Renzi ha la fiducia, in Aula Bersani e Letta

La Repubblica: “Renzi alla Ue: non prendiamo ordini”, “’Non tasserò i Bot’. Fiducia alla Camera. In aula l’abbraccio Bersani-Letta”. Ed è la foto di questo caloroso abbraccio ad occupare la parte centrale della pagina.
Al centro: “Cuneo fiscale, ecco il piano, sgravi da 50 euro al mese”.

La Stampa: “Crescita, Italia come Grecia”, “Stime al ribasso: +0,6% nel 2014. Disoccupazione in aumento. Renzi, fiducia anche alla Camera: ‘Abbiamo un’unica chance’”.
Anche per La Stampa la foto del giorno è l’incontro affettuoso a Montecitorio tra Enrico Letta e Pierluigi Bersani.
Di spalla a destra, una lettera di Benedetto XVI: “’Vi spiego perché nono sono più Papa’”.

Il Fatto ha in prima una grande foto di Matteo Renzi sotto il titolo: “Il dilettante allo sbaraglio”, “Bocciato in economia”.
In taglio basso: “Abruzzo, la vita a scrocco (e cash) del candidato Pd”. Ci si riferisce all’ex sindaco di Pescara Luciano D’Alfonso. E poi attenzione per i “vitalizi d’oro”: “Alto Adige, la casta si regala 90 milioni

L’Unità: “Sì a Renzi: ‘Ora si cambia’. Con 378 voti a favore e 220 no anche la Camera dà il via libera. Il premier: ‘E’ l’unica chance’. Sull’Europa: ‘Il semestre è una gigantesca opportunita’. Oggi a Treviso, in una scuola e una fabbrica”.
A centro pagina: “Il ritorno di Bersani: valuteremo i fatti”.

Il Giornale: “L’opposizione è il Pd”. “Bersani torna, abbraccia Letta e attacca il premier. Inizia la sfida-vendetta. Sinistra sotto choc. Quanto rosicano politici e intellettuali”.

Il Corriere della Sera: “Parte il governo Renzi, Pd tormentato”. “Applausi a Letta e Bersani, freddezza al momento della fiducia”. “Il premier: non ci faremo dettare la linea dall’Europa. Rendite finanziarie, apertura sull’aumento delle tasse”. A centro pagina: “La Ue taglia le stime sulla crescita in Italia. Ma il deficit migliora”.

Il Sole 24 Ore: “Pil in ribasso, migliora il deficit”. Il deficit strutturale per il 2015 è stimato allo 0,8 per cento, dice il quotidiano, che aggiunge: “Debito record (133,7). Rehn: fare di più per una riduzione”. Di spalla Renzi alla Camera, e le sue parole sul cuneo fiscale. Ieri ha precisato che il suo riferimento “a due cifre” era ad un numero, non ad una percentuale: “Per il cuneo 10 miliardi”. A centro pagina: “Delrio: bene Cottarelli. Dalla spending 3 miliardi in più per tagliare le tasse”.

Politica

Ieri Matteo Renzi ha ottenuto il voto di fiducia anche dalla Camera, Oggi andrà in una scuola e in una fabbrica a Treviso, in serata dovrebbe riunire il consiglio dei ministri per nominare sottosegretari e viceministri. Ieri sera Renzi è stato intervistato da Ballarò.
Scrive L’Unità che il premier ha detto “mi pesa tantissimo essere premier senza il voto”, e che ha spiegato che si è convinto dopo una “accelerazione chiesta dal Pd e poi dalle altre forze della coalizione” al governo. “Ora c’è da trainare, non da mediare”. Su Letta e la staffetta con passaggio di consegne: “Mi rattrista come è stata riportata. Io, e non solo io, so come è andata. Il tempo è galantuomo”.

Molti giornali parlano del ritorno in Aula di Pierluigi Bersani, e del suo abbraccio con Enrico Letta, presente in Aula per le votazioni. Letta non ha salutato Renzi, ed è stato seduto per tutto il tempo della sua presenza in Aula non tra i banchi del Pd ma tra quelli tradizionalmente riservati al comitato dei nove.

Il Sole 24 Ore, citando l’ex segretario del Pd: “Benché mi pare che questo governo non abbia tra le sue qualità migliori l’umiltà, penso che sia un governo che abbia bisogno di aiuto, una volta che siano chiari gli obiettivi, che ancora credo meritino un po’ di definizione”. Da domani “gli italiano vorranno misurare lo spread tra le parole e i fatti”, aggiunge Bersani.
Il Giornale: “I rosiconi rottamati del Pd aprono già il fuoco amico. Dalla Finocchiaro e Civati a Fassina, i nemici di Renzi votano la fiducia per disciplina di partito e masticano amaro. E’ la solita sinistra che perdona tutto tranne il successo”.

