull’Europa, io starò dalla parte dell’Europa”. Se ne occupa anche il Corriere della Sera, parlando di “strappo” di Mauro: “Se non scegliamo l’Europa io non ci sto”.

Pd

Su La Stampa: “Bersani tira dritto: a gennaio primarie per i parlamentari”. Secondo il quotidiano potranno votare i 500 mila iscritti al Pd. Ma “la confusione regna sovrana: non si sa se tutti quelli con oltre tre mandati potranno gareggiare, se si voterà su listini corti di cinque-sei nomi su base provinciale o su listoni regionali, se bisognerà avere un certo numero di firme di iscritti per entrare in lista, dando così gran voce alle correnti, che sono sul piede di guerra di fronte ad una prospettiva che potrebbe squassare equilibri già stravolti dal 40 per cento ottenuto da Renzi alle primarie”.

Se ne occupa anche il Corriere della Sera. “Primarie per le liste, quota di nomine al leader. E i renziani: votino tutti”. La battutaccia che gira alla Camera è “il porcellum di Bersani”, visto che al segretario sarebbe riservata una quota di candidati assicurati che andrebbe dal 10 al 20 per cento. L’idea sarebbe quella di stilare, per il resto dei candidati, un elenco per circoscrizione e affidare agli iscritti la scelta, attraverso il voto: chi avrà più preferenze sarà capolista, e via di seguito. Ma chi deciderà i nomi dei candidati che verranno sottoposti al voto dei 650 mila iscritti del Pd? Largo del Nazareno, le Federazioni regionali o quelle provinciali? E i renziani chiedono che la platea elettorale sia allargata: votino tutti, non solo i militanti. Si deciderà oggi nel corso di una riunione dei maggiorenti del partito con i segretari regionali, che peraltro sono divisi (quelli dell’Emilia, della Puglia o del Piemonte reclamano le primarie perché non vogliono regalare tutti i posti sicuri ai candidati paracadutati da Roma”.

Secondo Il Fatto “non c’è più tempo per le primarie Pd” e i deputati sono “in festa”. Scrive il quotidiano: “Tutti aspettano le urne, ma nessuno si muove. Tutti le vogliono, ma nessuno le indice”. Finora gli unici a muoversi sono stati Pippo Civati e Salvatore Vassallo: hanno sottoscritto un appello e anche allegato un testo che organizza il sistema di voto, raccogliendo 1500 firme, ma senza avere attenzione.

Monti

Scrive La Stampa che “l’altro giorno il Presidente del Consiglio ha cercato per telefono il professor Roberto D’Alimonte, uno dei massimi esperti di flussi elettorali, e gli ha chieste se fosse stato possibile incontrarsi per valutare l’impatto di una sua eventuale lista. I due si sono visti a Palazzo Chigi e il professor D’Alimonte ha quotato (a bocce ferme e senza candidato in campo) le potenzialità dell’ ‘area Monti’, al 15 per cento, con la quasi certezza di supererare l’8 per cento in tutte le Regioni e dunque eleggendo diversi senatori, condizione necessaria per poter esser determinanti. E Monti, a conferma del suo attivismo, si è parlato con due personaggi assai diversi tra loro: Gianni Alemanno e Beppe Fioroni. L’enigma che assilla Monti ruota attorno a tre ipotesi”,aggiunge il quotidiano. “Prima: restarsene per i prossimi cento giorni a palazzo Chigi per sbrigare l’ordinaria amministrazione, ma replicando di volta in volta alle bordate di Berlusconi. Il secondo scenario prevede la possibilità di un endorsement più o meno intenso a favore delle liste centriste, che però senza l’esplicito assenso di Monti non potrebbero candidarlo a Palazzo Chigi. Tra i cavilli del Porcellum c’è la norma che obbliga le condizioni a indicare il candidato premier. Oppure – ed è questa la soluzione più ambiziosa sulla quale Monti sta lavorando – il Professore potrebbe rivolgersi direttamente agli italiani con un appello forte, senza la mediazione dei partiti”. Il quotidiano torinese, a conferma di questa “vocazione interventista” del premier, ha citato la sua apparizione ieri ad un popolare programma mattutino di Rai 1, con racconto di un aneddoto sul nipotino.

Il Corriere dà conto di questa apparizione tv con questo titolo: “Monti: in qualunque veste farò politica. Ma sul suo futuro glissa. Non capisco tanto interesse per una persona anziana”.

