Pd,Veltroni. Un Lingotto per Renzi.

 

“Non si comprano più case” è il titolo di apertura del Corriere della Sera, che cita il rapporto dell’Abi sulle transazioni per acquisto o vendita di immobili. “Mercato ai minimi dall’85”. E poi: “Inflazione all’1,1 per cento, debito pubblico su. L’ipotesi europea: via le monete da 1 e 2 centesimi”. “Pensioni, ritocchi alla riforma”. A centro pagina la foto dell’attrice Angelina Jolie, che ieri ha annunciato di aver scelto di farsi asportare i seni per evitare un probabile cancro. “L’attrice e la chirurgia preventiva. Cancro al seno, la scelta di Angelina”.

 

La Stampa: “Assalto alla Tav, governo in campo. Raid degli attivisti con le molotov nella notte. Vertice a Torino, la prima risposta: zona rossa larga e task force al ministero. Alfano: è un attacco allo Stato, ma noi reagiremo. Caselli: atto di guerra”. A centro pagina i dati sugli immobili e la “difficile scelta di Angelina”.

 

La Repubblica: “Sentenze, il piano Berlusconi. Scontro sulla giustizia. Escort, il Cavaliere tre ore dai pm. Il leader Pdl studia una mossa per evitare l’interdizione dai pubblici uffici. Brunetta attacca la Boldrini”. A centro pagina: “Tav, assalto in Val di Susa. Alfano: volevano uccidere”. In evidenza anche altre notizie sulla politica economica del governo: “Cambiano le pensioni, si potrà lasciare prima ma con una penale”.

Di spalla la Jolie, con un suo scritto (“La lezione di mia madre”) e uno di Umberto Veronesi.

 

Il Fatto quotidiano: “Bunga bunga, 30 milioni il prezzo del silenzio. La Boccassini deposita una memoria di 720 pagine con le prove che B remunera gran parte dei testimoni, soprattutto le ‘ragazze’ per indurli a mentire. Una fortuna in case, gioielli, bonifici e assegni. Il Caimano interrogato a Roma per le escort di Bari”.

 

L’Unità: “Insulti Pdl, deliri di Grillo. Giustizia, attacchi a Boldrini e Boccassini. Il leader M5S: o vinco o le barricate”. A centro pagina: “Perde casa, si dà fuoco con la famiglia. Dramma a Ragusa, per un debito di 10 mila euro pignorato l’alloggio”.

 

Il Giornale: “Lettere a una pm perdente. La persecuzione della Boccassini a Berlusconi, simbolo di quell’odio che penalizza il Paese”.

 

Libero dedica il titolo di apertura alla “Camera chiusa: La mutua gay della casta. Gli onorevoli estendono l’assistenza di cui godono anche ai conviventi dello stesso esso. In pratica legalizzano le coppie omo ma solo in Parlamento. Perché non fanno una legge che valga per tutti?”.

 

Il Sole 24 Ore si occupa delle ultime modifiche alla Camera del decreto sui debiti della Pa: “Debiti Pa, 3,5 miliardi ai Comuni. Ultime modifiche alla Camera per il provvedimento che sblocca i pagamenti, oggi il voto finale. Monitoraggio online ogni mese delle somme erogate”. A centro pagina: “Imu imprese: esenzione allo studio”. “Si punta a rivedere tutta la partita delle tasse immobiliari (44 miliardi)”. “L’annuncio di Saccomanni: ‘non solo interventi sulla prima casa’”.

 

Riforme

 

Il ministro delle Riforme Quagliariello, intervistato dal Corriere della Sera, spiega che più che una riforma della legge elettorale serve una “clausola di salvaguardia”, una “azione di manutenzione minima, allo scopo di avere un meccanismo diverso dal Porcellum qualora fosse necessario andare a votare”. L’attuale legge consente con un vantaggio minimo di ottenere “il doppio dei parlamentari del concorrente”. L’attuale sistema di voto è in odore di incostituzionalità, figlio di un tempo in cui le coalizioni arrivavano al 45 per cento, e quindi il premio era attorno al 10. Adesso non è più così, ecco perché occorre procedere a una correzione, in attesa che la riforma generale della Costituzione si decida qual è il modello migliore. La riforma elettorale è parte della rivisitazione della forma di governo.