La Repubblica intervista Gianni Cuperlo, leader della minoranza Pd: “La scissione non ci sarà ma una ferita c’è stata, a sinistra serve un’anima”, “non basta arrivare al governo”. Sulla stessa pagina compare un’anticipazione dall’ultimo libro di Massimo D’Alema, che arriverà in libreria venerdì prossimo, in occasione del congresso del Pse a Roma. “Non solo Euro” è il titolo del volume, i cui contenuti La Repubblica sintetizza nel titolo: “’L’Europa rompa le catene, la moneta non basta’”.
Per Il Fatto: “Abbraccio Letta-Bersani. Il Pd è pronto alla guerra”, “L’ex segretario del partito ritorna in aula dopo la malattia: ‘Sono qui per Enrico’, chiarisce. E sul primo ministri: ‘Non è umile. Va aiutato'”.

Il Corriere della Sera intervista il parlamentare Pd Miguel Gotor, che dice di aver votato la fiducia “per disciplina di partito”, “per me termine nobile”. Dice che su Renzi non fa una questione di stile, “queste sono sciocchezze”, ma di “vaghezza dei contenuti” e che uno dei problemi è il ministro dello Sviluppo Federica Guidi, “portatrice di un conflitto di interessi evidente, di natura familiare”. “Sul governo ci sono le impronte di un conflitto di interessi e di una intesa con Berlusconi, il quale non a caso avrebbe detto ‘abbiamo un ministro’”.

Lo stesso quotidiano intervista Matteo Colaninno, deputato Pd “con forti interessi in famiglia con molte aziende”, tra cui Piaggio e Alitalia. Difende Guidi, dice che è persona “capace e competente”, che quella di Renzi è stata una decisione “coraggiosa ma giusta”, spiega di essersi trovato quasi nella stessa situazione, quando si candidò con Veltroni che gli disse che pensava a lui come ministro. La soluzione è una legge “efficace e moderna” sul conflitto di interessi “che tuteli tutti”, sul modello del blind trust usato negli Usa.

La Guidi viene intervistata da La Repubblica: “‘Berlusconi mi ha chiamato e non vi dico per chi ho votato”, “Il ministro Guidi: nessun conflitto, Ducati vende a Stato e privati'”. L’imprenditrice ricorda quanto aveva già detto: che alle ultime elezioni declinò un invito proveniente da Angelino Alfano per conto di Berlusconi di candidarsi con il Pdl, perché non voleva scendere in politica. E di aver accettato la proposta di Renzi che non le ha chiesto per chi vota.

Per tornare al Corriere, si trova una intervista anche Giovanni Toti, che parla dell’atteggiamento di Forza Italia sul governo: “Premier confuso sul programma. Sulle riforme tenga fede ai patti”. Toti ribadisce che FI vuole che sia varata presto la nuova legge elettorale, e “siamo ovviamente disponibili a lavorare sulle riforme dello Stato che rendano il Paese più governabile”. Sul proposito di Renzi di durare fino al 2018, Toti dice: “Per come la penso io, un governo che nasce dal peccato originale di non passare per le urne serve solo per fare le riforme utili per la governabilità del Paese e per le emergenze più immediate”, come lo sblocco dei pagamenti della PA, e “poi si deve tornare a votare”. Naturalmente “se ci fossero straordinari passi in avanti per il Paese valuteremmo, ma allo stato abbiamo dubbi che possa accadere”.

Su Il Giornale ci si sofferma sul toto-nomi per i posti di sottosegretario e viceministro. “Altro che governo light: 50 sottosegretari”. Il premier sarebbe “costretto” ad aumentare i posti, per accontentare i partiti e i gruppi che lo sostengono. 10 alfaniani, 22 Pd, 5 Scelta Civica, due socialisti, qualche posto per i Popolari per l’Italia che contano 12 senatori e non hanno avuto neppure un ministro.
Sul Sole 24 Ore si scrive che il consiglio dei ministri procederà alle nomine tra stasera e domani, e che per il Ministero dell’Economia ci sarebbe Enrico Morando come viceministro, Benedetto Della Vedova, Luigi Casero e Pier Paolo Baretta. Allo Sviluppo Economico sarebbero confermati Claudio De Vincenti e Simona Vicari, ed entrerebbe Carlo Calenda. Potrebbe avere una delega alle tlc Stefano Parisi, ex Fastweb ed ex direttore generale Confindustria, ma si parla anche di un “fedelissimo” renziano come Paolo Coppola. Alle politiche Ue potrebbe restare Moavero, o andare l’ex ministro Mauro.
Secondo La Stampa “Renzi vuole portare l’economista Gutgeld a Palazzo Chigi”. Andrebbe a ricoprire l’incarico di responsabile del Dipartimento economico, “cabina di regia” delle politiche del nuovo governo.

