Oggi l’incarico per il nuovo governo

 

Il Corriere della Sera: “Governo, Bersani ci prova. Napolitano darà l’incarico con la condizione di numeri certi”. “Piano per un ‘esecutivo di cambiamento’. No di Grillo. Berlusconi chiede una intesa con il Pd”. In alto: “I marò ritornano in India. Palazzo Chigi corregge Terzi”.

 

La Repubblica: “Governo, oggi incarico a Bersani. La scelta di Napolitano. Il leader Pd: mai con il Pdl, non ho un piano B. Grillo chiude tutte le porte, Berlusconi insiste: larghe intese. Bufera sui 5 Stelle che ironizzano sul Presidente: l’abbiamo tenuto sveglio”. A centro pagina: “Dietrofront sui marò, tornano in India. Terzi: ‘Esclusa la pena di morte’”.

 

La Stampa: “Governo, il tentativo di Bersani. Il leader del Pd verso l’incarico, ma dovrà dimostrare di avere i numeri. ‘Siamo il primo partito, voglio dare una mano’. Il Pdl apre uno spiraglio”. “Napolitano decide oggi. Grillo: sosteniamo solo uno dei nostri. Grasso: ‘Io premier? Pronto a tutto’. Poi ritratta”.

 

Il Fatto quotidiano: “Cerco i voti in Parlamento’ Incarico esplorativo a Bersani. ‘Ho bisogno di riflettere’, dice il capo dello Stato alla fine delle consultazioni., Ma oggi potrebbe dare un via libera condizionato al leader Pd che parla di ‘governo di svolta, ma non uno qualsiasi’. Disgelo tra Grillo e il Presidente. Però M5S non cambia idea: esecutivo a 5 Stelle, nessun sostegno ad altri. B. vuole l’inciucio con i democratici”. A centro pagina: “Figuraccia marò, tornano in India”.

In prima pagina sullo stesso quotidiano un richiamo a quanto accaduto ieri nel corso della trasmissione di Michele Santoro Servizio Pubblico: il neopresidente del Senato Grasso è intervenuto telefonicamente, dopo un lungo intervento di Marco Travaglio, che lo aveva duramente attaccato. Grasso ha accusato il giornalista di averlo infamato nella ricostruzione della sua nomina a Procuratore nazionale Antimafia e lo ha invitato ad un confronto tv.

 

Il Foglio: “Napolitano ascolta tutti, ma al testardo Bersani chiede numeri sufficienti. Dopo i lazzi pretenziosi di Grillo il capo dello stato offre Palazzo Chigi solo a chi abbia una alleanza in tasca”. “Oggi un incarico al Pd”, scrive il quotidiano.

 

Libero: “Grasso che cola. Bersani si prende l’ennesima sportellata da Grillo. Napolitano medita di dare l’incarico al presidente del Senato, che avrebbe l’ok del Pdl. Ma sul nome dell’ex magistrato si spacca il Pd”. A centro pagina: “Monti, figuraccia mondiale: rispedisce in Inda i marò”.

 

Il Giornale: “Traditori dell’Italia. Monti rinnega la parola data e restituisce i nostri marò all’India. Il mondo ride di noi, il Paese è umiliato. Bersani, per salvare se stesso, impedisce la nascita di un governo forte. Così perdiamo sovranità e faccia”. In prima pagina anche: “Berlusconi detta le sue condizioni: Bersani nel panico”.

 

Il Sole 24 Ore: “Debiti Pa con le imprese: sul tavolo 40 miliardi. Squinzi: primo passo, ora misure attuative in tempi rapidi. Il governo: saranno allentati i vincoli del Patto di stabilità. I pagamenti dopo il sì del Parlamento”. Di spalla: “Il Colle verso l’incarico a Bersani con ‘paletti’. Berlusconi: larghe intese”.