La Repubblica spiega intanto che Palazzo Chigi vuole coinvolgere Stefano Rodotà nel processo di riforma costituzionale e reclutarlo nella commissione governativa di saggi che affiancherà il lavoro delle Commissioni affari costituzionali. Il ministro delle riforme Quagliariello è uno degli sponsor, secondo il quotidiano, di Rodotà, divenuto la bandiera dei 5 Stelle nella battaglia sul Quirinale. I due condividono il giudizio sulla Convenzione, così come era stata immaginata inizialmente, incostituzionale per la presenza paritaria di eletti ed esterni. Ma Rodotà, oltre a bocciare lo strumento, ha detto a più riprese che la Costituzione non andrebbe toccata, tanto più dalla maggioranza di larghe intese. Il Presidente del Consiglio Letta e il ministro Quagliariello intendono offrire il massimo di apertura per consentire a tutte le forze politiche di misurarsi con una riforma epocale, e già venerdì il CDM darà il via libera alla Commissione. Nel giro di 10 giorni si procederà alla composizione. La Commissione dovrebbe contare 20 membri, e il ministro dei rapporti con il Parlamento Franceschini ha chiesto ai gruppi parlamentari di fornire una rosa di nomi scelti tra costituzionalisti e giuristi.

Il ministro dei rapporti con il Parlamento Franceschini, in una intervista a La Repubblica, conferma che la definizione giusta per il governo è quella di un esecutivo di servizio e ribadisce che le vicende processuali “non devono interferire con quelle politiche”. Il Pdl vorrebbe che la riforma della giustizia rientrasse nei programmi, cosa dice Franceschini? “La Convenzione si occuperà dei capitoli dedicati alla forma di governo, alla riforma del bicameralismo, alla riforma dei partiti, alla riduzione del numero dei parlamentari. Le proposte sulla giustizia le valuteremo una per una, sapendo perfettamente che il rispetto della autonomia della magistratura e l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge non sono cose di destra o di sinistra, ma principi costituzionali che tutti devono rispettare. A partire da chi legifera”. Sulla riforma elettorale, Franceschini conferma: “La via di mezzo ragionevole è quella illustrata a Spineto: predisponiamo correzioni subito al Porcellum in modo che se dovesse fallire il percorso di riforme costituzionli, non si tornerebbe a votare con questa legge. E poi, una volta definita la forma di Stato e di governo, faremo la riforma elettorale coerente con questo assetto.

 

Berlusconi

 

Ieri intanto, a Roma, si è svolto l’interrogatorio conclusivo di Silvio Berlusconi a Roma, per tre ore, sul caso escort-Tarantini. Spiega il Corriere della Sera che di fronte ai magistrati romani che indagano sul denaro – oltre un milione e mezzo di euro sborsato all’uomo che gli procurava le donne per le feste, Berlusconi, convocato come parte lesa, nega che i 20 mila euro al mese versati tra il 2010 e il 2011 a Tarantino fossero il prezzo di un ricatto, così come il denaro utilizzato per ristrutturare la casa di Roma e pagare le vacanze: erano un regalo. Insomma, non ci fu alcuna estorsione, il reato contestato dai pm della capitale a Tarantini, alla moglie Nicla e al faccendiere Lavitola che fece da intermediario per la consegna delle somme. L’inchiesta, secondo il Corriere, si avvia verso l’archiviazione. Resta in piedi l’indagine parallela, avviata a Bari, dove Berlusconi è indagato con Lavitola per aver indotto Tarantini a mentire.

 

Secondo La Stampa, la versione di Berlusconi è che si trattò di aiutare un amico in difficoltà. E quanto a Lavitola “mai, neppure in forma velata, mi rivolse alcun genere di minacce”. “Sembra paradossale ma tant’è: a Roma Berlusconi è parte lesa”, scrive La Stampa, “mentre a Bari è indagato perché, in concorso con Lavitola, avrebbe convinto Tarantini, a suon di bigliettoni, a mentire ai magistrati per evitare rivelazioni compromettenti sulle serate allegre con Patrizia D’Addario e colleghe”.

 

Pd

 

Sulla prima pagina di Europa, quotidiano espressione del Partito Democratico, compare una foto di Sergio Chiamparino, sotto il titolo: “E’ Chiamparino il nome di Renzi per il partito?”. L’ex sindaco di Torino si è detto infatti ieri disponibile a “dare una mano al centrosinistra”, ma solo se si “creeranno le condizioni”, anche perché al momento “sto facendo un altro lavoro, per il quale ora non ho nemmeno la tessera del Pd”. Secondo Europa, Chiamparino pone un’altra condizione implicita: Renzi deve sciogliere la riserva, mettendo in chiaro di puntare personalmente solo sulla candidatura a premier e non al vertice del partito. Certo, scrive il quotidiano, sarebbe un candidato ideale per riunire il fronte liberal del Partito, mantendendo comunque una sorta di “vocazione maggioritaria” interna, vista la sua provenienza post-comunista. Veltroniani e prodiani erano già pronti a sostenerlo alla assemblea Pd di sabato scorso, ma l’idea è tramontata proprio per il mancato appoggio decisivo di Renzi, intenzionato a tirarsi fuori per il momento dalle beghe interne. Ed è sulla stessa prima pagina di Europa che si trova una anticipazione dal pamphlet di Veltroni, che esce oggi in libreria con la Rizzoli. “E se noi domani. L’Italia e la sinistra che vorrei” è il titolo del libro.