Governo, economia

Sul Corriere l’economista Marcello Messori firma un articolo dedicato a uno dei punti enunciati da Renzi in Parlamento, quello sui pagamenti dei debiti della Pa nei confronti delle aziende. Messori ricorda un documento Astrid dello scorso anno – elaborato insieme a Franco Bassanini – in cui si dimostrava come “almeno con riguardo alle spese di parte corrente relative agli anni precedenti quello considerato”, l’obiettivo “può essere raggiunto senza aumentare deficit pubblico, senza addossare oneri impropri ai creditori e senza premiare le amministrazioni scorrette”. In sostanza le amministrazioni debitrici “abbiano l’obbligo di ristrutturare e cedere” alle banche la parte di questi debiti legati alla spesa corrente; le banche ottengono su questri crediti una garanzia statale (che non pesa sul bilancio pubblico, perché è riferita a spese contabilizzate nel passato); le banche cedono gradualmente alla Cdp i crediti ogni volta che la PA non rispetta i propri obblighi, e la Cassa Depositi e Prestiti – forte di una estensione della garanzia legata alla sua attività tradizionale, quella di fare mutui agli enti locali – allunga la scadenza dei crediti per le amministrazioni in difficoltà. Messori ricorda che finora dal Ministero dell’Economia hanno resistito a questa proposta temendo “eccessivi aumenti contabili” del debito italiano, e forse anche la apparente macchinosità della proposta. Renzi sembra volerla riprendere (nel suo intervento in Parlamento ha fatto riferimento alla CDP, ndr). Questa scelta, conclude Messori, ha anche il vantaggio di “eliminare ogni ambiguità rispetto alla posizione italiana” sul famoso 3 per cento: non si tratta di forzare questo tetto, ma di “evitare interpretazioni troppo restrittive del necessario processo di riduzione del nostro rapporto debito pubblico-Pil”.

L’economista Alberto Quadrio Curzio, sul Sole 24 Ore, si sofferma invece sui problemi strutturali dell’economia italiana, e ricorda che “la vera sfida è raddoppiare la crescita”. “Se davvero il nuovo presidente del consiglio è più bravo del precedente dovrebbe portare la crescita del 2014 all’1,2 per cento, in linea con la media Uem, al contempo mantenendo il consenso delle istituzioni europee e dei mercati sui parametri di finanza pubblica”. Per farlo, secondo l’economista, servono misure di risparmio (sulla burocrazia e sulle norme), e misure finanziarie, come la riduzione del cuneo fiscale (dei 10 miliardi evocati da Renzi “ci si potrebbe accontentare”), per la quale le risorse potrebbero arrivare dalla spending review. Sui debiti della Pa anche Quadrio Curzio scrive del “progetto Bassanini”, fondato su “garanzie pubbliche per una triangolazione banche-Cdp”, e lo definisce “molto interessante” e “già indicato in norme del 2013 non rese operative”.

Ai “conti dell’Italia” sono dedicate le pagine 2 e 3 de La Stampa. “I conti dell’Italia tengono. Ma la crescita non si vede”, “La Commissione rivede al ribasso le stime sul Pil, il deficit migliora”. Su La Repubblica, pagina 10: “Ue: ‘In Italia la crescita più bassa, fate di più per ridurre il debito”. Bruxelles “corregge in negativo le stime”, scrive il quotidiano : “L’Italia resta il grande malato di un’Europa che sta lentamente consolidando la ripresa”, scrive il corrispondente da Bruxelles Bonanni.

Internazionale

Con un richiamo in prima, Bernardo Valli firma su La Repubblica un altro reportage dall’Ucraina: “Il Parlamento sotto scacco della Piazza, la lotta senza fine tra i due poteri di Kiev”. Nicola Lombardozzi è invece l’inviato in Crimea: a Sebastopoli, “tra i ribelli della roccaforte filo-russa. ‘Siamo pronti a riprenderci l’Ucraina’, “Arrivano i blindati di Mosca. E la Crimea sogna la secessione”.
L’inviato de La Stampa a Kiev è Domenico Quirico: “Fra i reduci di Maidan. ‘La rivoluzione? E’ appena iniziata’”, “La piazza mugugna e non rinuncia alle barricate, ‘Non abbiamo dato il sangue per tornare al passato’”. In basso, un’analisi di Anna Zafesova: “Crimea, l’ombra della secessione, ‘Blindati russi a Sebastopoli’”. Una nave militare è giunta nel porto, ma potrebbe trattarsi di spostamenti di routine.
Il Corriere della Sera ospita un intervento dell’intellettuale francese Bernard-Henry Levy: “Piazza nazionalista e antisemita? Non credete alle bugie di Putin”. Levy scrive che dalla Russia, “un paese in cui la caccia al gay e alle facce norcaucasiche diventa uno sport nazionale”, redarguisce Francia e Germania perché la “rivoluzione ucraina segnerebbe il ritorno del fascismo in Europa”. E risponde che “certamente sì”, in Ucraina “come ovunque in europa” è esistita una tradizione ultranazionale, e certamente non è stato risparmiato dal virus antisemita, ci sono gruppuscoli di destra e “un partito, Svoboda, che fino a dieci anni fa si definiva ‘social-nazionale’. Solo che questo partito, al suo massimo successo, rappresentava il 10 per cento degli ucraini, che nelle settimane della rivolta la sua percentuale di consensi, secondo i sondaggi, sarebbe anche scesa, e i “principali interessati”, cioè le organizzazioni ebraiche, hanno partecipato alle manifestazioni di Maidan, e che dal palco di piazza Maidan non si sono sentite parole antisemite.