 

Napolitano, Bersani

 

Marzio Breda, il “quirinalista” del Corriere della Sera, spiega che il mandato a Bersani “non sarà pieno”. “Qualcuno azzardava che potrà essere ‘esplorativo’, così che Bersani in persona verificasse se è in grado di ottenere i numeri dei quali ha bisogno: ma gli ‘esploratori’ sono di solito figure terze, quasi sempre alte cariche dello Stato, e tale scelta non si applioca mai a chi deve poi mettere in piedi il governo. Sarà quindi, comunque il Quirinale decida di qualificarlo (e la definizione risulterà dagli stessi contenuti con cui il Presidente lo configurerà) una mandato ‘condizionato’ e in un passaggio come il nostro la condizione regina è ovviamente che ci sia una maggioranza per la fiducia”. Secondo il quotidiano dai colloqui di questi giorni si ricava un primo “dato sensibile”, e cioé che “esiste una larga maggioranza che, nonostante le minacce incrociate dei giorni scorsi, non vuole tornare al voto”. Ma c’è anche stata la conferma del no del Movimento 5 Stelle a qualsiasi ipotesi di governo con i vecchi partiti. Bersani avrà due o tre giorni per dimostrare “carte alla mano di essersi guadagnato l’autosufficienza. L’ultima mossa sarà del Capo dello Stato” che “c’è da giurare che un impensabile deus ex machina per un suo governo lui lo scoverà”.

 

Parlamento, Governo

 

Ieri sono stati eletti i vicepresidenti, i questori e i segretari di Camera e Senato. Il Pd ha deciso di votare anche per il candidato del Movimento 5 Stelle alla vicepresidenza della Camera e per il candidato questore grillino al Senato. Il neovicepresidente Di Majo, del Movimento 5 Stelle, 26 anni, viene intervistato da La Stampa.

Ieri il Consiglio dei ministri ha illustrato come intende sbloccare circa 20 miliardi dei crediti della Pubblica amministrazione alle imprese entro il 2013, e ulteriori 20 miliardi entro il 2014. Il Sole 24 Ore torna a ricordare che è necessario dapprima che il Parlamento approvi la relazione licenziata ieri dal Consiglio dei Ministri, in cui si riporta la modifica dei saldi in cui si aggiornano i dati della finanza pubblica. E’ la premessa indispensabile per la fase due, ovvero l’emanazione del Decreto legge che determinerà le modalità di pagamento.

La Stampa spiega che dopo il lungo iter in sede europea che ha permesso di allentare i vincoli di bilancio per avviare i pagamenti, la soluzione illustrata dal ministro dell’Economia Grilli prevede che ci sarà un peggioramento del deficit: arriverà quest’anno al 2,9 del Pil, vicino al tetto europeo del 3 per cento. Il placet della Ue consente di non incorrere nelle procedure di disavanzo eccessivo e l’iniezione di liquidità alle imprese dovrebbe aiutare la crescita (+1m,3 per cento nel 2004). Quanto alla seconda fase – emanazione del decreto e conversione in Parlamento – il quotidiano sottolinea le difficoltà del passaggio, anche perché non è chiaro se a occuparsene sarà l’esecutivo in carica o il prossimo, che si ritroverebbe una pesante eredità in termini macroeconomici. Si tratterebbe di restituire alle imprese 0,5 punti di Pil dovuti con un passaggio del deficit dal 2,4 al 2,9. Per evitare l’impasse i presidenti di Camera e Senato Boldrini e Grasso hanno dato la loro disponibilità ad istituire una Commissione speciale che esamini il decreto per lo sblocco del Patto di stabilità che riguarda Comuni ed Enti Locali. Sarà tale allentamento a consentire di svincolare parte di quei 40 miliardi per iniziare a pagare (l’ammontare dei debiti è più alto, poiché supera i 70 miliardi).

 

Marò

 

