Alla scoperta delle origini del pensiero jihadista e dell’ISIS

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Tutte le analisi sull’ISIS sottolineano giustamente le novità introdotte nel panorama jihadista da parte di questa organizzazione, dalla scelta della creazione di un Califfato con un proprio territorio alla comunicazione diversificata per target, all’impeto millenarista, ma poche ne hanno approfondito le radici. Se nel passato vicino, Al Zarkawi si può considerare uno dei “mentori” della formazione jihadista, nel pantheon dell’ISIS troviamo anche Bin Laden e soprattutto Abdallah ‘Azzam, il leader dei mujahidin arabi in Afghanistan, morto nel 1989. Tutti questi personaggi rappresentano però figure di combattenti più che di ideologi, sebbene abbiano tutti lasciato una produzione scritta con cui confrontarsi.

Le più profonde origini ideologiche dell’ISIS vanno cercate in Al Maqdisi, l’Alim, il “sapiente” di riferimento di Al Zarkawi, e prima ancora in Sayyd Qutb e nei suoi immediati epigoni, a cui si ispirarono sia Bin Laden che ‘Azzam. Tra i primi e più influenti seguaci radicali di Qutb troviamo Shukri Mustafa, fondatore di Al Takfir wal hijra, Anatema ed Emigrazione – il primo gruppo a richiamare all’abbandono delle proprie case e dei propri cari in favore di un hijra, una migrazione sulle orme del Profeta Mohamad, verso i territori della nuova comunità pia e credente – come Abdel-Salaam Faraj, autore di un libello fondamentale nella storia jihadista: Al Farida Al Gha’iba, il Dovere occultato, con riferimento al Jihad armato, per cui il jihad sarebbe il sesto pilastro dell’Islam, da aggiungere ai noti cinque, un concetto centrale nella retorica e propaganda dell’ISIS. (Il Jihad andrebbe ad aggiungersi a: shahadah, testimonianza di fede, salat, preghiera, zakat, elemosina rituale, sawm, digiuno di Ramadan, hajj, pellegrinaggio ai Luoghi sacri).

Abdel-Salam Faraj fu l’ideologo che concepì l’assassinio del presidente egiziano Anwar Sadat, dopo la firma degli accordi di Camp David e fu la guida spirituale dell’organizzazione Al Jihad – in cui militava l’attuale ideologo di Al Qa’eda, Ayman Al Zawahiri – influenzando profondamente anche il pensiero di al Jama’at al Islamiyya, Gruppi Islamici, organizzazione che si fuse con Al Jihad nel periodo dell’omicidio di Sadat e del colpo di stato che doveva accompagnarlo, per tornare a separarsi dopo il suo fallimento. Faraj, nel suo testo, andava a chiarire alcuni punti lasciati in sospeso da Sayyd Qutb, condannato a morte da Nasser dopo l’uscita del suo Ma’alim fil tariq, Segnali sulla strada: la società era certamente sprofondata nella jahiliyyah, la barbarie pre-islamica a cui alludeva Qutb, ma il nemico vicino aveva la precedenza su quello lontano, la priorità diventava l’edificazione del Califfato Islamico per l’applicazione dell’unica legge ammessa da Allah, la shari’ah letta e codificata secondo criteri formalisti e letterari, fino all’installazione della hakimiyya di Allah sulla terra tutta, intesa come l’esclusiva sovranità di Allah. Sotto l’influenza della predicazione di Abdel-Salam Faraj, i nuovi leader della al Jama’a al Islamiyya scrissero alcuni testi come Mithaq al ‘amal al islami, Patto del lavoro islamico, e lo sceicco del gruppo, l’imam cieco oggi detenuto negli Usa per il primo tentativo di attentati al World Trade Center, Omar AbdelRahman, scrisse Kalimat al Haqq, La Parola della Verità, un testo fondamentale nella letteratura jihadista.

In queste opere, scritte durante l’aspra detenzione dei leader islamisti, si trovano in nuce le argomentazioni principali dei gruppi jihadisti successivi e dell’autoproclamato “Stato Islamico”. Nelle pagine di Mithaq al ‘amal al islami ritroviamo i concetti base riproposti oggi dall’ISIS: “Il gruppo ritiene che nella società musulmana si trovino solo due partiti: il partito di Allah, la cui costituzione è prescritta, e il partito di Satana, la cui costituzione è vietata e che non c’è alcun legame tra democrazia e shura (la consultazione. Tra le righe si legge il biasimo verso i movimenti islamici che hanno scelto la via legalitaria e parlamentare, ed una netta condanna della democrazia). “La al Jama’a al Islamiyya è contraria alla democrazia perché essa conferisce all’uomo il diritto di legiferare, per principio, e la semplice esistenza di un potere legislativo umano, che permette di legiferare secondo la via parlamentare o altro che Allah non abbia ordinato, è jahiliyyah, giacché il diritto di legiferare non è concesso a nessuna creatura, ma diritto esclusivo di Allah” e “gli strumenti del cambiamento all’interno della società sono: la da’wa, l’ordinare il bene e proibire il male, ed il jihad sulla via di Allah”.

Le assonanze con la narrazione dell’ISIS sono tantissime e ritornano gli stessi concetti fondamentali. Scrive l’ISIS in un suo [tipico] documento di propaganda diffuso tramite il web: “Dopo aver ricordato il quinto pilastro dell’Islam, alcuni studiosi ritengono che ci sia un pilastro che merita di essere [considerato] il sesto dei pilastri dell’Islam, che è la jihad per la causa di Allah.” “Il Jihad è il culmine dell’Islam”. “Il Jihad ha prescritto di far terminare alla gente l’adorazione degli idoli e dei Taghut (oppressori), e farli smettere perché venga adorato solo Allah, senza alcun associato”. L’Assoluta centralità del jihad inteso come sforzo armato, la necessità di ripristinarlo contro il sovrano ingiusto, al taghut, colui che governa con leggi altre che quelle di Allah, è uno dei fili rossi che collegano i primi movimenti jihadisti in Egitto, passando per le “evoluzioni” successive come Al Qa’eda, fino all’attuale ISIS. Se ne possono trovare molti altri; se vogliamo comprendere appieno il fenomeno jihadista è necessario un ritorno allo studio dei primi pensatori islamisti.

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