Passa la linea di Renzi. Scontro con Cuperlo.

Il Corriere della Sera: “Premio e doppio turno, sì del Pd a Renzi. Il segretario presenta l’Italicum al partito, tensione con Cuperlo che lascia la sala”. “Il leader democratico ringrazia Berlusconi per l’incontro di sabato”. “L’attacco di Grillo: Pregiudicatellum”. “Letta, si pensa all’esecutivo bis”. L’editoriale, firmato da Michele Ainis, è titolato: “Bene, con due dubbi”. A centro pagina, in vista della conferenza “Ginevra 2”: “Invito all’Iran per la Siria. Usa irritati, l’Onu si ritira”. “Pasticcio e tensioni alla vigilia della conferenza”.

 

La Stampa: “Legge elettorale, via libera del Pd. Il segretario piega la minoranza, è scontro aperto con Cuperlo. In direzione 111 a favore,34 astenuti. Alfano: ora battaglia sulle preferenze. Malumore dei 5Stelle: così siamo irrilevanti”.

 

La Repubblica: “Renzi blinda la legge elettorale. Sì alla riforma ma è scontro nel Pd. Il segretario: o così o salta tutto”. “Lite con Cuperlo che se ne va al momento del voto. L’Italicum prevede il premio al 35 per cento, altrimenti ballottaggio tra coalizioni”. A centro pagina: “La condanna dal carcere di Totò Riina: ‘Il Pm Di Matteo morirà come un tonno”. “Le intercettazioni del capo dei capi in cella: mi fa impazzire, non dobbiamo più perdere tempo”. Di spalla, con il richiamo alle pagine R2: “Addio a Claudio Abbado, il Maestro del coraggio. Senatore, aveva 80 anni”.

 

Il Fatto quotidiano: “Renzi: ‘Prendere o lasciare’. Cuperlo si alza e se ne va”. In alto: “Totò Riina: ‘Napolitano non deve testimoniare’”. Il quotidiano dedica le prime due pagine alle trascrizioni di conversazioni in cella di Riina. Ancora sulla prima pagina: “B. indagato un’altra volta. E il 10 aprile sarà detenuto. La Procura di Milano pronta a inquisirlo per aver corrotto i testimoni delle ‘cene eleganti’. Il Tribunale deciderà in primavera fra servizi sociali domiciliari e carcere”.

 

Il Giornale: “I voti battono i veti. La sinistra del Pd e Alfano costretti ad accettare il patto Berlusconi-Renzi. Il Cavaliere decisivo, i pm ripartono all’assalto”. A centro pagina, oltre all’addio al “Maestro dalla bacchetta rossa”, notizie sui due marò italiani in India: “Così l’India si prepara a impiccare i marò”.

 

L’Unità: “Lo chiameremo Italicum. Renzi: riforma entro maggio. Ballottaggio se nessuno arriva al 25 per cento. Sì della Direzione, la sinistra si astiene. Attacco a Cuperlo: ‘Sei deputato senza primarie’. Il presidente: non si guida così un partito”. A centro pagina: “Code e dubbi: il caos delle nuove tasse”. Da segnalare in prima pagina anche il richiamo ad una intervista a Piero Angela sul caso Stamina: “Troppi rerrori dei giornalisti. Il caso Iene fa pensare: ci piacciono i guaritori”.

 

Il Sole 24 Ore: “Dalla Ue 200 miliardi per rilanciare l’industria. Tajani: a febbraio l’Italia in mora sui pagamenti della Pa. Pronto l’ ‘Industrial compact’ (verrà presentato domani): priorità a sei settori strategici”. Di spalla: “Renzi vara l’Italicum con ballottaggio, lite nel Pd. Via libera della direzione, minoranza all’attacco sui listini bloccati”. “Berlusconi plaude. Alfano: ok, ma ora le preferenze. Soglia per il premio di maggioranza al 35 per cento dei voti”.

