Decade, non decade. Oggi alle 15.00 il primo round

Corriere della Sera: “Piano per vendere i beni pubblici”, “Letta: a fine mese le dismissioni, basta con i veti”, “Saccomanni boccia il piano imprese-sindacati: costa 15 miliardi”.

A centro pagina: “E’ libero il giornalista Quirico, ‘Non mi hanno trattato bene’”, “L’inviato de La Stampa rapito in Siria 5 mesi fa. Bonino: grande gioia”.

 

La Repubblica: “Giunta, il Pdl chiede subito il rinvio”, “Al Senato la battaglia su Berlusconi. Il Pd: avanti come dice la legge”, “Via alla commissione che discute la decadenza, il partito del Cavaliere punta a una settimana di stop. Letta sula crisi: ‘I veti non mi bloccheranno’”.

A centro pagina: “Liberato Quirico, cinque mesi nell’incubo: ‘La rivoluzione siriana mi ha tradito’”, “Il giornalista era sparito in aprile. Assad sfida Obama: vi colpiremo”.

 

La Stampa: “Domenico è libero: è come tornare da Marte”, “Prigionieri cinque mesi in Siria: ho avuto paura, non mi hanno trattato bene”, “Svolta nel rapimento del nostro inviato Quirico. Napolitano: un successo, bravi Farnesina e servizi. Bonino: momento emozionante per tutti”.

A centro pagina: “Letta: i veti non mi fermano”, “Decadenza di Berlusconi: oggi la giunta. Alfano: il caso non è chiuso. Il Pd: votiamo a favore”.

 

Il Giornale ha a centro pagina una foto di Fedele Confalonieri, che in un’intervista dice: “La condanna a Silvio è aberrante e io ne sono la prova”.

Sotto la testata, le parole del capogruppo Pdl alla Camera: “In gioco spread, Imu e Iva”, “il Presidente dei deputati Pdl: se davvero buttano il Cavaliere fuori dal Senato il Paese rischia. Nuova maggioranza sinistra-Grillo? Per noi sarebbe una benedizione. Da metà settembre torna Forza Italia”.

 

L’Unità: “Berlusconi, scontro finale. Oggi comincia il braccio di ferro in giunta al Senato. Il Pdl punta sul ricorso a Straburgo. Alfano attacca e poi chiede ad Arcore la grazia per il governo. Il Pd: basta ricatti. Letta: i veti non mi fermeranno, voglio rompere le catene che bloccano il Paese”. A centro pagina “Assad minaccia, pronta la rappresaglia”, “offensiva di Obama per convincere il Congresso. Merkel critica i Paesi Ue che si muovono da soli”. “Il Papa: no alla guerra, serve solo a vendere armi”.

 

Il Sole 24 Ore: “Tasse locali, si riapre il cantiere”, “dopo il secondo decreto sull’Imu gran parte delle città alle prese con la revisione delle manovre di bilancio per far quadrare i conti 2013. Decisioni possibili fino al 30 novembre, con il rischio di nuovi rincari per i cittadini”.

 

Quirico

 

La Stampa, il quotidiano per cui l’inviato Domenico Quirico lavora, scrive che la notizia della sua liberazione è arrivata ieri poco prima delle 20. Le sue dichiarazioni a caldo, dopo l’arrivo a Ciampino: “E’ come se fossi stato cinque mesi su Marte, e ho scoperto che i marziani sono molto cattivi”. Alla domanda se abbia avuto paura, risponde: “Penso di sì”. Come l’hanno trattata? “Non bene”. Ma secondo il quotidiano più che la paura a trasparire è stata la delusione. “E’ possibile che io sia stato tradito dalla rivoluzione, non è la rivoluzione che ho conosciuto due anni fa ad Aleppo, laica, tollerante. E’ diventata un’altra cosa”.

