Quel che resta di Schengen

Le aperture

Il Corriere della Sera: “L’allarme europeo sul debito italiano. Renzi: ‘Con me 50 milioni di cittadini’”.

Con il “retroscena” di Federico Fubini: “La missione di Padoan per chiudere le banche” e l’analisi di Danilo Taino (“La tentazione tedesca delle velocità separate”, sulle parole del ministro delle Finanze tedesco Schaeuble).

L’editoriale di Ernesto Galli Della Loggia è dedicato ai “dissidi istituzionali” con la Bce: “Se il leader rompe gli equilibri”.

Il titolo in maggiore evidenza: “Schengen in bilico per due anni”, “Sei Paesi: ‘Prorogare i controlli’. Dossier sul rischio attentati: cinquemila militanti Isis in Europa”, “La ministra austriaca: il trattato sta per saltare. Ma Alfano: per ora è salvo”.

E l’analisi di Franco venturini: “Una vera trappola (e un’ingiustizia) per noi e la Grecia”.

A centro pagina la foto dell’uomo che ieri ha terrorizzato la Stazione Termini a Roma con in braccio un fucile-giocattolo: “Col fucile finto tra i binari. Un’ora di paura a Roma”.

A fondo pagina: “Svolta del Papa, l’abbraccio ai protestanti”, “Francesco parteciperà alla cerimonia congiunta per celebrare i 500 anni della Riforma”. Di Gian Guido Vecchi.

Poi “la proposta al Cda” della Rai: “Freccero? Grillo torni alla Rai”.

Infine: “Sorpresa Pistoia per la cultura”, “La capitale del 2017”.

Sulla colonna a destra l’intervista a Barack Obama di Politico.com e l’analisi di Giuseppe Sarcina: “I capelli di Hillary, i pregi di Sanders. Quello che pensa (e dice) Obama”.

La Repubblica: “Schengen spacca l’Europa”, “Sei Paesi chiedono di reintrodurre per due anni i controlli alle frontiere. Renzi: ‘No ai muri’. Allarme di polizia e servizi: l’Is pronta a colpire. Rouhani e Mattarella: uniti contro il terrore”.

La foto ritrae una ragazza che si fa un selfie davanti all’opera dell’artista Banksy sui migranti, comparsa su un muro dell’ambasciata francese a Londra (per richiamare il caso Calais, ndr.).

In prima anche il reportage di Ettore Livini da Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia: “Idomeni, la porta della speranza”.

Più in basso: “Libia, una giungla nel deserto”, di Bernardo Valli.

Poi il richiamo a quanto accaduto ieri alla Stazione Termini a Roma: “’Un uomo armato sui binari a Termini’. Panico in stazione, ma aveva soltanto un fucile-giocattolo”.

Sulle unioni civili: “Unioni civili, lo stop di Bagnasco: ‘I figli non sono un diritto di tutti’”.

E “Il Punto” di Stefano Folli: “Il compromesso impossibile”.

A fondo pagina, Giuliano Foschini, inviato a Sibari, scrive degli arresti in Calabria: “Le arance della vergogna, ‘Io, schiavo da 1 euro l’ora’”.

Sulla colonna a destra, dall’inserto R2/La cultura: “I ragazzi immortali sull’isola di Pasqua”, “Il saggio di Zagrebelsky sul nostro rifiuto di diventare adulti”. Si tratta del libro “Senza adulti”, di Gustavo Zagrebelsky. Ne scrive Ezio Mauro.

La Stampa: “’Congelare Schengen per due anni’”, “I 6 Paesi che hanno già interrotto la libera circolazione vogliono prolungare i controlli. Europol: 5 mila terroristi pronti ad attaccarci”, “Per l’Italia l’incubo Balcani: se bloccano le frontiere arriveranno 400 mila profughi”.

“Ma non è la fine dell’Europa”, scrive in un editoriale Cesare Martinetti.

La foto a centro pagina è per il presidente iraniano Rohani, ritratto accanto ad un corazziere del Quirinale: “Affari e terrorismo, l’agenda Rohani”, “Il presidente iraniano a Roma: l’accordo sul nucleare un miracolo politico”.

E il commento di Mattia Feltri: “Se la politica dimentica le condanne in Iran”.

Poi il richiamo all’intervista all’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria: “De Mistura: ‘Medio Oriente, serve una nuova architettura’”.

