Turchia, guerra e pace al confine sud: dal ritiro del Pkk all’attacco dalla Siria

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Nella settimana in cui una buona parte del paese ha guardato con speranza all’inizio del ritiro dei guerriglieri curdi del Pkk attraverso il confine iracheno, la Turchia si ritrova a vivere giorni di tensione a causa di un’esplosione di due autobombe nel villaggio di Reyhanli. L’esplosione è avvenuta nella regione dell’Hatay, propaggine araba che nel 1939 con referendum sceglie la Turchia, una mano tesa verso più di 150.000 profughi da ormai due anni, un teatro di guerra adesso.

I due eventi, sebbene privi di collegamento tra di loro, sono i fattori alla base di cambiamenti rapidi e radicali che coinvolgono i più di 1300 km del confine sud della Turchia. Per ottenere un quadro della situazione si può semplificare dividendo il confine sud in 3 parti: il confine curdo iracheno, il confine curdo siriano e l’Hatay, confine turco-siriano.

Il confine turco-iracheno
Le province di Sirnak e Hakkari hanno rappresentato negli ultimi anni il teatro degli scontri più violenti tra Pkk ed esercito turco. Il tutto favorito da un territorio montuoso, favorevole ai guerriglieri e difficile da controllare per l’esercito. Qui si trova il villaggio di Uludere, dove appena un anno e mezzo fa, 33 civili perdevano la vita perché scambiati per guerriglieri dall’esercito mentre camminavano in fila indiana su uno stretto sentiero di montagna. Qui hanno perso la vita soldati turchi, giovanissimi soldati di leva inclusi, qui hanno perso la vita i guerriglieri del Pkk immolatisi per la loro causa. Da più di una settimana il confine iracheno è lo scenario del rientro degli uomini del Pkk verso le montagne del Kandil in Iraq. Un rientro silenzioso, col kalashnikov in spalla, perché non si sa mai. E comunque più di una tregua, piuttosto una normalizzazione, perché siamo di fronte al primo passo di un processo che se dovesse andare a buon fine rappresenterebbe una svolta storica per la Turchia e per i curdi. Al momento non c’è guerra al confine iracheno.

Nella cartina: distribuzione delle aree curde in medio oriente (1986)

Il confine turco-siriano

Si tratta di circa 600 dei 900 chilometri che la Turchia condivide con la Siria. Una regione pianeggiante, in cui una sorta di normalizzazione avvenne nel 1968 con Assad padre, Hafez, che siglò un accordo con cui si impegnava a non offrire appoggio logistico al Pkk e a considerarlo un’organizzazione terroristica. Con l’inizio della guerra civile in Siria tutto è cambiato. Bashar al Assad ha lasciato carta bianca all’ala siriana del Pkk, il Pyd, nella amministrazione e gestione del territorio affinché non si unisse alla rivolta. Allo stesso tempo il leader siriano era consapevole che tale cambiamento avrebbe esteso le reti di relazione tra curdi,con conseguente beneficio per le operazioni del Pkk. La vendetta di Assad nei confronti della Turchia ha portato all’estensione del fronte di guerra e a un numero di morti così alto (700) che bisogna risalire al 1999 per ritrovare tanto sangue. Il processo di pace in cui è coinvolto il Pkk ha ovviamente avuto degli effetti anche su questo confine. Il Pyd si ritrova impegnato a gestire una autonomia inimmaginabile fino a soli 3 anni fa, è responsabile del controllo su un territorio dal quale eventuali turbolenze potrebbero avere ripercussioni sull’esito del processo di pace in cui sono coinvolti i cugini curdi-turchi. Un colpo di mortaio dell’esercito siriano ha varcato questo confine lo scorso Novembre uccidendo 5 persone. Questo attacco, definito da Damasco un errore, rimane ad oggi un fatto isolato.

L’Hatay
Un’isola turca in territorio siriano, l’Hatay condivide l’ovest con il mar mediterraneo, il corridoio nord con la Turchia, per il resto si incunea nella Siria araba condividendo il confine con la roccaforte Alauita a Sud. Da qui passa un flusso di profughi ininterrotto da ormai due anni, circa 200.000 dovrebbero essere quelli entrati dall’Hatay, qui ne sono rimasti circa 90.000, molti nei campi profughi, altri nei villaggi e città della regione. Un fattore di tensione rispetto all’incertezza che regna in Siria, un cambiamento radicale se si pensa che negli ultimi 28 anni questa era stata la parte di confine meno a rischio, un cambiamento radicale se si pensa che i 52 morti e più di 100 feriti di sabato scorso rappresentano l’evento più sanguinoso in Turchia dal 1968. 52 morti che si aggiungono agli 8 di Gaziantep lo scorso 20 Agosto, ai 14 di Cilvegözü di  Febbraio. La conferma che se c’è il rischio che un nuovo fronte di guerra si apra a sud della Turchia sarà in questa regione.

Le reazioni in Turchia

Il Primo Ministro Erdoğan e il Ministro degli Esteri Davutoğlu sono stati immediatamente oggetto di critiche durissime. A Davutoğlu si rimprovera il sostanziale fallimento della dottrina degli “zero problemi con i vicini”. È toccato a lui fornire la versione ufficiale dell’accaduto, ha indicato i colpevoli in una milizia di fede Alauita-Nusayrita. La stessa setta dello sciismo duodecimano cui appartiene la famiglia Assad. Secondo Davutoğlu questa stessa milizia sarebbe responsabile di una operazione di pulizia etnica a Banyas, che avrebbe portato all’uccisione di 800 sunniti. Un’operazione che sarebbe preparatoria rispetto alla fondazione di uno staterello Nusayrita (difeso dalla base navale russa di Tartus appena 35 km da Banyas)nel caso la Siria venisse divisa.

Erdoğan ha invece preso l’aereo per una visita alla Casa Bianca in programma da tempo. Il Primo Ministro prima di partire ha “ispirato”il divieto che la procura che indaga sull’attentato ha emesso nei confronti di filmati e reportage dal luogo dell’esplosione. Questo bavaglio all’informazione ha fatto esplodere la rabbia della gente dell’Hatay (e non solo) nei confronti del governo, insieme alla paura che il conflitto siriano possa espandersi nel paese. Un divieto con il quale piuttosto che “favorire le indagini in corso”si cerca di mettere freno ad una perdita di consenso che ha già colpito il primo Ministro, attualmente alla ricerca di voti per realizzare le tanto desiderate riforme costituzionali che gli permetterebbero di candidarsi nel 2014 alla carica di Presidente in un sistema di tipo francese.

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Immagine di copertina: Il campo rifugiati di Kilis, nell’Anatolia sud-orientale, lungo il confine tra Turchia e Siria

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