Scrive Veltroni, in riferimento alle ultime elezioni, che “quella del febbraio 2013, in termini quantitativi” è “la più grande sconfitta politica ed elettorale della storia della sinistra degli ultimi 50 anni. E lo è ancora di più per la grave responsabilità di non aver vinto le elezioni e dato al Paese un governo capace di dialogare con tutto il Parlamento e con tutta la comunità nazionale, un vero governo del Presidente, fuori da maggioranze politiche precostituite. Lo è ancora di più perché la destra era crollata sotto i colpi della sua incapacità di governare e della spregiudicatezza di Berlusconi. La porta era vuota, il pallone era sul dischetto”. Se ne occupa anche La Repubblica, spiegando che Veltroni imputa a questa sinistra di non aver avuto la forza e la lucidità di proporre un governo del Presidente guidato da Emma Bonino. Il quotidiano evidenzia anche come Veltroni rompa in questo libro un antico tabù della sinistra, smontando l’obiezione classica della sinistra al presidenzialismo, cioè il timore dell’uomo forte. Lo fa citando Piero Calamandrei: le dittature sorgono non dai governi che governano e che durano ma dalla impossibilità di governare dei governi democratici”. E’ arrivato quindi il momento di una “grande svolta”, dare più potere al governo, per esempio con un “sistema presidenziale e un meccanismo elettorale a doppio turno di collegio”. Il pamphlet veltroniano disegna, secondo La Repubblica, una sinistra “conservatrice”, che vede nella modernità “la farina del diavolo”, che pullula di “giovani politici di professione preoccupati solo della loro carriera e di posizionarsi in correnti e correntine che li proteggano, non importa più in nome di quali idee”. Una sinistra che ha perso “non perché è stata troppo di sinistra ma perché lo è stata troppo poco”, cadendo nella “trappola del Cavaliere”, che ha trasformato la battaglia politica in un perenne duello tra berlusconiani e antiberlusconiani. Da questa trappola bisogna uscire come hanno fatto i Democratici americani: invece di inseguire l’avversario sul suo terreno, alzare la bandiera con Obama. Seguendo il consiglio che George Lakoff diede agli stessi Democrat Usa: “Non pensare all’elefante”, ovvero non farsi ossessionare dai Repubblicani. Per quel che riguarda il destino del partito, Veltroni ammette che quando D’Alema, nel 1997, teorizzò la supremazia “dei partiti con la P maiuscola” sull’Ulivo, mentre lui sosteneva l’opposto, si sarebbe dovuto scegliere al partito di scegliere con chiarezza tra i due progetti. Invece l’ambiguità ha continuato a corrodere il partito, fino a che il cancro delle correnti lo ha divorato. E ora si ritrova “come una tartaruga chiusa nel suo guscio”, ad inseguire “il velociraptor Grillo”.

Nel passaggio dal libro ripresa da Europa Veltroni si sofferma anche sul ruolo delle primarie, che così descrive: “sono parte costitutiva di un partito davvero contendibile a tutti i suoi livelli”, “i nuovi parlamentari sono ottime persone, ed è un fatto positivo che ci siano tante donne e tanti giovani, ma è legittimo chiedersi se l’idea si sottoporre a primarie in quel modo i candidati in parlamento non abbia finito per trasformare quello strumento, nato per far avvicinare forze esterne al partito, in una conta più interna, con l’attivazione di cordate, ticket, accordi tra correnti”, “c’è un solo modo per fare delle primarie uno strumento reale ed efficace: non abusare nell’uso, mantenerle aperte come esperimento continuo di democrazia, non come macchina per procedure interne”.

Anche su L’Unità una pagina intera di anticipazione del libro di Walter Veltroni, sotto il titolo: “Fare come in Francia: la via semi-presidenziale”.

