La Siria di padre Paolo Dall’Oglio
Il ricordo in un convegno a Roma

Da Reset-Dialogues on Civilizations

È il 29 luglio 2013 quando Padre Paolo Dall’Oglio scompare in Siria, a Raqqa, nel buco nero di un Paese devastato da una guerra che, oltre a morte e distruzione, ha aperto le porte ai fanatici integralisti dell’Isis. Oggi sono 22 mesi, e di lui ancora nessuna traccia.

Informazioni, non verificate e poi smentite lo hanno dato per morto prima per mano dei pro-Assad, poi dell’Isis. Il noto dissidente siriano Michel Kilo, esule in Francia, in un’intervista al Corriere aveva detto, invece, lo scorso settembre, che il gesuita sarebbe stato prigioniero a Raqqa, dove erano detenute anche le giovani Greta Ramelli e Vanessa Marzullo. A dicembre, un ex detenuto sempre di Raqqa aveva dato all’Ansa la stessa versione. Ad oggi nessuna indiscrezione ha mai avuto riscontri concreti.

Tra le speranze di ritrovarlo dei suoi cari e dei molti che lo hanno conosciuto qui in Italia o in Siria, nel monastero di Deir Mar Musa, nella comunità cattolico-siriaca da lui fondata negli anni ottanta nel deserto siriano a nord di Damasco, simbolo di ecumenismo e comunione – al limite del sincretismo – fra Islam e Cristianesimo, e di quelli che hanno imparato ad apprezzare la determinazione con la quale ha sostenuto il popolo siriano contro il regime di Assad (e per questo motivo si è guadagnato un decreto di espulsione nel giugno 2012; sul sito SiriaLibano l’addio di Padre Paolo alla sua Siria e in particolare alla terra dove ha vissuto per trent’anni ), ci sono anche le parole dei suoi familiari che già un anno fa si sono detti pronti a riabbracciarlo “o a piangerlo”.

A Roma, il 26 maggio, la Federazione Nazionale Stampa Italiana e l’associazione Articolo 21 hanno organizzato un incontro sul tema, non solo per ricordare la figura di “Abuna” Paolo, come lo chiamano molti siriani, ma anche per aprire una finestra sulla sua Siria, sugli altri sequestrati e su una guerra che è entrata ormai nel suo quarto anno. Tenere accesi i riflettori è il modo per rendere omaggio al gesuita che tanto si è speso per questa terra.

Numeri e mappe

Lo scorso aprile l’Osservatorio Siriano per i diritti umani ha calcolato in 306. 270 le vittime della guerra civile. A gennaio, le Nazioni Uniti avevano fornito un computo minore: 220mila morti. Monsignor Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, il 20 aprile ha parlato invece

di 20mila persone scomparse, tra laici e religiosi, vescovi e cittadini comuni, cristiani e musulmani, siriani e stranieri, compresi i giornalisti. Fra loro ci sono anche Padre Paolo e i due vescovi ortodossi di Aleppo, Yohanna Ibrahim e Bulos Yazigi, rapiti anche loro nel 2013. Mancava all’appello, però, Padre Jacques Mourad, anch’egli monaco di Mar Musa, prelevato dal monastero da un gruppo che non è stato ancora identificato, tra il 18 e il 21 maggio, mentre nella zona imperversava la battaglia fra Stato Islamico e governativi per la conquista di Palmira.

Ci sono poi altre cifre da non dimenticare, quelle dei profughi ricordati dal professor Antonie Courban, della Saint Joseph University di Beirut nel corso dell’incontro: oltre un milione e mezzo di persone solo nel Paese dei cedri. Secondo l’UNHCR, l’organizzazione dell’Onu per i rifugiati, però, sono 2 milioni e mezzo in tutto i siriani che hanno lasciato il Paese. Più di 6 milioni e mezzo gli sfollati interni. Circa due anni dopo la sua scomparsa è questa la situazione in territorio siriano.

Padre Paolo dall’Oglio è stato sequestrato a Raqqa, la zona che è quartiere generale del califfato già dall’estate del 2013.

Da allora a oggi, carta alla mano, il controllo di Daesh sul terreno si è espanso dal nord del confine con la Turchia al sud verso l’Iraq, disegnando una linea nera continua che traccia i confini attuali del califfato.

La Siria di Padre Paolo

Non è questa la Siria che aveva lasciato Padre Paolo. Due anni fa, in pochi parlavano dello Stato Islamico e il problema principale per l’Occidente sembrava essere il legame del Free Syrian Army con Jabhat al Nusra, considerata la filiale di al Qaeda in Siria. Oggi, la paura di Isis ha fatto passare in secondo piano il resto, comprese le atrocità del regime che hanno aperto la porta agli integralismi (Padre Paolo qui su Reset).

Palmira ne è un caso esemplare. Giusto e doveroso temere per il destino della “Sposa del Deserto”, patrimonio dell’umanità dell’Unesco, senza dimenticare due cose e cioè che il patrimonio artistico e culturale siriano, ben prima della furia dell’Isis, ha subito quella dei combattimenti con il regime di Assad (come testimoniato nella mostra della scorsa estate “Siria. Splendore e Dramma”), e che Palmira non è solo il luogo che racchiude le meravigliose vestigia del passato. Palmira, come ha ricordato Padre Larivera nel corso dell’incontro a Roma, è anche la prigione di Tadmur, carcere sotterraneo per gli oppositori di Assad (qui un report di Human Rights Watch datato 1996 in cui si raccontano delle torture e dei trattamenti riservati ai dissidenti), alcuni dei quali pare siano stati liberati da Isis in questi giorni.

Non è questa la Siria di Padre Paolo. Ma quella che racconta nei suoi scritti, nei libri e nel suo blog; è la Siria del dialogo che si incontrava a Mar Musa (così descritto in un breve documentario del Cosv). La Siria che si ritrova anche nella rubrica “La sete di Ismaele”, pubblicata sul mensile dei gesuiti “Popoli”, letto e scritto anche da laici: “Potrebbero nascere dei comitati di «amicizia per la Siria» in ogni città, dove il nome Siria diventerebbe il nome di un sogno che ci è caro e per il quale ci impegniamo, non solamente un sogno di democrazia e di giustizia per questo popolo fatto a pezzi, braccato e torturato, ma parimenti il nome di una coscienza civile rinnovata. Una coscienza capace di prendersi cura delle paure e dei terrori che hanno permesso a questo regime e alle derive estremiste che li giustificano di sopravvivere per quarant’anni”.

Vai a www.resetdoc.org

  1. Forse la cosa più interessante del convegno è stata la riflessione sul contributo offerto da padre Paolo a determinare una lettura “cristiana” dei fatti siriani e non solo siriani, come emerso in particolare dall’intervento del professor Antoine Courban, docente presso la Saint Joseph University di Beirut e venuto per l’occasione a Roma. Il suo discorso è stato pubblicato integralmente sul sito della FNSI.

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