Donne nel mondo arabo, Egitto all’ultimo posto. La classifica Reuters Foundation

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Su 22 paesi del mondo arabo l’Egitto è ultimo in classifica per condizioni e diritti delle donne. La svolta sperata con la “primavera araba” non è arrivata. A dirlo sono i risultati di un sondaggio realizzato dalla Thomson Reuters Foundation, che ha intervistato 336 esperti di genere fra agosto e settembre nei 22 stati della Lega Araba (attualmente 21, se si considera la sospensione della Siria, comunque coinvolta nella ricerca).

Nell’edizione 2013, il sondaggio che la Fondazione realizza annualmente fotografa la condizione delle donne e l’evoluzione (o involuzione) post rivolte del 2011: le donne non hanno di fatto beneficiato della “fine” dei regimi, e si ritrovano ancora a fare i conti con discriminazioni, molestie sessuali e aumento di instabilità sociale. “Abbiamo rimosso Mubarak dal palazzo presidenziale – ha commentato la giornalista egiziana Mona Eltahawy – ma dobbiamo ancora rimuoverlo dalle nostre menti e dalle nostre camere da letto. Noi donne abbiamo bisogno di una doppia rivoluzione – ha aggiunto – quella contro i dittatori che hanno rovinato i nostri paesi e quella contro la miscela tossica di cultura e religione che rovina le nostre vite”. La stessa Eltahawy, proprio nel 2011, era stata fermata dai militari in piazza Tahrir durante le proteste e trattenuta per 12 ore, e aveva poi denunciato di aver subito abusi psichici e fisici, come avrebbero provato le fratture al braccio sinistro e alla mano destra dopo il rilascio.

Le domande del sondaggio, basate sulla Cedaw, Committee on the Elimination of Discrimination against Women delle Nazioni Unite del 1979, sono servite a valutare la condizione femminile in base ad una serie di parametri quali il diritto alla maternità, il trattamento all’interno della famiglia, l’integrazione nella società e la possibilità di inserirsi nell’economia e nella politica del proprio paese, la presenza di comportamenti violenti diffusi.

22° posto: Egitto
L’Egitto si è piazzato ultimo in tutte le categorie: già un rapporto delle Nazioni Unite lo scorso aprile parlava di molestie sessuali subite dal 99% delle donne e delle bambine. Basti ricordare come durante le proteste di piazza Tahrir quasi un centinaio di donne furono violentate o molestate, proprio per limitarne la partecipazione e alimentare un clima di paura durante le manifestazioni. Dalle interviste raccolte nel paese è emersa anche l’estrema diffusione di matrimoni forzati, soprattutto nei villaggi dove la donna diventa merce di scambio e viene letteralmente venduta e data in sposa al migliore offerente. Altra questione che fa precipitare l’Egitto in coda alla classifica è la pratica delle mutilazioni genitali che continuano ad essere la prassi per il 91% delle bambine, secondo i dati raccolti dall’Unicef.

21° posto: Iraq
In Iraq la condizione delle donne risulta peggiorata dal 2003, anno di inizio dell’intervento americano. Sempre più sono le donne che vivono in condizioni di vulnerabilità, e che rischiano di subire abusi sessuali o di diventare oggetto di tratta. Si stima che le vedove (di guerra per lo più) siano un milione e 600mila, e che in una situazione in cui solo il 14,5% della popolazione femminile ha un lavoro, molte siano costrette ad emigrare negli Emirati, in Siria e Giordania dove vengono reclutate e inserite nel giro della prostituzione. In ambito familiare, soprattutto nei villaggi, la libertà personale è ancora fortemente limitata: il 72,4% delle donne è costretta a chiedere il permesso al marito anche per ricevere cure e assistenza sanitaria. Senza contare che nel corso degli ultimi dieci anni di guerra sono cresciuti i flussi migratori anche interni al paese, che non hanno certo favorito l’integrazione della donna e il suo ruolo nella società.

20° posto: Arabia Saudita
Al ventesimo posto la condizione femminile dell’Arabia Saudita, da dove un mese fa si è levata ancora una volta la protesta di alcune donne contro il divieto di guida, supportata anche da artisti come Hisham Fageeh, che ha realizzato un video rivisitando il testo di “No woman no cry” di Bob Marley.