 

 

Legge elettorale

 

 

Secondo Roberto D’Alimonte, che firma il suo “Osservatorio politico” sul Sole 24 Ore, la riforma elettorale “non c’è ancora”, ma “ha buone chance di arrivare a una conclusione positiva” nel suo percorso parlamentare. D’Alimonte sintetizza così la proposta: “Premio di maggioranza e doppio turno: sono questi gli elementi centrali del nuovo sistema. La loro combinazione rende il sistema majority assuring, cioè garantisce che le elezioni diano al vincitore – partito singolo o coalizione – la maggiora assoluta dei seggi. Chi ottiene un voto in più degli altri incasserà un premio di maggioranza del 18 per cento se arriverà al 35 per cento dei voti. Se nessuno arriverà a questa soglia le due formazioni più votate si sfideranno in un ballottaggio. Il vincitore avrà diritto alla Camera al 53 per cento dei 617 seggi in palio (327). Nessuno ne potrà avere più del 55 per cento (340) grazie al premio”. “Con la soglia e un premio non più illimitato la Consulta è accontentata”, aggiunge il politologo. Quanto al doppio turno, fino all’ultimo non previsto, Berlusconi lo ha “accettato perché la soglia per far scattare il premio è bassa: con il 35 per cento il centrodestra ha la possibilità di vincere le elezioni in un turno solo, senza quindi dover rischiare una sconfitta al ballottaggio per via della pigrizia dei suoi elettori”.

Sulle soglie di sbarramento: a parte i seggi del premio, gli altri verranno assegnati con formula proporzionale a livello nazionale. Non a tutti però: per aver e i seggi che scelgono di far parte di una coalizione devono superare una soglia ‘tedesca’ del 5 per cento (era il 2 per cento nel precedente sistema). Per chi sta fuori dalle coalizioni la soglia è dell’8 per cento”. Condizione per poter usare la soglia per chi sta in coalizione è che la coalizione arrivi almeno al 12 per cento.

In caso contrario è come se la coalizione non esistesse, scrive D’Alimonte, spiegando che questo sistema di soglie serve a scoraggiare tentazioni terzopoliste, ed è il prezzo che i piccoli devono pagare, poiché sopravvivono solo se accettano di allearsi prima del voto con i grandi.

Non ci sarà il voto di preferenza, e le liste bloccate saranno “corte”, cioè composte da pochi candidati i cui nomi saranno visibili sulla scheda elettorale.

Secondo Michele Ainis, che ne scrive su Il Corriere, la proposta non rispetta le obiezioni della Corte Costituzionale laddove venivano criticati gli effetti “troppo distorsivi” dei premi di maggioranza: il premio brevettato da Reenzi è del 18 per cento, “mica poco: fanno 4 volte i seggi della Lega, recati in dono a chi vince la lotteria delle elezioni”. Quanto alle liste bloccate, la Consulta aveva acceso un semaforo verde quando i “bloccati” siano pochi, “rendendosi così riconoscibili davanti agli elettori”. Ma per la scuola pitagorica il numero perfetto sarebbe stato il 3: qui invece sono quasi il doppio, un po’ troppi per fissarne a mente i connotati.

L’Unità intervista Enzo Cheli, presidente emerito della Corte Costituzionale, che definisce “abile” la proposta di Renzi, “perché mira, e in gran parte mi pare riesca, a conciliare gli interessi delle formazioni maggiori con quelli delle minori, che siano però in grado di arrivare alla soglia di sbarramento, formazioni minori che sicuramente hanno garantita una rappresentanza in Parlamento attraverso l’assegnazione dei seggi in sede nazionale”. Per Cheli la proposta rispetta “in termini adeguati i principi che ha stabilito la Corte Costituzionale nella sua recente sentenza sul Porcellum, introducendo una soglia di ingresso per avere il premio di maggioranza, come voleva la Corte, prevedendo liste bloccate, ma circoscritte, così come la Corte impone in questi casi”.