Sulla colonna a destra, “La storia”: “C’era una volta l’ingorgo di Roncobilaccio”.

A fondo pagina, il “Buongiorno” di Massimo Gramellini: “Il canto del Grillo” (su Beppe Grillo e il suo “passo indietro” rispetto al M5S).

Il Fato: “Rouhani, 17 miliardi e niente diritti umani”, “Visita blindata. Nessuna domanda al presidente iraniano”, “Il capo della Repubblica islamicaarriva a Roma: vietato toccare temi scomodi, la priorità è siglare contratti per le grandi imprese italiane che brindano alla fine delle sanzioni internazionali”.

E sulla Nigeria: “Ora l’Eni rischia di perdere il maxi-pozzo”.

Sulla Libia e Misurata: “’Pronti a combattere l’Isis assieme all’Italia’”, “Misurata. Le milizie libiche stanno preparando la guerra”, “Mentre il Parlamento di Tobruk boccia il governo di unità nazionale. Il braccio armato di Tripoli assicura: ‘Attaccheremmo in ogni caso’. E gli Usa aumentano le truppe speciali in Medio Oriente”.

Sull’Ue e “le frontiere”: “Schengen in pezzi. Ad Amsterdam va in scena la crisi Ue”. Di Giampiero Gramaglia.

Il titolo che ha il maggior rilievo, a centro pagina: “Indagini sulle banche, il governo vuole prendersi pure la Finanza”, “Le nomine. Al posto dello sgradito Capolupo, in ballo Delle Femmine, Toschi e Carta”, “Il cambio previsto entro la primavera. Il nuovo numero uno gestirà di fatto le delicatissime inchieste sugli istituti di credito -tra cui Etruria- affidate proprio alla GdF. Delle Femmine e i rapporti con Ponzellini, sotto processo per la Popolare di Milano. Toschi -già comandante regionale in Toscana negli anni n cui Renzi era presidente della Provincia e poi sindaco di Firenze- fu intercettato con Adinofli & C. Anche Carta gradito al premier”.

Ancora sul caso banche e in particolare su Monte Paschi: “le vere mosse di Serra sono un bel mistero”, di Stefano Feltri.

Al caso di Banca Etruria è dedicato l’editoriale del direttore Marco Travaglio: “Sottoboschi”.

Sul credito: “Bruxelles avverte Roma: ‘Stabilità minacciata dalle sofferenze bancarie’”, “Il negoziato sulla bad bank si complica”.

Sulle unioni civili: “Bagnasco: ‘Giusto opporsi’. Il NYT accusa il Vaticano”, “Il presidente della Cei attacca il ddl Cirinnaà. Il giornale americano: ‘Matrimoni gay legali in quasi tutti i Paesi occidentali, Italia succube della Chiesa cattolica’”.

A fondo pagina: “Il treno dei desideri (omofobi)”, “Italo. Rivolta sul web per gli sconti comitiva per il Family Day, poi ritirati”.

Ue, Schengen

Su La Stampa, Marco Zatterin, corrispondente da Bruxelles e inviato ad Amsterdam per il vertice informale dei ministri degli Interni, scrive: “I sei Paesi che già hanno reintrodotto i controlli alle frontiere interne dell’Unione europea hanno chiesto alla Commissione di avviare la procedura per prolungare il termine a partire da maggio. Non sono soli, c’è consenso e altri potrebbero seguire. Così, se l’Ue non riuscirà a mettere presto sotto controllo i flussi migratori dei disperati in fuga dalle guerre, Austria, Germania, Danimarca, Francia, Svezia e Norvegia potranno sospendere la libera circolazione dei cittadini nello spazio un tempo senza frontiere sino a un massimo di due anni. Di fatto, si disegnerebbe una mappa mai vista. Non la temuta mini Schengen. Ma un’ancora più insidiosa mini NonSchengen. Non è andata bene. ‘Schengen è sull’orlo del tracollo’, ha confessato alla fine della prima giornata del vertice informale dei ministri degli Interni Ue, l’austriaca Johanna Mickl-Leitner. ‘Dico qeullo che pensano gli altri’, ha assicurato”.