Il Foglio: “Mario Monti, racconta chi ha parlato con lui in queste ore, è convinto che per dare seguito alla sua agenda di governo il modo migliore sia provare a pesare nel futuro del paese stando a bordo campo e senza passare direttamente per la conta elettorale. La convinzione del presidente del Consiglio è che correre il rischio di ottenere un risultato non significativo alle urne condannerebbe il montismo e la sua agenda a un ruolo minoritario nel prossimo esecutivo”. Fosse per lui, la risposta alla domanda se si candiderà è sempre no. “Eppure in queste ore il fronte favorevole all’impegno del Professore comincia ad allargarsi”. La lista a lui ispirata sarà presentata il 20 dicembre. Nel Pdl “sponsor discreti della sua candidatura” sono Frattini, Mauro e Lupi. E anche tra i democratici i sostenitori di un Monti in campo aumentano.

Il Sole 24 Ore, in un articolo titolato “Movimento al centro. ‘Presto nuova offerta politica’. Casini aspetta il Professore”, parla delle “liste in costruzione”.

Internazionale

Torna ad occuparsi delle tensioni in Egitto tra il fronte che spalleggia il Presidente Morsi e i suoi oppositori, scesi in piazza, La Repubblica. Scrive Vanna Vannuccini che le forze armate, che nei giorni scorsi avevano affermato che non lasceranno “precipitare il Paese nella catastrofe”, cercano una mediazione. Il ministro della Difesa Al Sissi, che è anche il capo di Stato Maggiore, ha chiesto ieri a tutti i partiti politici, ai rappresentati dell’università Al Azhar, e alla società civile, di riunirsi per un dialogo nazionale, che dovrebbe tenersi oggi pomeriggio. La Fratellanza Musulmana ha già risposto che parteciperà al colloquio: l’invito viene dalle Forze Armate, con il permesso del presidente: “E’ chiaro che parteciperemo”, ha detto il portavoce. L’opposizione, riunita nel fronte di salvezza nazionale presieduto da El Baradei e dall’ex capo della Lega Araba Amr Moussa darà oggi la sua risposta. Anche la magistratura, che deve supervisionare le operazioni di voto per il referendum, è divisa: la partecipazione dei magistrati era stata garantita nei giorni scorsi dal consiglio superiore della giustizia, l’organo di governo dei giudici legato alla Fratellanza Musulmana. Ma ieri il presidente dell’Associazione magistrati, El Zend, ha annunciato che i magistrati diserteranno al 90 per cento la supervisione del referendum poiché la bozza costituzionale contiene “attacchi alla amministrazione della giustizia”.

Su Il Foglio l’inviato in Egitto Daniele Raineri raccoglie le voci dei manifestanti dell’opposizione, ch e raccontano come da mercoledì scorso, per la prima volta, siano arrivati in piazza gruppi di quello che si può considerare il “servizio d’ordine” dei fratelli musulmani. Racconta uno di loro che quelle milizie non si vedono, ma ci sono: “Ora c’è questa nostra protesta davanti al Palazzo del presidente Morsi, e allora i Fratelli Musulmani cosa fanno? Chiamano a raccolta i loro uomini e li fanno sfilare in grandi contro-cortei non troppo distanti”. Si tratta di disperdere con la violenza le manifestazioni: e si è così inaugurata la stagione di repressione di questo servizio d’ordine della Fratellanza, che ora scende nelle strade per aiutare la polizia e anche i soldati dell’esercito, cui è stato restituito, come ai tempi di Mubarak, il potere di arrestare i civili.

E poi

 Su La Repubblica si ricorda Albert O. Hirschman, con un articolo di Federico Rampini. E’ morto ieri, era il “teorico della crescita” e il suo libro “Felecità privata e felicità pubblica” è una critica alle illusioni del consumismo: “Descrive l’alternarsi di periodi in cui le persone cercano la felicità accumulando beni materiali, per poi capire che l’impegno sociale e l’azione collettiva offrono ricompense più durevoli”. Per Rampini il suo “Le passioni e gli interessi” è forse l’opera più ambiziosa: “Una analisi del ‘motore culturale’ del capitalismo, che si distacca da Marx e da Weber nel trovare tanti elementi di continuità con le civiltà pre-capitalistiche”.

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