Su Pagina 99 è Astrit Dakli ad occuparsi della situazione in Ucraina, e più precisamente della Crimea dove – secondo il presidente ucraino ad interime – ci sono pericolosi segnali di separatismo. Centinaia di manifestanti filorussi sono radunati nel capoluogo Simferopol, davanti al palazzo del governatore locale. Protestano anche contro l’abrogazione della legge che parifica il russo all’ucraino nelle regioni con forte presenza russofona. “Ora è la Crimea che fa paura”, il titolo.
Anche sul Sole 24 Ore: “Crimea allarme secessione”. E poi: “Il Parlamento rinvia Yanukovich al giudizio del Tribunale dell’Aja”.
E sul Corriere: “I tank russi nelle strade della Crimea. Oggi il parlamento regionale potrebbe votare la secessione da Kiev”.

Tanto La Stampa che La Repubblica dedicano attenzione all’ultimo scandalo scoppiato in Turchia. Si traccerebbe di un’intercettazione tra il primo ministro Erdogan e suo figlio Bilal, già sotto indagine della magistratura. Su Youtube il colloquio impazza. “Figlio, stanno facendo una grande operazione anti-corruzione. Prendi tutto quello che c’è a casa, ok?”. La Repubblica sottolinea a più riprese che l’autenticità delle intercettazioni non è confermata, ma intanto la protesta è esplosa: a Istanbul, a Smirne, ad Ankara. Il premier denuncia una “montatura”.  Il Sole 24 Ore sintetizza così la notizia: “Tangentopoli in Turchia, premier a rischio. Erdogan intercettato. ‘La registrazione è un falso’”. Finora sono state ascoltate da più di due milioni di utenti.

In prima su La Stampa un richiamo per le notizie dalla Nigeria: “la strage degli studenti”. Scrive il quotidiano che gli estremisti islamici hanno dato alle fiamme un collegio: “nel sonno muoiono 59 ragazzi”. La Stampa: “Nigeria, gli islamisti fanno strage di studenti”, “I terroristi di Boko Haram attaccano un collegio nel nord-Est reo di insegnare all’occidentale”. I miliziani vogliono imporre la sharia, ma sullo sfondo c’è lo scontro etnico per il controllo del Paese: in vista delle elezioni del 2015 è iniziata l’escalation, non più solo obiettivi militari, ma scuole.
La Repubblica, ancora sulla Nigeria: “’L’istruzione straniera è peccato’, strage nel liceo”.
Sulla stessa pagina: “Corsi di sesso a scuola, la sfida di 700 ragazze nel Pakistan di Malala”. L’esperimento nel villaggio di Johi. Ma il ministro per l’Istruzione della provincia del Sindh insorge: “non fa parte del nostro curriculum”.

L’Unità parla della pubblicazione sul tabloid ugandese Red Pepper di una lista di duecento persone, con tanto di foto, con sopra il titolo “Beccati!”. Sono gay dichiarati o presunti, “messi alla gogna” dopo la firma del presidente Museveni sulla legge che prevede anche l’ergastolo per gli omosessuali in Uganda.
Anche su Il Giornale: “’Scoperti’. Su un giornale ugandese nomi e foto di 200 omosessuali”. Tra i nomi quelli di un cantante hip hop e di Pepe Julian Onziema, che si batte contro la legge appena firmata da Museveni, e sostiene che rischia di scatenare violenze e cacce all’uomo nel Paese.

E poi

In prima pagina de L’Unità da segnalare un intervento di Massimo D’Alema dal titolo “La sinistra e l’Europa”, a partire da un libro, “Non solo euro”, edito da Rubettino e firmato dall’ex presidente del consiglio.
Il Sole 24 Ore recensisce il volume sotto il titolo: “Per D’Alema all’Europa serve un cambio radicale”.
Anche su La Stampa: “Il piano D’Alema per la Ue: ‘Meno austerity da subito e più investimenti di qualità'”, mentre sul Corriere è Franco Venturini a firmare la recensione: “Non bruciate l’Ue, riformatela. La ricetta di D’Alema”.

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