Egitto, giro di vite su ong e attivisti,
“barattati i diritti con la sicurezza”

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Esraa Abdel Fattah non ha mai smesso di credere nelle sue battaglie per i diritti umani in Egitto. Oggi la sua attenzione è concentrata sulla stretta del governo sulle attività delle ong e sulla richiesta di modifica dell’attuale legge approvata sotto Mubarak che, tra le tante restrizioni, impone ad associazioni e ong il controllo dei progetti da parte di una commissione istituita dal Ministero della solidarietà sociale. “Non c’è corrispondenza tra la nuova Costituzione e le leggi vigenti” dice preoccupata Esraa, che un mese fa è stata ospite del festival Internazionale a Ferrara, aggiustandosi il velo che porta adagiato morbidamente sul capo, sempre di colori diversi.

Esraa è un’attivista, icona di piazza Tahrir (arrestata per due settimane dalla polizia) e del web, tanto da essersi guadagnata il soprannome “facebook girl”. A soli 36 anni ha già ricevuto una nomina per il premio Nobel per la pace e l’elezione di “donna dell’anno 2011” dalla rivista Glamour. Oggi si occupa di digital marketing, è manager per la Egyptian Democratic Academy e consulente per associazioni di diritti umani, ma soprattutto è una giornalista. Ogni venerdì firma un editoriale sul giornale El Youm7 per informare gli egiziani, rigorosamente in arabo per essere capita da un maggior numero di persone.

Esraa, qual è il problema principale della legge che regolamenta l’attività delle ong?

È una legge che tarpa le ali alla cooperazione. C’è un esagerato coinvolgimento del governo nello spazio decisionale delle ong, poca chiarezza nei procedimenti per i permessi, un aumento della quota di iscrizione per registrarsi, dunque difficoltà e complicazioni per lavorare e farsi approvare i progetti.

In generale che atmosfera si respira nell’Egitto di al-Sisi?

Alti e bassi. Si registrano alcuni miglioramenti in economia e una serie di progetti nazionali in cantiere, mentre nel campo dei diritti umani la strada è lunga e frastagliata. Le sfide sono tante perché manca una corrispondenza tra la nuova Costituzione e le leggi vigenti. La controversa “Demonstration Law”, rilanciata dal governo dopo il 30 giugno, che regolamenta le proteste vietando le manifestazioni in piazza, per esempio non è allineata con la Costituzione. Purtroppo finora la Costituzione è solo un documento. Il parlamento non è stato istituito, quindi le leggi non sono effettive. Noi attivisti stiamo cercando di portare l’attenzione con urgenza sul gran numero di giovani finiti in carcere per colpa della Demonstration Law, una legge che contiene frasi troppo generiche sulla sicurezza nazionale che danno al governo la libertà di agire a suo piacimento arrestando chiunque faccia qualcosa ritenuto pericoloso.

La maggior parte del popolo però sembra apprezzare la maggiore sicurezza sotto il nuovo governo…

Sì, sfortunatamente oggi il popolo è più sereno e distratto da quello che succede in Siria. Il popolo si rende conto che la nostra situazione è migliore rispetto ad altri Paesi, apprezza la sicurezza e l’economia che comincia a funzionare tralasciando del tutto la discussione sui diritti umani e le leggi. Per questo sono in molti a sostenere ancora la Demonstration Law perché sembra garantire sicurezza.

Con la Demonstration Law si ha meno paura dell’Is?

Sì, il popolo crede che mantenendo il Paese tranquillo si tenga lontano l’Is. Crede che un’atmosfera più confusa e maggiore disobbedienza civile potrebbero offrire un cancello di ingresso all’Is. Anche se in realtà da noi la presenza di esercito e polizia sono molto forti, non sarebbe possibile. Per fortuna non ci sono neanche egiziani partiti per la Siria, solo il caso isolato di uno studente.

Che aria tira nel mondo dei media? Censura? Autocensura?

Intanto non sono nati nuovi media. La maggior parte di quelli esistenti è controllata completamente da persone della cerchia dell’ex regime di Mubarak che comunica un unico punto di vista e attacca ancora l’immagine della rivoluzione. Nonostante la nuova Costituzione abbia smantellato il vecchio Ministero dell’Informazione non è ancora stato costituito un Consiglio indipendente per i media, dunque non c’è varietà di punti di vista. E’ un momento nero per i media, forse la pagina peggiore di questa nuova fase della nostra storia.

Ricevi minacce per i tuoi articoli?

Mi arrivano spesso insulti, minacce e attacchi in strada per i quali non esiste un’opportunità reale di difendermi se non continuare a scrivere. Mi sento libera di scrivere e di pubblicare quello che voglio ma i giornali sono poco letti. Il popolo guarda prevalentemente la televisione in cui si trova un unico punto di vista sui fatti che purtroppo sta modificando il modo di pensare delle persone, con false notizie e manipolazioni.

Come sta cambiando invece la vita delle donne?

Le donne hanno un ruolo sempre più attivo nella vita politica. La nuova Costituzione garantisce molti nostri diritti. Per esempio, per la prima volta esiste una legge che tutela le molestie subite. Ma le donne soffrono ancora molto della mancanza di parità nelle nomine politiche.

Recentemente hai partecipato al primo forum dedicato alla cittadinanza mediterranea organizzato a Messina dall’ong italiana Cospe…

Sì, apprezzo il lavoro delle ong italiane, come il Cospe che, tra le tante attività, ha cominciato a radunare attivisti da tutto il Mediterraneo per il sviluppare il concetto di cittadinanza mediterranea. Ci stiamo lavorando. Sarebbe bello un Mediterraneo senza frontiere.

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