Ne scrive naturalmente il direttore del quotidiano Mario Calabresi, in prima pagina, che sottolinea come si debba alla liberazione di Quirico a “un formidabile impegno di tutti gli apparati dello Stato”. E aggiunge: “Avere fiducia è significato scommettere su questo lavoro coordinato dalla unità di crisi della Farnesina – a cui hanno dato sempre il loro apporto in prima persona Emma Bonino ed Enrico Letta – senza cercare strade alternative, che potevano essere allettanti ma anche disastrose. Avevamo sperato che la svolta potesse arrivare proprio in questi giorni, prima di un possibile intervento americano in Siria, che può creare ancora più caos in un’area che è al centro dei combattimenti. Se Domenico è libero è proprio perché sono stati intensificati gli sforzi per liberarlo, in una corsa contro il tempo”. Il quotidiano intervista anche il ministro Bonino: “E’ stato fondamentale tenere un basso profilo”. Il quotidiano ricorda che padre dall’Olio, l’altro italiano rapito in Siria il 27 luglio, è ancora in mano ai rapitori. E la Bonino dice: “Per padre Dall’Olio al momento i contatti sono minori, e purtroppo anche meno solidificati”.

 

Siria

 

Scrive La Repubblica che stasera Obama andrà in onda su sei network televisivi con altrettante interviste. E’ una offensiva politico-mediatica a tutto campo. Domani sera parlerà alla nazione dallo Studio Ovale della Casa Bianca. Parallelamente procede il lavorio incessante, un vero e proprio lobbying parlamentare, per conquistare i voti necessari al via libera all’azione militare in Siria: negli ultimi giorni ben 165 deputati e 85 senatori sono stati direttamente contattati da Obama e da tutti i pesi massimi dell’Amministrazione. Ai parlamentari sono stati mostrati nuovi video choc, con le immagini agghiaccianti delle vittime con il gas Sarin. Tra coloro che si sono schierati a favore dell’intervento militare, Obama può vantare due ex collaboratori di prestigio: Hillary Clinton e il generale Paetraeus, che fu capo in Afghanistan e alla Cia. Una associazione per l’amicizia israelo americana, l’American Public Affair Comittee, mette in campo i suoi esponenti per contattare i parlamentari e spiegare la necessità di un intervento contro Assad. Oggi torna a riunirsi la Camera, “l’osso più duro per Obama”, visto che la maggioranza Repubblicana negli ultimi due anni ha sistematicamente bocciato qualsiasi proposta del Presidente. Il Senato ha una maggioranza democratica ed è meno ostico anche nella componente repubblicana, ma i suoi regolamenti impongono di raggiungere una maggioranza qualificata di 60 voti su 100. Al Congresso l’ultima conta dei voti, ieri, dava i seguenti rapporti di forza: Camera 229 no, 41 sì, 163 indecisi o non dichiarati; al Senato, 32 no, 28 sì, 40 indecisi”.

Il Corriere della Sera parla della “disperata offensiva” di Obama per cercare di capovolgere una situazione che, ad oggi, si presenta per lui disastrosa. L’opinione pubblica è in gran parte contraria al coinvolgimento di Washington nel conflitto siriano, ma un recupero è ancora possibile, poiché con la riapertura del Congresso potrebbe cambiare anche il clima politico: deputati e senatori, fino a qui esposti agli elettori dei loro collegi che non vogliono sentir parlare di un’altra guerra, a Washington respireranno un’aria diversa: “Sentiranno – scrive l’inviato – il peso di un ‘no’ che delegittimerebbe il loro presidente davanti al mondo, e subiranno pressioni di gruppi influenti come l’IPAC, la superlobby ebraica in questo caso schierata con Obama”. Ma il quotidiano ricorda anche che vi sono ricorrenze previste che allungano i tempi: mercoledì sarà l’anniversario dell’11 settembre, venerdì e sabato (13 e 14) cade lo Yom Kippur, la più sacra festa ebraica. Non è certo il caso di far coincidere queste ricorrenze con una campagna di missili. E’ tuttavia Obama non può neanche andare troppo in là: non vorrà certo parlare all’Assemblea Nazionale delle Nazioni Unite, tra il 23 e il 26 settembre, con la Siria in fiamme per i bombardamenti.