Torneranno in India, alla scadenza del loro permesso in occasione del voto, i due fucilieri della Marina Salvatore Girone e Massimiliano La Torre. La Stampa lo definisce “un colpo di scena”, dopo che solo 11 giorni fa il governo aveva annunciato che i due marò non avrebbero fatto ritorno in India. La Repubblica attribuisce all’intervento diretto di Giorgio Napolitano la marcia indietro: significa esautoramento di fatto dei ministri degli esteri e della difesa, ma un ruolo lo ha avuto anche il ritorno in campo del sottosegretario agli esteri De Mistura. Quest’ultimo è tornato per l’ennesima volta in Inda per continuare il negoziato con il governo di Delhi, ma anche per seguire da vicino i due marò, che pare siano in condizioni devastate dopo l’annuncio fatto loro ieri dal Ministro della Difesa. Ieri sera a Palazzo Chigi il sottosegretario ha letto un comunicato in cui si scrive tra l’altro: “Alla luce delle ampie assicurazioni ricevute, il governo ha ritenuto l’opportunità, anche nell’interesse dei fucilieri, di mantenere l’impegno preso del ritorno in Inda entro il 22 marzo”. E ha spiegato, come ricorda il Corriere della Sera: “La parola data da un italiano è sacra Noi eravamo pronti a rispettarla, ma avevamo chiesto delle garanzie. In principio che non fosse mai contemplata da loro la pena di morte. Ora abbiamo ricevuto le garanzie, e sulla base di queste manterremo la nostra parola”. Lo stesso quotidiano sottolinea che la spiegazione di De Mistura non sembra coincidere con la netta presa di posizione del suo “superiore”, il Ministro degli Esteri Giulio Terzi, che l’11 marzo scorso affermò: “Stante la formale instaurazione di una controversia internazionale tra i due Stati”, alla scadenza del permesso i marò non avrebbero fatto ritorno in India “perché la giurisdizione è italiana”. La Repubblica intervista lo stesso ministro Terzi, che spiega: “La situazione si sta normalizzando, e non stiamo mandando i nostri militari allo sbaraglio, incontro ad un destino ignoto. Non rischiano la pena di morte”. Valeva la pena alzare i toni e arrivare ad uno strappo diplomatico così pesante se poi siamo stati costretti a rimandarli indietro? Terzi: “Credo proprio di sì. Senza lo strappo non avremmo potuto contrattare con il governo le condizioni attuali, che prevedono per loro condizioni di vivibilità quotidiana nel Paese, e la garanzia che non verrà applicata la pena massima prevista per il delitto di cui sono accusati”.

Tanto La Repubblica che La Stampa portano l’attenzione sulla decisione del non rientro che Terzi avrebbe preso nel momento in cui il Presidente del Consiglio Monti era impegnato nel vertice europeo a Bruxelles. La Repubblica sottolinea come Napolitano non condividesse questa decisione, e riferisce alcune fonti del Quirinale, che così definiscono il caso: “Una iniziativa partita dal basso, proposta dai ministri, fatta passare presentando parametri falsi e scorretti al Capo dello Stato, che non ha poteri di governo ma è il Capo supremo delle forze armate”.

Anche sul Corriere un retroscena secondo cui Terzi “finisce ‘processato’” per “gravi carenze informative”: le accuse sarebbero emerse durante la riunione del comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica. E il quotidiano riferisce della “fortissima irritazione” del Presidente del Consiglio, in qualche modo sovrapponibile a quella dello stesso Napolitano, perché nessuno dei due sarebbe stato debitamente informato sulla vicenda. Da Palazzo Chigi si raccolgono voci: “per usare un eufemismo, vi sono state gravi carenze informative, una accelerazione informativa da parte della Farnesina, si dava per scontato che l’India non avrebbe escluso la pena di morte, cosa che è invece è poi avvenuta”.

Tornando all’intervista a Terzi, il ministro esclude le proprie dimissioni: “Non ne vedo il motivo. In questi mesi abbiamo lavorato con impegno, cercando sponde diplomatiche e giuridiche per risolvere la situazione. Dimettermi? Io faccio parte di un governo dimissionario”.

 

Bce, Cipro

 