Il Fatto scrive che vi sono rischi mortali nella riforma elettorale che il sindaco non cita. E fra questi c’è la possibilità di una nuova vittoria di Berlusconi. La sua legge obbliga Lega e Nuovo Centrodestra a coalizzarsi con il Cavaliere. Al Fatto parla una anonima fonte berlusconiana: “A noi ci ha fatto un favore della madonna”, “perché rendendo praticamente obbligatorio coalizzarsi, consente a Forza Italia di riportare nella sua orbita i molti cespugli del centrodestra, a partire dalla Lega”, perché, sottolinea il quotidiano, senza il Carroccio Berlusconi non ha mai vinto le elezioni.

 

Renzi e Pd

 

Su La Repubblica un editoriale sottolinea come il pacchetto di riforme “chiavi in mano” che Renzi ha illustrato al Pd, negoziato con Berlusconi e fatto ingoiare ad Alfano “può rappresentare oggettivamente una svolta ‘di sistema’”. Renzi ha deciso di rischiare tutto, accettando anche “il padre di tutti i rischi”, ovvero l’accordo con il Cavaliere, “l’intelligenza con l’Arcinemico”. Si sottolinea anche la natura “ibrida” della riforma elettorale, opportunamente ribattezzata “italicum”, perché appunto all’Italiana mette tutti gli ingredienti nello stesso piatto (un pizzico di spagnolo, un pizzico di tedesco, un pizzico di francese). Ci si rammarica poi perché ancora una volta, per un veto a quanto pare insormontabile di Forza Italia, si salvano le liste bloccate: questo è il vero “buco nero della riforma” anche se il numero limitato dei candidati in lista e le primarie per scegliere i singoli candidati leniscono in parte le ferite lasciate dal Porcellum. Ma quel che viene sottolineato è che “forse in un mese è riuscita l’operazione che la politica insegue vanamente dal 1993, cioè dai referendum di Mario Segni: “Mai come in questa occasione l’interesse di un singolo (Renzi) coincide con gli interessi del Paese”. La prima insidia riguarda il confronto in Parlamento, la seconda il governo Letta che esce “con le ossa rotte”, e la terza il Pd: la sinistra Pd si è astenuta, il presidente del partito Cuperlo se ne è andato, ma “uno strappo non conviene a nessuno”, e di questo deve farsi carico la minoranza bersanian-dalemiana, che deve rinunciare a tentazioni frazioniste. Ma allo stesso modo deve farsene carico la maggioranza renziana, che deve rinunciare al gusto delle “sottili umiliazioni” della sinistra interna.

L’Unità, in seconda pagina, racconta lo scontro andato in onda alla Direzione Pd. Ed il titolo è per la reazione del presidente dell’Assemblea, Gianni Cuperlo: “Prendere o lasciare? Un partito non si guida così”. A fine riunione Cuperlo si è alzato dal tavolo della Presidenza e si è seduto tra i delegati, dopo che Renzi gli aveva replicato sferzante, sulle obiezioni alla questione preferenze: “Gianni, avrei voluto sentirti parlare di preferenze quando vi siete candidati senza fare le primarie. Se me lo dice Fassina, che ha preso 12 mila preferenze ok, ma non chi è entrato con il listino”. Cuperlo era intervenuto a nome della minoranza interna e, scrive L’Unità, non era certo stato morbido, allorché aveva contestato al segretario quel “prendere o lasciare”, quel pacchetto tutto compreso su cui non si tratta perché frutto di sintonie con altri interlocutori diretta conseguenza di un mandato di oltre tre milioni che alle primarie hanno scelto Renzi. Cuperlo: “Si è già deciso tutto delle primarie? Discutere una singola vite del macchinario fa esplodere la macchina. E vuol dire impedire una riforma storica dell’assetto dello stato e della Repubblica. Bene. Ma se è così perché convocare una nuova Direzione tra 15 giorni?. Via così, spediti sull’autostrada, coi tre milioni delle primarie, e ci vediamo direttamente in una riunione, quando sarà, per convocare nuove primarie”.