Il Senato, ricorda ancora il quotidiano, ha già una risoluzione approvata dalla Commissione Esteri e potrebbe votare già domani o mercoledì. Ma la Camera non ha neanche elaborato un testo e le prospettive, nonostante l’impegno dei leader democratici (Nancy Pelosi) e repubblicani (John Boehner ed Eric Cantor) a sostegno dell’attacco militare sono “assai cupe” per Obama. Obama avrà bisogno del sostegno compatto dei 200 deputati democratici, ma al momento non può contare su più di 115, al massimo 130 dei loro voti.

Ancora sul Corriere, Massimo Nava scrive della “rivincita dei Parlamenti” e del peso dei sondaggi, evidenziatosi in questi giorni sulla vicenda siriana: dal no della Gran Bretagna alle difficoltà di Obama al Congresso, passando per la Francia (“il dibattito all’Assemblea nazionale ha messo il presidente Hollande nell’angolo”). C’è una crescente sfiducia in sistemi e istanze sovranazionali presso l’opinione pubblica: e parallelamente emerge in modo drammatico “il potere di decisione e di veto di oligarchie (Russia, Cina), di sistemi antidemocratici e totalitari (Arabia saudita, Iran), di Paesi emergenti e nuove potenze (Brasile, India, Nigeria, Indonesia, Turchia), con standard democratici variabili, contraddittori e incompiuti”.

La Stampa si occupa anche della posizione francese e parla di un “cambio di rotta” da parte dell’Eliseo “spettacolare”: la Francia che accelerava, “ora frena”. Il segretario di Stato Usa Kerry ha dichiarato che la Casa Bianca sta considerando il suggerimento del presidente francese Hollande di far precedere i missili da un nuovo voto sul dossier siriano in Consiglio di sicurezza, in modo da mettere tutti -soprattutto Cina e Russia- di fronte alle loro responsabilità. Commenta La Stampa: “dopo che, con i Rafale praticamente già in volo, Obama ha deciso di chiedere il voto del Congresso, Hollande -scrive il quotidiano- si è reso conto di essersi cacciato nella scomoda posizione del generale che strilla ‘Seguitemi!’ a una truppa che non si muove. Prima conseguenza, il Président è sparito dalla scena e la gestione della pratica è stata interamente delegata al suo ministro degli Esteri Luarenbt Fabius”. Hollande, insomma, deve cercare di guadagnare tempo, anche perché un intervento militare, stando i sondaggi, non piace a due francesi su tre. Il presidente socialista, peraltro, ha continuato la politica di grande amicizia del suo predecessore Sarkozy per le monarchie del Golfo, specie il Qatar, che si è comprato mezza Francia, dal Paris Saint-Germain in giù: “proprio Arabia saudita e Qatar sostengono con denaro ed armi la ribellione siriana. E, nei progetti per la Siria, c’è l’idea che, dopo i bombardamenti, il lavoro sporco sul terreno per sbarazzarsi dal regime lo facciano gli insorti, finanziati appunto con i petrodollari degli sceicchi”.

 

Berlusconi e la decadenza.

 