Sulla stessa pagina l’analisi di Cesare Martinetti: “Un nucleo più forte per superare la crisi”. Dove si legge che la crisi dei migranti, “certo epocale, non gestibile con mezzi ordinari, non affrontabile con la macchinosità procedurale della tecnocrazia brussellese, ha portato drammaticamente alla luce gli errori di costruzione di uno dei pilastri dell’idea di Europa, l’abbattimento delle frontiere e la libera circolazione degli esseri umani. Quello che si chiama ‘Trattato di Schengen’ prevedeva la messa in comune degli strumenti di controllo dei confini e una presa in carico collettiva delle frontiere esterne della Ue. Questo è quello che non è accaduto. La retorica ha ignorato la realtà: l’Italia è stata lasciata sola con le sue Lampedusa; la Grecia è stata abbandonata con le sue isolette distanti poche miglia dal suolo turco, quel suolo che non si è mai voluto riconoscere come suolo europeo e forse anche per questo si è ribellato. Chiedere oggi ad Atene in termini ultimativi di controllare le proprie frontiere è irrealistico e forse anche un po’ vile. E’ comunque al di fuori di quello che dovrebbe essere lo spirito europeo”; ma questo “naufragio collettivo nel nome di Schengen, ne nasconde un altro, anche esso tutto europeo: l’incapacità di far fronte a una crisi umanitaria pur avendo le economie dei grandi Paesi -paradossalmente- necessità di forza lavoro anche in prospettiva di un deficit demografico”; l’apertura della Merkel al milione di siriani all’anno fatta sotto la pressione emotiva delle moltitudini di migranti di fine agosto oltre all’aspetto umanitario aveva anche un secondo fine più economico; al di là “dell’esito di questa sospensione di Schengen da parte di sei Paesi è meglio guardare con realismo”, “una Schengen più piccola, ma forte, è meglio che nessuna Schengen, a patto che ci si faccia carico anche delle frontiere esterne e con la prospettiva dichiarata di tornare al più presto all’intera Schengen”.

A pagina 3: “Per l’Italia l’incubo si chiama Balcani, ‘Se tutti chiudono, 400 mila in arrivo’”, “Ipotesi di hot spot anche nel Brennero. Si teme che il flusso si riversi nell’Adriatico”, scrive Francesco Grignetti.

Su La Repubblica, a pagina 2: “Schengen in pericolo: ‘Allungare di due anni i controlli alle frontiere’”, “Richiesta al summit dei ministri Ue. Atene sotto tiro. Alfano: patto per ora salvo. Austria: ma sta per saltare”.

E Alberto D’Argenio firma il retroscena: “L’ultima mediazione dei leader, quote automatiche e obbligatorie”, “Il cuore della trattativa ruota sullo smistamento dei migranti”, “Da Bruxelles ultimatum per Tsipras: entro tre mesi deve riprendere il controllo dei propri confini”.

A pagina 3 il reportage di Ettore Livini: “Quel varco tra Macedonia e Grecia, dove inizia la speranza dei profughi”. Livini scrive da Idomeni, “un imbuto a rischio chiusura, lungo la rotta balcanica”. Qui nel 2015 sono transitati quasi 800 mila migranti in viaggio verso il nord del continente, soprattutto Austria e Germania.

Sul Corriere, a pagina 2, a proposito del ministro delle Finanze tedesco: “Schauble rispolvera la ‘vecchia’ idea dell’Europa a due velocità”, “per il ministro non sarebbe necessario cambiare i trattati”, scrive Danilo Taino, che sottolinea come l’idea non sia nuova, ma ora viene vista come una necessità da riconoscere in modo esplicito. Schaeuble ne ha parlato in pubblico all’università di Monaco. Spiega Taino:“la crisi dei rifugiati, i rischi che corre l’area Schengen e le trattaive con david Cameron per evitare l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, hanno trasformato di fatto la doppia velocità da stato di fatto strisciante a qualcosa da formalizzare”; “Schaeuble ha sostenuto che le due o più velocità già esistono: tra chi usa l’euro e chi no, tra chi è in Schengen e chi non vi aderisce. Si tratta di prenderne atto. Ma in modo non automatico. C’è un problema di volontà politica (la sua ‘coalizione dei volenterosi’): soprattutto sulla gestione dei profughi, non è detto che tutti i Paesi accettino di dare asilo, e quindi è possibile che Schengen cambi forma”.