Il Sole 24 Ore parla di un “ultimatum” della Banca centrale europea e spiega che questa ha impresso ieri una forte accelerazione alla soluzione della crisi di Cipro, annunciando la sospensione della fornitura di liquidità di emergenza alle banche cipriote a partire da lunedì, se nel frattempo non sarà intervenuto un accordo del governo di Cipro con la Ue e il Fondo Monetario Internazionale. Da mesi gli istituti dell’isola, soprattutto due delle banche più grandi (Bank of Cyprus e Laiki) dipendono per la propria sopravvivenza dalla liquidità Bce attraverso l’Emergency liquidity assistance. L’annuncio della Bce, scrive Il Sole, ha rimesso in moto il processo che ha portato ieri la Banca centrale di Nicosia a proporre un piano di ristrutturazione bancaria che dovrebbe comprendere la divisione in due della Laiki, in una “banca buona” da fondere nella Bank of Cyprus, e in una “cattiva” da liquidare. Un altro articolo del quotidiano spiega come per l’appunto Cipro si avvii a ristrutturare il sistema bancario mettendo in una bad bank gli asset a rischio del secondo gruppo finanziario del Paese. L’esecutivo del presidente Anastasiades sta lavorando ad un meccanismo che preveda anche la nascita di un fondo di solidarietà tale da raccogliere le principali attività del Paese: riserve di gas, fondi pensione nazionalizzati, riserve auree e proprietà della chiesa: obiettivo è raccogliere denaro sui mercati per poi finanziare la ristrutturazione delle banche sull’orlo del collasso. Il nuovo piano garantisce i depositi sotto i 100 mila euro e relega nella bad bank quelli al di sopra di tale soglia (che comprendono molti stranieri, russi, ucraini e greci).

Altri tre articoli del quotidiano sono dedicati alla Russia, ai negoziati paralleli sul salvataggio di Cipro che Mosca sta portando avanti e che irritano gli europei (il ministro delle Finanze cipriota Sarris si è recato in Russia in questi giorni), ma anche al “posto al sole” che gli oligarchi nelle grazie del Cremlino si sono ritagliati nell’isola, tra holding e conti bancari.

Obama

 

Ieri il presidente statunitense è stato accolto a Ramallah, e come racconta La Stampa dalle cornamuse della guardia d’onore palestinese. Al presidente dell’Anp ha proposto una “ripresa immediata dei negoziati diretti con Israele, senza condizioni”. Per il quotidiano si tratta di una “svolta” rispetto a quanto sostenuto negli ultimi 4 anni: il riferimento è alla questione degli insediamenti, e ciò significa che gli Usa non condividono la richiesta di Abu Mazen ad Israele di interromperne la costruzione per riprendere la trattativa, interrotta nel 2010. Ciò che conta – ha detto Obama – è che Israele sia d’accordo sulla nascita dello Stato di Palestina e che i palestinesi siano d’accordo sulla necessità di Israele di vivere in sicurezza”. Per la leadership palestinese, scrive il quotidiano, “è una doccia fredda” perché la richiesta di fermare le costruzioni in Cisgiordania e Gerusalemme est è maturata sulla scia di analoghe dichiarazioni Us. Uno dei consiglierei statunitensi che accompagna Obama spiega: “le parti devono tornare a vedersi per discutere di tutte le questioni di fondo senza precondizioni”, dice, riferendosi a sicurezza, confini, status di Gerusalemme e rifugiati. Ciò non toglie che Washington rimanga contraria agli insediamenti: “sono controproducenti ai fini della pace”, ha sottolineato Obama, riferendosi in particolare a quelli del settore “E1” di Gerusalemme.

Nella stessa giornata di ieri, il Presidente Usa ha parlato agli studenti riuniti nel Jerusalem Convention Center: La Repubblica riproduce integralmente il suo intervento. Ne citiamo alcuni brani: “So che per i giovani israeliani i problemi di sicurezza affondano le loro radici più nell’esperienza che nella pressante minaccia con cui convivono. Molti dei vostri vicini rifiutano il vostro diritto ad esistere. E’ per questo che la sicurezza del popolo ebraico in Israele è così importante. Perché non può mai esser data per scontata”. Ancora: “la pace è necessaria. Anzi, rappresenta l’unica via verso una vera sicurezza. Visto l’andamento demografico a ovest del Giordano, l’unico modo in cui Israele può resistere come Stato democratico è la realizzazione di una Palestina indipendente e attuabile”. “La pace è giusta”, ha detto ancora Obama. E non c’è dubbio che Israele “abbia cercato il dialogo con fazioni palestinesi che hanno scelto la via del terrore”. Per questo “la sicurezza deve essere al centro di qualsiasi accordo”. Tuttavia, “anche il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e alla giustizia deve essere riconosciuto. Mettetevi nei loro panni, guardate il mondo con i loro occhi. Non è giusto che una bambina palestinese non possa crescere in un proprio stato, e debba convivere con un esercito straniero che ogni giorno controlla i movimenti dei suoi genitori. Non è giusto che la violenza dei coloni contro i palestinesi rimanga impunita. Non è giusto impedire ai palestinesi di coltivare le proprie terre; limitare le possibilità di uno studente a spostarsi all’interno della Cisgiordania, o allontanare le famiglie palestinesi dalle loro case. La risposta non sta nell’occupazione, né nella espulsione”.