 

L’Unità intervista Sergio Chiamparino. Viene citato come possibile competitor per la segreteria al congresso d’autunno, corsa affollata già da ora, stando agli annunci, visto che si parla di Gianni Pittella, di Gianni Cuperlo, di Pippo Civati, di Goffredo Bettini e c’è chi dice- scrive L’Unità – che potrebbe provarci anche l’attuale segretario Epifani. Sono in molti a fare il suo nome, forse aspettano un suo segnale, chiede il cronista. E Chiamparino: “Posso garantirle che tutte queste persone che fanno il suo nome io non le ho sentite. Ho letto il mio nome sui giornali, ma in questo momento sono felicemente isolato”. Al momento, insomma, dice Chiamparino, “non ci ho pensato. Dovrei credere davvero al progetto politico, alla possibilità di realizzarlo”, “quello che posso dirle è che nel momento in cui dovessi decidere di schierarmi per sostenere qualcuno, o di scendere direttamente in campo, la prima cosa che farei sarebbe quella di dimettermi da presidente della Fondazione” Sanpaolo.

 

Restiamo a L’Unità per segnalare un intervento di Fabrizio Barca, che dice di condividere l’opinione di Alfredo Reichlin, secondo cui la ragion d’essere del Pd sta nella capacità di intepretare diritti e bisogni: “E, aggiungo io, soluzioni che la nostra società esprime e che vanno tradotte in azioni pubbliche realizzabili. La fiducia in questa capacità è scossa oggi in noi cittadini dalla percezione di impotenza delle ‘tradizionali sovranità democratiche’. La pressione dei mercati finanziari internazionali, la perdita di sovranità nazionale per via del processo di unificazione europea, l’insistenza pervicace sulla soluzione di affidare a privati la produzione di beni pubblici nonostante i suoi eclatanti fallimenti, ci convincono che le decisioni vere sono prese altrove. O il Pd si misura con questi problemi, insiste Reichlin, o non ha ragion d’essere. Concordo. Quella percezione di impotenza è forte in tutto il mondo”.

Segnaliamo peraltro, da passaggio del libro di Veltroni che L’Unità sintetizza, un riferimento proprio all’ex ministro Barca: “I partiti forti, quelli che piacciono al mio amico di sempre Fabrizio Barca, non esistono più. Non esistono in nessuna parte del mondo”, “ora i partiti sono espressione di leadership fuggevoli o più radicatamente di correnti bulimiche, di ruoli e potere, e non solo in Italia. I partiti, per rinascere, hanno bisogno di farsi aperti, tanto quanto la società che vogliono costruire. Solo così la politica tornerà a essere bella e si potrà ritrovare nei partiti, restituiti alla loro ragione storica ideale lo stesso entusiasmo con cui Fabrizio Barca ed io abbiamo trascorso insieme il tempo migliore della nostra gioventù”.

 

Il Foglio scrive che mai come oggi il destino del Pd è legato a quello di Renzi: se il sindaco scenderà in campo e deciderà di proseguire la sua scalata saltando in sella al Pd, il partito, come è evidente, imboccherà un percorso molto diverso da quello seguito da Bersani e più simile da quello seguito da Veltroni. In caso contrario, Renzi lascerà il passo a qualcun altro, incoraggerà nuovi leader a venire allo scoperto, seguirà il Pd da lontano e dimostrerà che tra il Pd e il Pdr, ovvero tra il Partito Democratico e il Popolo di Renzi, il sindaco preferisce restare alla guida del secondo. Il saggio di Veltroni in uscita è rivolto, secondo Il Foglio, a Renzi, ovvero a “quello che oggi sembra essere il possibile vero erede del Pd del Lingotto”.

 

Il Corriere della Sera intervista l’ex presidente della Provincia di Milano ed ex capo segretaria di Bersani, Filippo Penati, indagato per corruzione, concussione e finanziamento illecito dei partiti in merito al sistema Sesto e alla vendita della Serravalle. “La costituzione di parte civile dei Ds contro di me è un atto immotivato, gratuito e irragionevole”, che “risponde a logiche diverse da quelle legali”, in quanto non ci sono ragioni vere negli atti processuali. Dice ancora Penati: “Sbaglia chi oggi, ancor prima dell’inizio del processo, vuole mettere della distanza tra me e i Ds. La storia dei Ds è anche la storia di un pezzo della mia vita. Si sbaglia se si pensa che io sbatta la porta. L’eredità politica e morale di un partito è un patrimonio collettivo”. E ricorda che i suoi legali si sono già opposti alla prescrizione. Il processo -ricorda- potrà proseguire anche sui fatti di 13 anni fa.