Sul Corriere un colloquio con Ian Bremmer di Giuliana Ferraino: “’L’unione potrebbe finire in pezzi. E per il futuro torna l’ipotesi Grexit’”, “Ma per il politologo americano le tre maggiori economie del pianeta, Usa, Cina e Giappone, sono toccate solo marginalmente dai pericoli che minacciano il Vecchio Continente”.

Banche-Ue

Sul Corriere a pagina 2: “Allarme Ue: Italia, troppo debito. L’ira di Renzi: non sono isolato”, ‘Nel breve termine la questione sofferenze’. Il premier: con me 50 milioni di italiani”.

E a pagina 3, attenzione per “il negoziato” sulle banche, in vista dell’incontro tra il nostro ministro dell’Economia e la commissaria Ue alla concorrenza Margartehe Vestager: “Il confronto Padoan-Vestager. E l’ipotesi di mini ‘bad bank’”. Ne scrive Federico Fubini.

Su La Stampa: “Pressing Ue sul debito dell’Italia. Bad bank, patto sulle sofferenze”, “Oggi Padoan a Bruxelles per definire l’accordo sulle garanzie che il tesoro dovrà offrire”, “La Commissione Europea: dal 2017 l’indebitamento del Paese sarà a rischio”.

Iran

E’ iniziata ieri la visita del presidente iraniano Rouhani in Italia. Il Corriere: “Renzi accoglie Rouhani. ‘Lavoreremo insieme a partire dalla Siria’”, “Ma il rabbino Di Segni protesta: mai ricevuto un negazionista”.

La pagina seguente dà conto dell’incontro con il presidente Mattarella: “Con Mattarella ‘dialogo esplorativo’ su tutte le aree di crisi”, “Tra i punti di intesa tra il Quirinale e il capo della Repubblica islamica, emerge la disponibilità ad appoggiare l’Italia all’Onu” (quale membro non permanente al Consiglio di Sicurezza). Ne scrive il quirinalista Marzio Breda.

Sulla stessa pagina, sul versante degli affari: “Italia primo interlocutore. E Teheran farà da ponte verso i mercati dell’Asia”. Di Marco Galluzzo.

Su La Repubblica: “Rouhani: insieme contro il terrorismo”, “Il presidente iraniano a Roma: ‘Ora lavoriamo a un accordo sulla Siria’”.

Sulla stessa pagina, intervista al ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi, che dice: “Teheran riparte e le nostre imprese daranno modernità”.

Su La Stampa: Renzi-Rohani, intesa sul terrorismo. ‘Ma sui diritti noi distanti dall’Iran’”, “Sul tavolo dell’incontro in campidoglio gli accordi commerciali e il tema sicurezza. Il presidente iraniano: per risolvere le crisi serve la politica, non soluzioni militari”.

Iran, Siria e Medio Oriente

Su La Stampa un’intervista all’inviato Onu per la Siria, Staffan de Misturra, che dice: “Teheran in campo per una nuova architettura del Medio Oriente”, “venerdì cominciano i negoziati. Oggi manderò gli inviti. Ma sarà dura”. Dice De Mistura: “Era impossibile una soluzione della crisi siriana senza includere Teheran nel dialogo. Ora gli iraniani ci sono”. Cosa vogliono gli iraniani? “Sono pronti a negoziare idealmente con Riad su una architettura regionale che comprende Yemen, Libano, Iraq e Siria”. Senza Assad? “Il suo ruolo verrà deciso dalle elezioni che dovremo organizzare con le Nazioni Unite, sarà il popolo siriano a decidere”.

Libia

Sul Corriere: “Libia, bocciato il governo di unità. La diplomazia si ferma, l’Isis avanza”, “Il Parlamento di Tobruk nega la fiducia: potere frazionato tra ‘troppi’ ministri”. Ne scrive Lorenzo Cremonesi, sottolineando che “manca l’accordo sul generale Haftar: guida l’esercito di Tobruk ma è avversato da Tripoli”.

Su La Stampa: “Libia, Tobruk boccia il governo di unità. Haftar preme per restare capo militare”. Di Guido Ruotolo.