 

Nel merito, Cuperlo non trova “convincente” l’Italicum con doppio turno senza preferenze, proposta che si discosta persino dai criteri di fondo indicati da Renzi e che presenta profili di dubbia costituzionalità: dato atto che il doppio turno è un “passo avanti” , per Cuperlo il 35 per cento è una soglia troppo bassa che riproporrà le questioni sollevate dalla Corte Costituzionale, secondo cui il premio non deve essere irragionevole. Meglio sarebbe alzare al 40 per cento la soglia per il premio di maggioranza. Quanto alla soglia all’8 per cento, per Cuperlo “spingerà tutto il centrodestra e forse una parte del centro a coalizzarsi attorno al perno rivitalizzato di Forza Italia”. Infine, a Renzi, che rispondeva alle critiche per aver incontrato Berlusconi ricondando che era stato il Pd a portarlo a Palazzo Chigi, Cuperlo ha fatto notare: “non abbiamo stretto un patto politico con Berlusconi, abbiamo risposto ad uno stato di necessità su cui eravamo tutti d’accordo, al punto che l’attuale segretario si era anche detto pronto a presiederlo, quel governo”.

 

Su La Stampa si scrive che Cuperlo penserebbe alle dimissioni e sottolinea che le sue truppe hanno “rispettato” le decisioni prese, astenendosi: 34 voti (contro 111).

 

Le reazioni degli altri

 

Scrive La Stampa che il leader del NCD Alfano continua a chiedere l’introduzione delle preferenze. Secondo il quotidiano la competizione tra coalizioni e non tra partiti, rassicura il Ncd che mal sopportava l’ipotesi di una gara bipartitica, che avrebbe l’effetto di costringerlo a rientrare nell’alveo berlusconiano, invece di negoziare una alleanza elettorale.

La Repubblica riferisce questo pensiero di Alfano: “In fondo il doppio turno a noi giova, perché Berlusconi avrà bisogno di noi per andare al ballottaggio”. Il quotidiano parla di contatti frenetici già partiti, al centro. Mario Mauro, leader dei popolari che si sono staccati da Monti, ha aperto canali ufficiosi con Alfano: vorrebbe creare un listone PPE alle prossime europee con Casini e Alfano come “prova generale” per le prossime politiche.

Dal Corriere della Sera le parole di Berlusconi sulla mediazione avuta con Renzi: “Vogliamo realizzare, in un clima di chiarezza e di reciproco rispetto, un limpido sistema bipolare, che garantisca una maggioranza solida ai vincitori delle elezioni, che riduca impropri poteri di veto e di interdizione, e che favorisca un sistema politico di chiara alternanza”. Ma secondo il quotidiano il Cav si sarebbe reso conto, scorrendo simulazioni e proiezioni, che la scelta di obbligare i piccoli partiti a stare assieme potrebbe danneggiare il centrodestra, visto che non è detto che quei voti andrebbero a Forza Italia senza un accordo specifico. La preoccupazione è che per il Pd, invece, la coalizione possa funzionare meglio.

Su Il Giornale: “I sondaggi premiano il Cav”. La rilevazione di Euromedia dopo l’accordo darebbe il centrodestra il testa al 34 per cento.

E qualche pagina più in là: “Il falso mito delle preferenze, ultima speranza dei partitini. Da Alfano e Casini ai bersaniani del Pd: ‘gli lettori indichino nomi e cognomi’. Ma così aumentano costi della politica e clientelismo. E in Europa nessuno le usa”.

La Stampa scrive che tra i 5 Stelle è tornato il malumore, perché la scelta di Grillo di non trattare con gli altri partiti agita i parlamentari: “’Così siamo diventati irrilevanti’”, dicono alcuni fra loro. La Repubblica intervista il senatore 5 Stelle Lorenzo Battista: “’Quei tre no di Casaleggio un’occasione persa’”, “Era stato avviato un dialogo, avremmo potuto avanzare le nostre proposte”.