 

Internazionale

 

La Stampa racconta la nuova tempesta che ha investito l’Amministrazione Obama e che ha il sapore del Watergate, perché coinvolge funzionari del governo che hanno messo sotto controllo telefoni privati, venti linee della AP, relative alle redazioni e giornalisti di New York, Washington, Harford in Connecticut, e al desk dentro la Sala stampa della Camera dei Rappresentanti. Si tratta di oltre un centinaio tra reporter, caporedattori e direzione: l’intera struttura centrale della maggiore agenzia di stampa americana tra aprile e maggio 2012 è stata intercettata e sorvegliata per appurare come aveva potuto rivelare il 7 maggio l’esistenza di un piano di Al Qaeda in Yemen di far esplodere un aereo negli Usa nella primavera di quell’anno. Ad ammettere le intercettazioni è lo stesso Dipartimento di giustizia. Alla Casa Bianca il portavoce del Presidente, Jay Carney, affronta una sorta di processo nella sala stampa, e dice: “Nessuno qui era a conoscenza della sorveglianza della AP, né il presidente né i suoi consiglieri politici”. Poi ha aggiunto: “Serve un equilibrio tra il rispetto della libertà di stampa e la necessità di perseguire le fughe di notizie che ledono la sicurezza nazionale”. Il Foglio scrive che quando fa comodo, la Casa Bianca favorisce la fuga di notizie. Ci sono giornalisti del NYT che ormai sono specializzati e campano con gli scoop fatti grazie a “fonti anonime” interne all’Amministrazione Obama, e questi scoop curiosamente non scatenano persecuzioni giudiziarie e richieste di tabulati telefonici da parte del Dipartimento di giustizia. Il quotidiano cita due esempi: il 25 febbraio sul New York Times un articolo di Chivers e Schmitt spiega che dietro il gran traffico d’armi in corso tra Croazia, Arabia Saudita, Turchia, Giordania e Qatar a favore della opposizione siriana, ci sono gli Usa. In questo caso si trattava di provare che l’Amministrazione Obama era attivamente schierata a fianco della opposizione senza prendere esplicitamente posizione. Altrettanto è accaduto il 1 giugno 2012, sempre sul NYT, con uno scoop di David Sanger, relativo al sabotaggio del programma atomico iraniano fatto con il virus elettronico Stuxnet, senza assumersene la paternità, con citazioni del presidente Obama e del vicepresidente Biden.

 

Su tutti i quotidiani anche le notizie relative al clima da guerra fredda che si è instaurato ieri, con l’arresto a Mosca del terzo consigliere dell’ambasciata Usa: si tratta di un agente della Cia che è stato arrestato l’altra notte in un parco di Mosca mentre cercava di reclutare un collega del FSB, erede del famigerato KGB sovietico, con il ragguardevole salario di 1 milione di dollari l’anno. Le immagini dell’arresto lo vedono atterrato e immobilizzato, con tanto di parrucca bionda in testa.

 

L’Unità scrive che la Libia sprofonda sempre di più nell’insicurezza e che questo scenario ha indotto gli Usa a trasferire 500 marines da una base nel sud della Spagna a Sigonella, in Sicilia, dove sarebbero pronti ad intervenire in caso di necessità. La notizia è stata data dal Pentagono lunedì sera, dopo l’esplosione a Bengasi, che aveva fatto pensare ad un nuovo sanguinoso attentato. Ora il governo libico sostiene che potrebbe essersi trattato di un incidente. A saltare l’aria sarebbe stata l’auto di un pescatore, con a bordo esplosivi, e i morti sarebbero stati solo tre, e non una quindicina, come inizialmente ipotizzato. Va ricordato che da gennaio 50 marines proteggono l’ambasciata americana a Tripoli, dopo la morte dell’Ambasciatore Stevens al consolato di Bengasi l’11 settembre scorso. Umberto De Giovannangeli dedica una lunga analisi alla trasformazione della Libia in principale base della organizzazione terroristica Al Qaeda nella regione, citando anche l’opinione di un alto funzionario della intelligence libica, espressa al Daily Beast. La Libia del resto è in preda al caos: Cirenaica e Fezzan sono da tempo fuori controllo, e anche la Tripolitania è in mano a milizie tribali che per settimane hanno assediato il parlamento e i più importanti ministeri. La vicenda, si ricorda, era collegata alla approvazione della legge che sancisce l’esclusione dalla vita politica di dirigenti che abbiano avuto ruoli di responsabilità nel regime di Gheddafi.

 

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