Gli afghani in Iran: rifugiati senza diritti di cittadinanza

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Al secondo piano di una palazzina, a due passi da piazza Vanak, nel nord di Teheran, vive un’intera famiglia di afghani. Massoud si è trasferito in Iran dopo lo scoppio della guerra nel 2001. Cinque anni fa lo ha raggiunto la moglie e i suoi quattro bambini. Si occupano delle pulizie della grande casa che appartiene a Mahnaz, pittrice, ex attivista socialista, costretta a rinnegare le sue radici dopo la rivoluzione del 1979. Massoud è il badante di Rasol, l’anziano padre della proprietaria. In Afghanistan si era laureato in medicina e aveva iniziato a lavorare per un ambulatorio in un ospedale pubblico di Kabul quando sono arrivati i primi bombardamenti degli Stati Uniti contro i Taliban. Decise così di lasciare il Paese per ripararsi nel ricco Iran.

Una minoranza discriminata

Sono quasi 3 milioni i rifugiati afghani che vivono stabilmente in Iran, di cui solo 860 mila hanno i documenti in regola. Lavorano soprattutto come operai nei cantieri edili della capitale. Eppure, secondo decine di ong iraniane per la difesa dei diritti umani, gravi sono le discriminazioni a cui sono sottoposte queste popolazioni rifugiate. Nei luoghi di lavoro non dispongono di diritti assicurativi e contributivi, mentre centinaia sono i bambini non ammessi nelle scuole pubbliche perché non hanno i documenti in regola. Da anni, gli afghani iraniani, soprattutto se residenti nei campi profughi, allestiti dopo lo scoppio della guerra nella poverissima regione del Sistan, hanno denunciato episodi di rimpatrio forzato.

Il governo iraniano è stato un ostinato oppositore dei Taliban. Nel 1998 sul confine irano-afghano furono schierati gli eserciti dei due Paesi quando i Taliban occuparono Mazar-i Sharif, allora controllata dall’Alleanza del Nord, movimento di opposizione appoggiato da Teheran. In quell’occasione i Taliban uccisero 11 tra diplomatici e giornalisti iraniani. Si sfiorò il conflitto ma dopo l’ampio dispiegamento di forze lungo i confini comuni, il regime afghano allentò le tensioni rilasciando vari prigionieri iraniani detenuti in Afghanistan.

L’ostilità si trasformò, negli anni successivi, in compromesso. Le autorità iraniane ingaggiarono un dispiegamento sostanziale di forze nelle regioni sud orientali del Paese per ottenere un ridimensionamento dei traffici di droga che, attraverso il Baluchistan e la città iraniana di Zahedan, giungevano a Teheran e di lì in Turchia ed Europa. Proprio il sostegno alle azioni militari statunitensi del 2001 contro i Taliban rese chiaro al mondo intero il pragmatismo iraniano in politica estera, concretizzatosi nel recente accordo che sta per mettere fine, dopo dieci anni, al contenzioso sul programma nucleare.

Eppure la storia afghana è stata sempre legata a doppio filo con quella iraniana. Rifugiati, profughi e immigrati che vivevano nei quartieri meridionali di Teheran sono stati tra i protagonisti della rivoluzione del 1979 ma non hanno trovato spazio nella nuova società, costruita intorno all’interpretazione khomeinista dell’Islam sciita. Gli afghani sono oggi cittadini di serie B in Iran nonostante parlino la stessa lingua degli iraniani: il dari è molto simile al farsi.

Tra povertà e nuova emigrazione

Hassan, 25 anni, è arrivato a Teheran da Kandahar cinque anni fa. Ora lavora nel bazar di Teheran, ma ha solo una piccola bancarella. Decora vesti e piccoli tappeti secondo i gusti dei clienti. «Vivo poco lontano dal Terminal Jenoub (nel sud di Teheran, ndr) con altri 6 connazionali. Riesco a sopravvivere ma speravo di meglio, ho sofferto molto per la crisi economica dell’ultimo anno», ci spiega il giovane. Nonostante tutto, il decoratore paga un affitto irrisorio di 300 mila rial al mese (50 euro circa). «Ma ho subito dei furti nel mio quartiere, noi afghani siamo i primi nel mirino della piccola criminalità», denuncia Hassan, che non crede nel cambiamento promesso dal nuovo presidente, il moderato Hassan Rouhani. «Penserà agli interessi economici della sua parte politica e non ai diritti delle minoranze», ci spiega. Eppure il tecnocrate ha più volte fatto riferimento all’inclusione all’interno della Repubblica islamica soprattutto degli iraniani di religione sunnita, minoranza a cui appartengono molti afghani, nel suo ultimo viaggio in Kuzestan.

Molti profughi però si arrendono alle discriminazioni. Per questo Arman e Hamid hanno deciso di lasciare l’Iran. Sono entrambi sarti, negli ultimi due anni hanno vissuto in Italia, dove hanno trovato lavoro in un mercato ortofrutticolo. Arman è ritornato solo per qualche settimana a Teheran per avviare tutte le pratiche necessarie: vuole che sua moglie, anche lei afghana, lo raggiunga in Italia. «Potrò finalmente avere una casa di mia proprietà mentre in Iran non mi è possibile e tra qualche anno farò domanda per ottenere la cittadinanza. In Iran non mi sono mai sentito a casa», conclude. Spesso due volte profughi, in Iran e poi in Europa, gli afghani di Teheran tentano di ricostruire la loro vita nonostante le discriminazioni.

Immagine: bambino afghano rifugiato in Iran, foto di EU Humanitarian Aid and Civil Protection

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