Anche sul Corriere: “M5S, cresce il malumore: ci siamo fatti emarginare”. Dove si legge anche che Beppe Grillo si è espresso sul blog, definendo la legge elettorale “Pregiudicatellum”. Oltre la rottamazione, ha detto il leader, c’è la riesumazione del condannato e la sepoltura del volere degli elettori.

E ancora parole di Grillo sulla questione, come riferite da La Stampa. La legge elettorale Renzie-Berlusconi, il “pregiudicatellum”, prevede che i partiti si scelgano i propri parlamentari. I cittadini devono stare a guardare. Liste bloccate con nominati da pregiudicati e condannati in primo grado e nessuna preferenza”.

 

Riina

 

Corriere, Fatto e Repubblica pubblicano brani di intercettazioni del boss Riina. Passeggiava nell’ora d’aria, scrive La Repubblica, in un camminatoio del carcere milanese di Opera con un altro detenuto: si tratta di Alberto Lorusso che, secondo il quotidiano, è ufficialmente solo un affiliato alla Sacra Corona Unita ma “in realtà un personaggio legato in realtà ad apparati polizieschi”. I fatti sarebbero relativi al 16 novembre 2013, e queste sarebbero le parole pronunciate da Riina a proposito del Pm Di Matteo: “Deve fare la fine dei tonni”, “organizziamola questa cosa, facciamola grossa e non ne parliamo più”. Perché, dice ancora Riina, “questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta, e allora se fosse possibile ucciderlo, una esecuzione come a quel tempo a Palermo, con i militari”. “Questo prende un gioco sporco che gli costerà caro, perché sta facendo carriera su questo processo di Trattativa. Se gli va male questo processo lui viene emarginato”. Il riferimento è per l’appunto alla supposta trattativa tra Stato e Mafia.

Il Fatto evidenzia anche le parti del colloquio tra i due riferite alla eventuale testimonianza del Capo dello Stato. Lorusso dice: “Un sacco di politici dicono: il Presidente della Repubblica non deve andare a testimoniare, ci sono un sacco di politici, partiti, che dicono non ci deve andare a testimoniare”. Riina: “Fanno bene, fanno bene… ci danno una mazzata, ci vuole una mazzata nelle corna”.

Il Corriere scrive che la mattina del 6 agosto, invece, i due interlocutori parlarono di Berlusconi, poco dopo la sua condanna definitiva in Cassazione: “Noi su Berlusconi abbiamo un diritto, sapete quando? Quando siamo fuori lo ammazziamo… Non l’ammazziamo però. Perché noi stessi non abbiamo il coraggio di prenderci il diritto. Io lo dico con la rabbia del cuore. Io faccio il malavitoso e basta”. Poi parla della strage di Capaci in cui morì Falcone, e la definisce “una mangiata di pasta”.

 

Internazionale

 

La Stampa parla di una tempesta diplomatica sulla conferenza Ginevra 2, che si apre domani. La tempesta è stata aperta a sorpresa all’Iran, alleato di Assad: ad innescarla era stato il segretario generale Onu Ban Ki-Moon, che domenica sera aveva annunciato a sorpresa l’invito all’Iran. Per Vladimir Churkin, ambasciatore russo all’Onu, “Mosca e Washington erano state preavvertite della mossa”. Ma Washington ha parlato di “sorpresa” ed “errore” con un comunicato del Dipartimento di Stato in cui si è chiesto a Ban di “ritirare l’invito”. Il motivo è la reazione infuriata manifestata dalla “Coalizione nazionale siriana”, il fronte anti-Assad che appena 24 ore prima, ad Istanbul, aveva deciso di partecipare alla Ginevra 2 dopo un duro scontro interno. I ribelli avevano fatto sapere che l’Iran avrebbe potuto partecipare solo se avesse accettato il “Ginevra 1”: il riferimento è alla obiezione politica che accomunava Washington, Parigi e Ryad nel 2012, allorché si stabilì che l’intesa era basata sulla creazione di un governo di transizione, ovvero la fine del regime degli Assad. La portavoce del ministero degli esteri iraniano ha spiegato: “nel 2012 non abbiamo partecipato a Ginevra 1 e dunque non possiamo condividerla.”.

