LA BELLA CONFUSIONE

Oscar Iarussi

Giornalista e scrittore, in libreria con "Amarcord Fellini. L'alfabeto di Federico" (Il Mulino ed., 2020)

Borghesia e decadenza: “Il capitale umano” di Virzì

24 settembre 2014 – “Il capitale umano’ di Paolo Virzì è stato indicato dalla commissione selezionatrice come candidato dell’Italia al premio Oscar per il miglior film straniero, vinto nel 2014 da “La grande bellezza” di Sorrentino. Le nomination per la cinquina si sapranno il 15 gennaio 2015

Italia, oggi. Una laconica, grigia, opulenta e perciò disperata provincia lombarda, che tuttavia potrebbe essere in ogni dove. Famiglie: padri distratti, figli disastrati e quel che resta delle madri, imbambolate o tardivamente incinte. Un cameriere torna dal lavoro in bicicletta e sul ciglio viene investito da un Suv, macchine egolatriche che spesso dicono la pochezza del proprietario. Già, chi era alla guida? Chi ha ucciso quel giovane padre di famiglia, senza fermarsi a soccorrerlo? Lo scoprirete in sala. Paolo Virzì festeggia i suoi imminenti cinquant’anni e i venti di cinema trascorsi dall’esordio La bella vita con un film maturo ed efficace, pensoso e sottilmente inquietante, tra i suoi più riusciti al pari di Caterina va in città (2003).

Da ieri sugli schermi, Il capitale umano è un noir  dalle sfumature sociali, con alcune misurate allusioni alla cronaca. Difficile, per esempio, non pensare a una più giovane «Veronica Lario» (tra virgolette perché stilizzata) guardando ai tormenti  della bravissima Valeria Bruni Tedeschi. L’attrice italo-francese interpreta la moglie di uno speculatore finanziario cui Fabrizio Gifuni offre un’algida distanza persino da se stesso: ruolo memorabile. Il titolo è mutuato dal gergo assicurativo che così definisce il rimborso destinato ai parenti delle vittime della strada: «il capitale umano», appunto. A ispirare il regista livornese è stato un romanzo dello statunitense Stephen Amidon, autore che sarà il caso di leggere, considerato un erede di John Cheever, il «Cechov dei sobborghi». I racconti di Cheever – tradotti per i tipi di Fandango – sono «apologhi morali senza futuro» (Vito Amoruso). Definizione che s’addice anche alla materia del film.

La famiglia dei ricchi con splendida villa in collina si completa con Massimiliano,  rampollo diciottenne istupidito dagli agi e dai vizi. C’è poi la famiglia dei meno ricchi. Lui è un immobiliarista in crisi e divorziato, un Fabrizio Bentivoglio tutto disincanto e affarismo straccione (carattere tipico della commedia all’italiana). Lei è una psicologa che ha appena scoperto di essere gravida, Valeria Golino. I due vivono con la figlia del primo matrimonio paterno, la ribelle Serena che amoreggia con Massimiliano, ma è ormai stufa di lui e si sta innamorando di un paziente della matrigna, il fragile Luca. Gli incroci fra i personaggi sono molteplici in una drammaturgia costruita per capitoli e un po’ come un puzzle.E plurimi sono i punti di vista sulle medesime vicende: la notte fatale dell’incidente, gli amori e i tradimenti.  La sceneggiatura – scritta da Virzì con Francesco Piccolo e Francesco Bruni – a metà percorso tradisce qualche lungaggine, però a evitare la noia provvede la bravura degli attori, inclusi i debuttanti Guglielmo  Pinelli e Matilde Gioli, Giovanni Anzaldo, e i ruoli di contorno: l’ispettore Bebo Storti, il bancario Gigio Alberti e il professore di teatro Luigi Lo Cascio che seduce la bella signora milionaria, ex attrice, guardando Nostra Signora dei Turchi: Bene! (Carmelo).

A colpire nel film di Virzì è l’assenza di qualsiasi dimensione caricaturale, del macchiettismo e della malintesa attualità «politica», che pure facevano capolino nei suoi lavori precedenti. Per dirne una: non si vedono paillette televisive.  Appaiono dunque pretestuose le polemiche della Lega Nord sul vituperio della Brianza da parte di Virzì. Nella filmografia in itinere sul ventennio cosiddetto «berlusconiano», Il capitale umano – con quell’eco inconsapevolmente marxiana del titolo – è uno scandaglio della nostra antropologia culturale: misura la profondità del malessere.Ed è interessante che, pur assai diverso da La grande bellezza di Sorrentino, sia un altro film sulla borghesia, la ricchezza, i ceti colti e affluenti a mostrare quanto siamo diventati poveri di spirito. «Avete scommesso sulla rovina di questo Paese e avete vinto», dice infine Bruni Tedeschi. «Abbiamo vinto», la corregge Gifuni. Basterà il candore adolescenziale e la piccola bellezza di Serena a riscattarci?

*Articolo pubblicato sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” del 10 gennaio 2014

IL CAPITALE UMANO di Paolo Virzì, dall’omonimo romanzo di Stephen Amidon (Mondadori ed.). Interpreti e personaggi: Valeria Bruni Tedeschi e Fabrizio Gifuni (Carla e Giovanni Bernaschi), Fabrizio Bentivoglio (Dino Ossola), Valeria Golino (Roberta Morelli), Matilde Gioli (Serena Ossola), Guglielmo Pinelli (Massimiliano Bernaschi), Giovanni Anzaldo (Luca Ambrosini). Drammatico, Italia-Francia, 2014. Durata: 111 minuti
 

  1. Film visto. E’ interessante.
    Però in certi momenti pecca di eccessiva superficialità.
    Riguardo la polemica leghista: effettivamente nel film il partito viene ridicolizzato. E non si sa bene perchè abbiano inserito certe scene. Questo non fa certo onore al regista.. anzi.. sminuisce un po’ tutto il film nel complesso carino.

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