Su La Repubblica: “No di Tobruk al governo, frenata sul piano Onu, voli-spia sulle basi dell’Is”, “Bocciata la lista dei ministri: ‘Troppo lunga’. Fronda dei fedelissimi di Haftar. Un Boeing E-( Usa da giorni in missione da Genova sul Paese nordafricano”. Ne scrive Vincenzo Nigro. Alla pagina 7 una lunga analisi di Bernardo Valli: “Una giungla di bande e tribù, serve un’alleanza con i libici per sconfiggere i jihadisti”, “Il vero errore fu non guidare la transizione del dopo Gheddafi”.

Su Il Fatto: “Misurata: ‘Attaccheremo l’isis a Sirte insieme a voi’”, “Fumata nera del Parlamento di Tobruk che boccia la fiducia al governo unitario. Le milizie vicine a Tripoli pronte alla guerra”. Nancy Porsia, da Misurata, scrive che Italia, Gran Bretagna, usa e Francia starebbero lavorando con tripoli su un piano di attacco contro l’Isis s Sirte che esula dalla riuscita del governo Serraj, ovvero fuori dalla cornice Onu. Lo sostiene il capo del Consiglio militare della città di Misurata, Ibrahim Beit Almal: “L’offensiva non ha tempi definiti, e comunque non è legata agli sviluppi del piano politico. Sferreremo l’attacco comunque, a prescindere che al governo ci sia Sarraj, Ghwweil o Thinni”.

Usa, primarie

Sul Corriere, a pagina 15, la riproduzione dell’intervista del presidente Obama a Glenn Trush di ‘Politico’: “’Hillary? Una sfidante formidabile. Faceva tutto come me, ma sui tacchi’”, “Il presidente racconta le sue primaria in Iowa. E parla della Clinton, di Sanders, di Trump”. Racconta Obama: “quando sono andato in Iowa, subito dopo la candidatura del 2007, ero sicuro di poter portare avanti una campagna di successo, ma non sapevo se ero davvero pronto per il debutto. Ricordo ancora il primo town hall, quando mi ritrovai all’improvviso davanti a 2mila persone. Qualcuno fece notare che le mie risposte erano troppo prolisse ed ero un oratore poco brillante, e all’inizio era effettivamente così. Ma se alla fine abbiamo vinto in Iowa è perché, nonostante i difetti del candidato, potevamo contare sul sostegno di uno straordinario team di giovani attivisti”. Su Bernie Sanders e l’idea che secondo alcuni sia il candidato che sa infondere speranza: “Non c’è dubbio che Bernie si sia ben calato in un filone della politica democratica che intende rompere con i termini del dibattito fissati da Ronald Reagan ormai trent’anni fa, e che non ha paura di sfidare i luoghi comuni e parlare senza peli di disuguaglianze e revisioni delle politiche progressiste. Tutto questo fa presa sulla gente, ed è facile intuirne le ragioni. Credo che Hillary Cliton incarni il riconoscimento del fatto che tradurre i valori in governance e tener fede alle promesse è , in definitiva, il vero compito della politica. Hillary è una persona idealista e progressista, con tante battaglie combattute alle spalle, e anche tante sconfitte subìte”.

Sulla stessa pagina l’analisi di Giuseppe Sarcina, da New York: “Ma in passato chi dominava nei sondaggi poi è stato battuto”. Trump e Hillary sono in testa nei sondaggi nazionali. Cruz e Sanders possono batterli nell’Iowa, dove il primo febbraio comincia la selezione dei candidati, o nella tappa successiva, il New Hampshire il 9 febbraio. Ma nessuno ha ancora vinto e nessuno è stato eliminati: neanche i candidati che al momento sembrano più indietro, come il senatore Marco Rubio, o già tagliati fuori come Jeb Bush. I sondaggi però sono mutevoli e i precedenti invitano alla prudenza: il presidente Obama ha ricordato come nel 2008 in Iowa non fosse premiato nelle intenzioni di voto. Lo staff di Hillary Cliton dovrebbe ricordarsi di quel 2008, ma anche andare indietro di 4 anni, quando Howard Dean si trovava nelle stesse condizioni di favore. Poi fu bruciato da John Kerry.

Su La Stampa: “Obama si schiera con Hillary, ‘Uno svantaggio essere la favorita’”, “A 6 giorni dal voto in Iowa, il leader Usa prende le distanze da Sanders, ‘Ha avuto il lusso di essere un outsider’. Mossa in funzione anti-Trump”. Ne scrive da New York Paolo Mastrolilli.