Lo stesso quotidiano, in un retroscena, spiega che sul governo di transizione senza Assad l’Iran non si era mai impegnato, ma Ban Ki-Moon sembrava aver convinto il ministro degli esteri iraniano Zarif a stilare un comunicato in cui si accettavano le condizioni di Ginevra 1. Ma le ore passavano e dall’Iran la dichiarazione non arrivava: è possibile che qualcuno più in alto di Zarif lo avesse bloccato (“L’ala dura iraniana fa naufragare l’azzardo di Ban ki Moon”, titola il quotidiano).

Anche il Corriere della Sera parla di “pasticcio diplomatico” firmato dall’Onu

Ban domenica aveva detto: “Ho chiesto a Teheran di partecipare. Anche loro concordano sul fatto che lo scopo del negoziato è di instaurare a Damasco un governo di transizione”.

La Repubblica riferisce della risposta dell’ambasciatore iraniano all’Onu: “Non accettiamo precondizioni”. E quella di un portavoce del Dipartimento di Stato Usa: “se l’Iran non dà a questa posizione un pieno e pubblico sostegno l’invito alla conferenza deve essere ritirato”.

Il quotidiano intervista Joshua Landis, esperto di Medio Oriente all’università dell’Oklahoma, che conferma: “Non si è mai visto che Ban abbia agito di testa propria, anzi, si può dire il contrario: che Ban non abbia mai preso alcuna iniziativa senza consultarsi con le grandi potenze”. Dice ancora Landis: “Tutti o quasi chiedevano la partecipazione dell’Iran a Ginevra 2. Infatti, assente Teheran, le prospettive di un risultato sono pressoché nulle”. Inoltre, secondo l’esperto, la formula sul governo di transizione “è nata apposta vuota, perché possa essere condivisa”, a una prima lettura implica una estromissione di Assad dal potere. Ma a leggerla da vicino vuol dire tutto e niente: il governo transitorio potrebbe essere guidato persino da Assad. E’ chiaro a chiunque voglia intendere che Assad non se ne andrà e l’America non vuole che lo faccia”.

La verità, secondo Landis, è che “lo scoglio vero è l’Arabia Saudita. Ha un conto aperto personale, ideologico, strategico con Assad”. E Kerry sarebbe stato costretto a volare a Ryad per contrattare.

 

 

E poi

 

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Alla vigilia del World Economic Forum di Davos, l’associazione Oxfam ha pubblicato un rapporto dal quale si evince che 85 miliardari posseggono 1.200 miliardi di euro, ovvero l’equivalente di quanto detenuto da metà della popolazione terrestre. Non si tratta solo di dimostrare che l’estrema disparità tra ricchi e poveri è un’ingiustizia, sottolinea in un articolo La Repubblica, ma di sottolineare come questo rappresenti una minaccia per la democrazia e la stabilità sociale. Non è la prima volta -scrive il quotidiano- che circolano cifre simili: la ragione fondatrice del cosiddetto movimento 99 per cento, quello di ‘Occupy Wall Street’, era appunto l’idea che l’1 per cento della popolazione mondiale fosse più ricco di tutti gli altri.

Bill e Melinda Gates, su La Stampa, scrivono che “il mito secondo cui i Paesi poveri sono condannati a restare poveri è diffusissimo”, ma la verità è che quasi dappertutto -Africa compresa- indicatori come quelli del reddito o altri indici del benessere delle persone segnano un miglioramento.

 

 

 

 

 

 

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