Scrive il Corriere che oggi alle 15, “dopo 40 giorni di ipotesi e di duelli tra costituzionalisti”, la giunta delle elezioni del Senato “entra nel vivo della ‘procedura per la declaratoria della decadenza dalla carica’” di parlamentare di Silvio Berlusconi, come effetto della legge anticorruzione, a seguito della condanna inflittagli dalla Cassazione lo scorso 2 agosto (4 anni per frode fiscale). Il “fatto nuovo” è il ricorso “contro l’Italia” presentato dall’ex premier alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo che, almeno nelle dichiarazioni di Angelino Alfano e di mezzo Pdl, mira a dimostrare che “il caso Berlusconi non è chiuso”. I commissari Pdl presenti in giunta (Casellati, Caliendo, D’Ascola, Giovanardi), potrebbero chiedere una sospensione dei lavori alla luce del ricorso presentato alla Corte europea. Ma i membri Pdl non potranno avanzare la loro richiesta prima che parli il relatore Andrea Augello, anch’egli Pdl. Perché nel Pd “la strada del ricorso a Strasburgo è già considerata un vicolo cieco”. A confermare l’orientamento è il senatore Pd Felice Casson: “Nell’ultima seduta sono intervenuto per chiarire che lunedì 9 l’ordine del giorno è rigido a norma di regolamento. Augello deve fare la sua relazione e al termine -potrà certamente parlare più di un’ora, nessuno sarà fiscale su questo- dovrà fare la sua proposta”. Anche il relatore Augello, però, fa notare il Corriere, potrebbe giocare la carta della sospensiva in attesa della decisione della Corte di Strasburgo. Ma Casson insiste: “Sarebbe paradossale, perché la Corte europea per i diritti dell’uomo potrebbe impiegare una decina di mesi solo per dire se il ricorso è ammissibile e addirittura anni per pronunciarsi nel merito”. Inoltre, secondo Luciano Violante quel ricorso è “irricevibile”: “un ricorso, per essere fondato, presuppone che la decadenza sia stata applicata. In questo caso, invece, non è stata ancora applicata”.

Su La Repubblica uno schema indica “gli schieramenti”: 14 sarebbero i “sì” alla

decadenza in giunta, 8 i “no”, 1 indeciso. Giacomo Caliendo, già sottosegretario alla giustizia e membro Pdl, dice: “Voglio proprio vedere se per Berlusconi si seguirà un comportamento che non s’è mai seguito per nessun altro parlamentare. Voglio vedere se si avrà il coraggio di fare un’accelerazione del tutto immotivata”. Il quotidiano intervista il Pdl Paolo Romani, secondo cui sono “fondati i dubbi sui giudici” e il Pd deve riconoscerlo. Il Pd dovrebbe “consentire che in Giunta ci sia un approfondimento sulle motivazioni che hanno portato Berlusconi a fare questi ricorsi. Non può essere trattato come un delinquente abituale”, “Non si tratta di guadagnare qualche settimana, sui tratta di dire al partito con il quale siamo al governo di considerare i dubbi sul comportamento della magistratura, una presa d’atto, un fatto politico. Dicano che nella magistratura qualcosa non ha funzionato”.

Il Corriere della Sera intervista Carlo Nordio, procuratore aggiunto di Venezia, che spiega perché, secondo la sua opinione, la legge Severino anticorruzione non può essere retroattiva: “Esiste il principio della irretroattività della sanzione penale, ma alcuni hanno detto che la decadenza da senatore non è una sanzione penale, ma amministrativa. Bene io credo, come hanno già sostenuto illustri giuristi prima di me, che anche le sanzioni amministrative non possono essere retroattive”.

Il Giornale pubblica ampi stralci di un’intervista realizzata dalla fondazione Magna Carta a Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset: “la prova che questa sentenza sia aberrante -dice- è che io, che sono quello che firma i bilanci di Mediaset, sono stato assolto due volte. Quello che faceva il presidente del Consiglio nel 2003 è condannato a quattro anni per frode fiscale. Non stiamo parlando di altre cose, la frode fiscale è una cosa ben precisa.”. .

 

E poi

 

Su La Repubblica è Luis Sepùlveda a ricordare il golpe militare che quarant’anni fa depose il presidente Allende. Racconta i martiri di quei giorni, “gli eroi di Allende”, i fedelissimi che resistettero fino all’ultimo.

Giuliano Amato su L’Unità parla di integrazione e razzismo in Italia, riflettendo sul caso Kynege, dopo gli insulti alla ministra per l’Integrazione. Riferisce dei dati di un’analisi de l’Economist: più dell’11 per cento degli gli italiani sarebbe contrario ad avere vicini di altre razze, contro un 4,9 per cento degli inglesi e il 6,9 per cento degli spagnoli. Scrive Amato che gli italiani si sono disabituati da secoli all’integrazione, che forse dovremmo apprendere di nuovo. Fondamentale è il ruolo della scuola, così come quello dei mezzi di comunicazione.

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