Solo un esempio di un sistema ben più complesso di controllo delle donne, che vengono di fatto sottoposte a un regime di tutela da parte del parente uomo più prossimo (marito, padre o fratello) e che non possono disporre liberamente neppure del possesso dei propri documenti di identità. Serve il permesso del “garante” per viaggiare, sposarsi, frequentare le scuole e ricevere assistenza sanitaria. Nel 2015 le donne dovrebbero andare a votare per la prima volta. Nei casi di stupro la vittima rischia di essere accusata di adulterio e deve comunque produrre quattro testimoni uomini per poter denunciare la violenza.

19° posto: Siria
Con la guerra civile le donne sono diventate vittime del conflitto e non di rado si sono registrati casi in cui le violenze sono state impiegate deliberatamente per scoraggiare le proteste e fiaccare la resistenza. Almeno 4mila sono i casi di stupro e mutilazioni sessuali riportati dal Syrian Network for Human Rights, dei quali almeno 700 su detenute. Se l’età minima per il matrimonio è 17 anni, nei campi profughi sono stati riscontrati casi di nozze anche con bambine di 12 anni.

18° posto: Yemen
Uno dei traffici più redditizi nel paese è quello dei matrimoni con minorenni, spesso con turisti stranieri. Non esiste un’età minima per le nozze e si stima che almeno un quarto delle adolescenti si sposi prima dei quindici anni. Sul fronte dell’istruzione, solo il 53% delle ragazze completa le scuole primarie, contro il 73% dei ragazzi.

17° posto: Sudan
L’età minima per il matrimonio è di soli dieci anni, anche se il 32% delle donne fra i 20 e i 24 anni risultano essersi sposate dopo i 18 anni. Nel codice penale esiste ancora un articolo, il 152, che ammette l’arresto e la flagellazione per il modo di vestire. Sul fronte della partecipazione politica però il Sudan ha fatto notevoli progressi con le elezioni politiche del 2008, quando il 25% dei seggi dell’Assemblea Nazionale sono stati riservati alle donne.

16° posto: Libano
Il codice penale, nell’articolo 522, consente agli stupratori di evitare il processo se si impegnano a sposare la vittima. E le donne non possono trasferire la cittadinanza ai propri figli se avuti da partner straniero. L’aborto resta ancora oggi un reato punibile con 7 anni di carcere. Sul fronte politico, nel 2004 una donna ha conquistato un ministero per la prima volta, e da allora ce ne sono state altre tre. Anche se il paese ha sottoscritto la Cedaw, non ha mai dato parere positivo rispetto agli articoli su cittadinanza e uguaglianza fra uomo e donna nel matrimonio e nella vita familiare.

15° posto: Territori Palestinesi
Nei Territori soltanto il 17% delle donne lavora, ma il 92,6% ha comunque conseguito un titolo di studio. Per la prima volta nel 1996 le donne sono andate al voto per il Consiglio Palestinese. L’età minima stabilita per il matrimonio è di 15 anni in West Bank e 17 a Gaza. Il 51% delle donne sposate a Gaza è stata vittima di violenze domestiche.

14° posto: Somalia
In Somalia il ruolo politico delle donne è riconosciuto in Parlamento, dove la presenza femminile è del 14%. Per quanto riguarda il mondo del lavoro il 39% delle somale ha un impiego, fatta eccezione per le aree controllate dal gruppo islamista al Shabaab, dove vige il divieto di avere un impiego fuori dalle mura domestiche. La violenza contro le donne è ancora molto diffusa, e il numero più alto di casi s è verificato nei campi per rifugiati: solo nel 2012 ci sono stati mille e 700 casi accertati.

13° posto: Djibouti
Sono 7 le donne che siedono in Assemblea Nazionale, e che rappresentano l’11% dei membri. Il 2003 è stato il primo anno in cui una donna ha conquistato un seggio. Il 38% delle donne, circa 100mila, ha un impiego. La nota dolente di questo paese a metà classifica è l’altissima diffusione ancora oggi delle pratiche di mutilazione genitale.

12° posto: Barhain
Le donne hanno votato e acquisito il diritto di eleggibilità soltanto nel 2002, e sul fronte giudiziario la testimonianza di una donna ha lo stesso valore di quella di un uomo davanti alla Corte Islamica. Il 40% delle donne ha un impiego e rappresenta il 19% del totale della forza lavoro nel paese. Nell’ambito familiare l’età minima per il matrimonio è ancora di 15 anni, e il 30% delle donne sposate ha subito abusi dal coniuge.