Su La Repubblica, alle pagine 28 e 29, l’analisi di Federico Rampini: “Chi ha paura dell’outsider”, “A una settimana dalle primarie cresce il timore degli intellettuali Usa per l’ascesa di Trump e Sanders: da destra e da sinistra li accusano di mettere in pericolo i valori dell’America. Così cercano di fermarne la corsa alla Casa Bianca”.

Poi le parole di Obama ieri in un’intervista a Politico: “Obama loda Hillary e avverte: ‘Attenti a tutti gli estremisti’”.

Francia

Su La Stampa: “Valls archivia il tabù delle 35 ore, ‘Toccarle non è una trasgressione’”, “Via alla riforma del lavoro che allungherà l’orario. La misura-simbolo di Jospin superata dai nuovi socialisti”. Di Cesare Martinetti.

Russia

Su La Repubblica: “Il Tesoro Usa su Putin: ‘E’ corrotto e ha favorito gli oligarchi russi”. Per la prima volta, proprio mentre Mosca comincia a sperare in un possibile allentamento delle sanzioni economiche, una fonte ufficiale del governo statunitense dice quello che molti pensano a Washington. L’accusatore -scrive Nicola Lombardozzi- è autorevole: si tratta do Adam Szubin, sottosegretario al tesoro. “Da molti anni -ha detto- osserviamo come Putin faccia arricchire amici e alleati”.

Su La Stampa: “Sottosegretario al Tesoro Usa accusa Putin di corruzione”.

Australia

Su La Stampa: “La tentazione dell’Australia di abbandonare la Regina”, “Sei premier su sette firmano un documento a sostegno della repubblica”. Ne scrive Stefano Stefanini.

Brasile

Su La Stampa un’analisi di Andrea Goldstein: “Così il Brasile in crisi può invertire la rotta”. “Economia in picchiata, inflazione e debito in forte aumento, conti pubblici fuori controllo, mercato del lavoro atomico: proprio nell’anno in cui le Olimpiadi di Rio dovevano suggellare la maturità del Brasile, Dilma Rousseff rischia di gettare alle ortiche gli enormi progressi conseguiti dai suoi predecessori Henrique Cardoso e Luiz Inacio Lula da Silva”, scrive Goldstein.

Turchia

Su Il Fatto un articolo di Nicola Tranfaglia: “Il paradosso democratico di Erdogan”, “La Turchia p ormai nel mirino dei terroristi, ma l’autoritarismo e l’ambiguità politica del presidente non aiutano”.

Il Giorno della Memoria

Su La Stampa: “Quei volenterosi spioni di Hitler”, “L’altra faccia degli ‘italiani brava gente’: quasi la metà degli ebrei rastrellati nel nostro Paese dovettero la loro sorte alla delazione, al tradimento, agli inganni di vicini di casa, colleghi e conoscenti”. Di Amedeo Osti Guerrazzi.

Multiculturalismo

Su Il Fatto un intervento di Roberta De Monticelli: “Multiculturalismo: serve la ‘dignità’”. De Monteicelli riprende il dibattito che si è aperto sul Corriere della Sera con gli interventi di Ernesto Galli Della Loggia e Carlo Rovelli. De Monticelli ricorda che Galli della Loggia aveva sostenuto che integrazione e multiculturalismo sono incompatibili, visto che integrarsi vuole dire, per un immigrato, assorbire il sistema di valori del Paese ospitante. E Rovelli gli aveva risposto “con una frizzante ventata di positivistico buonsenso, ‘Le legge (non i valori) regolino l’accoglienza’”.

“La laicità -scrive De Monticelli- è un valore, di livello etico, cioè universale: duneuq non è vero che le leggi non hanno a che fare coi valori, e qui Rovelli ha torto. Ma il valore della laicità, come quelli della dignità personale e della giustizia, è precisamente quello di rendere a ciascuno, e non a ‘noi’, la speranza che abbia un po’ di senso, un po’ di valore anche la sua vita (e non solo la nostra). E quindi sarebbe un controsenso etico predicare l’integrazione come fine del multiculturalismo. Qui Galli della Loggia ha torto. Non per questo tout va bien e qualunque ethos è accettabile, ma soltanto quelli che sono compatibili precisamente con la pari dignità degli altri, con il rispetto loro dovuto”.

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