La partita di Hezbollah tra Europa e Medio Oriente

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Il partito sciita libanese Hezbollah continua a dividere politici e opinione pubblica in Medio Oriente come in Europa. Il coinvolgimento del gruppo nel conflitto che infiamma la vicina Siria, con il suo controverso sostegno al regime di Bashar al Assad, rischia, secondo diversi osservatori, di inasprire le tensioni tra sciiti e sunniti all’interno del Libano, il cui precario equilibrio è già minacciato dalle dimissioni del premier Najib Mikati e dal disaccordo sulle prossime elezioni. A livello regionale l’immagine di Hezbollah è stata indebolita dall’approvazione a fine marzo di una proposta di legge del parlamento del Bahrein che definisce il movimento libanese come “organizzazione terroristica”. Si tratta del primo paese arabo a prendere una posizione così netta nei confronti del Partito di Dio e la decisione aggiunge un ulteriore capitolo a un lungo dibattito internazionale sulla necessità o meno di inserire Hezbollah nella lista nera dei gruppi sovversivi, che contrappone la fervente convinzione di Stati Uniti e Israele ai tentennamenti di un’Europa incerta sul da farsi e spaccata al suo interno.

Le tensioni tra Libano e Bahrein risalgono al 2011, quando l’eco delle primavere arabe riecheggiò nel paese del Golfo, attraversato dalla rivolta popolare dell’opposizione a maggioranza sciita contro la dinastia sunnita al potere. Di fronte alla repressione messa in atto dal re Hamad bin Isa Al Khalifa, Hezbollah si schierò a fianco dei manifestanti e da allora è stato accusato, in un crescendo sempre più aspro, di interferire con gli affari interni del Bahrein e di fomentare l’opposizione al governo. Diverse voci nel regno hanno accusato il partito libanese di essere dietro gli attentati che a novembre hanno causato due morti e un ferito nella capitale Manama. Sono anche gli altri paesi della Lega araba a non vedere di buon occhio le ingerenze di Hezbollah fuori dai confini del Libano, soprattutto perché dietro al gruppo sciita si allunga l’ombra dell’Iran, desideroso di sfruttare le debolezze della regione a proprio vantaggio.

Un ulteriore colpo all’immagine internazionale, già controversa, di Hezbollah è stato inferto da due vicende avvenute alle estremità dell’Europa. A fine marzo un tribunale di Cipro ha condannato a tre anni di carcere Hossam Taleb Yaccoub, un libanese con la doppia nazionalità svedese, ritenuto colpevole di appartenere al movimento sciita e di volere organizzare attacchi contro obiettivi israeliani sull’isola. Risale invece a febbraio la pubblicazione delle indagini sull’attentato che nel luglio precedente aveva causato la morte di cinque turisti israeliani e del loro autista bulgaro a Burgas, sul Mar Nero. Gli inquirenti bulgari hanno puntato il dito contro il partito di Dio, evidenziando le connessioni tra i due principali sospetti e l’ala militante del movimento. Le conclusioni delle indagini, durate sei mesi, hanno spinto il ministro dell’Interno tedesco, Hans-Peter Friedrich, a dichiararsi favorevole all’inclusione di Hezbollah nella lista europea delle organizzazioni terroristiche, riportando a galla la questione nel dibattito politico del vecchio continente. Già a settembre il ministro degli Esteri dei Paesi Bassi, Uri Rosenthal, aveva esortato l’Unione europea a bandire le attività del gruppo, trovando un riscontro più tiepido nel suo omologo britannico William Hague, che ha proposto di colpire esclusivamente l’ala militare dell’organizzazione.

Di parere opposto sono invece altri paesi europei, Francia in testa, che sostengono che una mossa del genere potrebbe incrinare il precario equilibrio politico del Libano, il cui governo è in parte controllato da Hezbollah, ed esacerbare le tensioni in Medio Oriente. Diversi paesi europei, inoltre, partecipano alla Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite (Unifil), creata nel 1978 per mantenere la pace e la sicurezza al confine con Israele e confermata con una nuova risoluzione in seguito al secondo conflitto israelo-libanese del 2006. Le truppe sono schierate nel sud del paese, roccaforte di Hezbollah, e il timore è che si trovino ad affrontare tensioni sul campo in risposta all’eventuale decisione europea di mettere al bando il gruppo. Il rischio di un arroccamento delle posizioni è esemplificato anche dal caso dei territori palestinesi, dove il processo di pace è diventato ancora più ristagnante in seguito all’inserimento di Hamas nella lista delle organizzazioni terroristiche da parte dell’Unione europea.

Anche sul fronte interno, poi, la posizione di Hezbollah è incrinata da qualche scricchiolio. Diventa infatti sempre più difficile per il partito giustificare il proprio coinvolgimento nel conflitto siriano, che contrasta apertamente con la politica di non intervento ufficialmente seguita da Beirut. Come è stato notato dal giornalista Michael Young sulle colonne del quotidiano libanese Daily Star, il sostegno al regime di Assad rischia di alimentare il malcontento interno e di mettere a repentaglio l’equilibrio confessionale in Libano, e anche di risucchiare lo stesso gruppo in una spirale di graduale distruzione. Combattere in un territorio sconosciuto contro una guerriglia sfaccettata e pronta a tutto potrebbe costare caro al partito di Dio, che potrebbe ritrovarsi in una situazione difficile sia in Siria sia in patria.

Hezbollah, infine, si deve preparare anche alla delicata fase delle elezioni presidenziali previste per giugno, ma che probabilmente saranno rinviate. Dopo le dimissioni del primo ministro Najib Mikati a fine marzo per il mancato accordo sulla legge elettorale, il Libano si trova ancora una volta in un limbo politico che minaccia instabilità e perturbazione. Gli sforzi del premier incaricato di formare il nuovo governo, il sunnita Tammam Salam, per ora sono caduti nel vuoto. Hezbollah ha però escluso la possibilità che la crisi politica possa far scivolare il paese in un nuovo conflitto armato, come ha pubblicamente annunciato il numero due del partito, Naim Qassem: “Non ci sono segni sul terreno o nell’arena politica che possano verificarsi disordini al livello della sicurezza, perché la stabilità è nell’interesse di tutti e l’instabilità va a danno di tutti”. Nonostante le dispute e le spaccature e i turbamenti che provoca nella diplomazia internazionale, Hezbollah continua a essere un giocatore di primo piano sullo scacchiere regionale e globale. Resta da vedere se le sue prossime mosse ulteriormente la sua immagine agli occhi delle potenze del mondo o cominceranno a risollevare le sue sorti.

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