11° posto: Mauritania
Il paese ha introdotto le quote rosa nelle liste elettorali, e la percentuale minima di candidate deve essere del 20%. La maternità è riconosciuta nel mondo del lavoro con 98 giorni di permesso retribuiti, e pure il controllo delle nascite: il 9% delle donne risulta assumere un contraccettivo. Ma il 69% delle donne mauritane continua a subire in tenera età mutilazioni genitali.

10° posto: Emirati Arabi
Solo nel 2008 alle donne è stato concesso di intraprendere gli studi in legge, e da allora solo in due sono diventate giudice. In un processo, la testimonianza della donna continua a valere la metà di quella di un uomo. Nei casi di violenza le vittime che denunciano devono raccogliere molti elementi di prova e rischiano comunque di essere accusate di adulterio, passando. E’ vietato sposare uomini non musulmani.

9° posto: Libia
Nelle elezioni del 2012 33 donne sono state elette in Consiglio Nazionale su 200 rappresentanti. Il paese ha un età minima di matrimonio piuttosto alta, 20 anni, la stessa per donne e uomini. Il 28% della forza lavoro totale del paese è composta da donne.

8° posto: Marocco
Il Marocco è piuttosto avanti sul fronte del controllo delle nascite, e il 67% delle donne fra i 15 e i 49 anni utilizza metodi anticoncezionali. Le violenze domestiche però continuano a verificarsi in numero elevato: si parla di 17mila casi accertati soltanto nei primi tre mesi dell’anno. Gli “incidenti” sono stati provocati dal partner per il 78,8% dei casi. Tra l’altro esiste un articolo del codice penale, il 496, che sancisce il reato di accoglienza di una donna che abbandona il tetto coniugale.

7° posto: Algeria
In Algeria le donne hanno il 31,6% dei seggi in Parlamento, e un’età media di matrimonio paragonabile a quella europea, di 29,5 anni. Il 14 ottobre 2012 il paese ha firmato la prima convenzione contro le molestie sessuali.

6° posto: Tunisia
Nel 2002 la Tunisia ha finalmente concesso alle donne che sposano cittadini stranieri di trasferire la cittadinanza a marito e figli. Dal 2009 le donne non musulmane godono degli stessi diritti del coniuge. Per quanto riguarda la maternità, si ha diritto a 30 giorni di assenza dal lavoro. L’aborto è concesso entro i primi tre mesi di gravidanza dall’articolo 214.

5° posto: Qatar
Il Qatar ha salutato la prima giudice tre anni fa, mentre in politica solo un posto su 29 nel Consiglio Centrale è occupato da una donna. L’età media di nozze è di 25,4 anni. Per guidare le donne hanno ancora bisogno del permesso del marito, ma il 51% della forza lavoro totale è al femminile.

4° posto: Giordania
Dal 2003 le donne possono richiedere il passaporto senza il permesso del marito o del parente (uomo) più prossimo, anche se la società giordana resta estremamente patriarcale: Ad esempio non è ancora possibile il trasferimento della cittadinanza ad un marito straniero e ai figli.

3° posto: Kuwait
Nel 2005 le donne hanno ottenuto il diritto di voto attivo e passivo, e oggi occupano almeno la metà dei 240mila posti ministeriali. Sulla violenza e le molestie sessuali però non esiste ancora una legge specifica, e lo stupro fra le mura domestiche non è riconosciuto né punibile.

2° posto: Oman
Il 29% delle donne adulte ha un lavoro, ma soltanto l’1,2% delle donne ha un posto in Parlamento. Il divorzio è ammesso ma se la richiesta arriva dall’uomo non servono motivazioni che la giustifichino, mentre per la donna è necessario passare attraverso un procedimento legale di otto fasi prima che la sua richiesta venga accolta.

1° posto: Repubblica Federale Islamica delle Comore
Nell’arcipelago il divorzio non solo è ammesso, ma tutela le donne che mantengono la casa ed eventuali proprietà terriere. I reati sessuali non solo sono riconosciuti ma anche puniti, e sono i numeri a parlare, visto che il 50% dei detenuti nelle carceri del paese sta scontando una pena legata a questo genere di reato. In politica ci sono due donne al vertice dei ministeri delle telecomunicazioni e del lavoro. Il 35% del totale degli occupati è donna.

Vai al rapporto completo: http://www.trust.org/spotlight/poll-womens-rights-in-the-arab-world/

Vai a www.resetdoc.org

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