L’Unità spiega che la maggior parte dei passaggi del discorso di Obama sulla necessità di pace e sul diritto dei palestinesi ad avere uno Stato sono state accolte da applausi da parte degli studenti israeliani: con l’eccezione delle affermazioni relative agli insediamenti, che hanno suscitato fischi e disapprovazione nella platea. Obama aveva detto che gli israeliani devono riconoscere “che la continua attività di colonizzazione è controproducente alla causa della pace”.

 

Turchia, Ocalan

 

I quotidiani danno conto dell’annuncio “storico” del leader del PKK Ocalan: un milione di curdi ha atteso ieri a Dyarbakir, nel sudest della Turchia e tradizionalmente epicentro del popolo curdo, le parole di un messaggio del leader che potrebbe porre fine ad una lunga guerra costata 40 mila morti. “Oggi comincia una nuova era – ha scritto Ocalan dal carcere di Imrali, dove è detenuto da 14 anni – si apre una porta sul processo democratico dopo la lotta armata. E’ tempo di far tacere le armi e far parlare le idee. Coloro che mi seguono devono abbandonare le armi e lasciare il territorio turco. Questa non è la fine, ma un nuovo inizio”. Il Corriere della Sera riferisce della reazione del premier turco Erdogan, ieri in Olanda: “E’ uno sviluppo positivo, ma è molto importante l’applicazione”. Si tratta del ritiro dei circa 3000 ribelli armati dal territorio turco, che potrebbe completarsi entro agosto. Dalle montagne del nord Iraq, da dove dirige le operazioni dei ribelli, il capo militare del PKK, Murat Karayilan ha fatto sapere che la parola di Ocalan è legge. Nessuno sa esattamente quali saranno i termini dell’accordo tra Erdogan e Ocalan.

L’Unità sottolinea che non è la prima volta che il PKK annuncia un tregua ma, a differenza del passato, la decisione è frutto di un formale negoziato che si è tenuto nei mesi scorsi tra i rappresentanti delle due parti. Quali contropartite può aver strappato Ocalan ad Erdogan? Il quotidiano esclude l’ipotesi di una amnistia per i responsabili di gravi fatti di sangue, mentre potrebbero esser liberati molti detenuti politici grazie alla modifica di norme che attualmente consentono l’arresto e la carcerazione di simpatizzanti della causa autonomista o separatista. Non essendo il PKK rappresentato in Parlamento, l’intesa su una possibile riforma costituzionale potrebbe maturare attraverso il dialogo tra l’Akp di Erdogan e il Bdp, partito pace e democrazia, legale ed espressione dei curdi: potrebbe ottenere qualche forma di autonomia per l’est dell’Anatolia a maggioranza curda, forse una riformulazione del concetto di cittadinanza, in modo da veder riconosciuto il carattere di specifica identità culturale, etnica e linguistica curda. Si ipotizza anche che in cambio il BDP possa avallare il progetto di una repubblica presidenziale caro ad Erdogan , che intende presentarsi candidato alle elezioni del prossimo anno.

Anche La Stampa se ne occupa, ricordando come Ocalan nel suo messaggio abbia ribadito che il Medio Oriente ha bisogno di un nuovo ordine, che è tempo dell’unità, che turchi e curdi hanno combattuto insieme. Malgrado gli errori del passato, diamo vita ad un nuovo modello che tenga insieme culture diverse. Si sottolinea come un eventuale successo della trattativa potrebbe diventare qualcosa di storico, che aprirebbe a Erdogan la strada alla corsa per la Presidenza, ma renderebbe possibile anche una nuova Costituzione orientata verso un presidenzialismo forte che, grazie all’appoggio del partito curdo in Parlamento, potrà non tenere conto delle richieste della opposizione più laica.

 

 

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