Lo scudo passa

Il Corriere della Sera: “Salva Stati, sfida sui tempi. L’Italia preme: subito le misure per tagliare gli spread. Il vertice europeo. Draghi: bene i provvedimenti di Roma, i governi abbiano più coraggio”. “L’Italia preme: subito le misure per tagliare gli spread”.

Il Sole 24 Ore spiega: “L’Eurogruppo rinvia sulle banche ma dà un anno in più a Madrid per tagliare il deficit”. A centro pagina le parole di Draghi: “Italia bene sulle riforme, ora tagliare le tasse. Il governatore Bce Draghi: ‘Mercato cupo ma vedo barlumi di speranza, servono scelte coraggiose'”.

La Repubblica: “Scudo anti-spread, stop ai falchi. Isolate a Bruxelles le posizioni di Olanda e Finlandia, nuovo Eurogruppo il 20. Crolla il mercato dei mutui, meno 47 per cento. Vertice Ue, braccio di ferro sui tempi. Male le Borse, salgono i tassi”.
A centro pagina: “La Libia del dopo Gheddafi si scopre moderata”.

Il Giornale: “In Rai 700 truccatori. L’azienda ha 10190 dipendenti e un buco di bilancio: quando si taglia?”. Il titolo di apertura è dedicato al dibattito sulla riforma elettorale: “Napolitano ha un pallino: ‘Legge elettorale subito’. Il Pdl vuole le preferenze”.

La Stampa, con le parole del Capo dello Stato: “Subito la legge elettorale. Napolitano al Parlamento: riforma non rinviabile, si decida anche a maggioranza”.

Il Fatto quotidiano: “Non disturbate i manovratori. Il presidente di Confindustria costretto a ritrattare le critiche al governo. Dopo i moniti del Quirinale su chi racconta le telefonate con Mancino, cresce l’insofferenza contro chi non si adegua”.

L’Unità: “Quelli che la democrazia non conviene. Attacchi a Squinzi da Montezemolo, Tronchetti e Cicchitto per le critiche al decreto. Lui risponde: non muovo io lo spread”.

Libero: “Condannati a Monti. Il premier ci prende gusto e non vuol più mollare la poltrona. Il Quirinale lo sostiene. Per fortuna c’è Draghi che lo bacchetta ancora: ‘Serve più coraggio, abbassa le tasse'”.

Europa

Ieri il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, davanti al Parlamento europeo, ha ribadito che “l’economia recupererà a fine anno ma con uno slancio minore”, ed ha invitato i governi ad “essere audaci”, a mantenere “la barra dritta sulla via delle riforme e del risanamento, elogiando i progessi realizzati da alcuni, inclusa l’Italia”, come scrive La Stampa. Sulle decisioni prese a fine giugno Draghi ha detto: gli eurobond dovranno essere “alla fine di un processo di convergenza fiscale e politica”, e devono procedere “in parallelo” i quattro percorsi della integrazione bancaria, fiscale, economica e politica. Sulla ricapitalizzazone diretta delle banche da parte di fondi salva stati, “Draghi ha indicato una ipotesi: nell’attes che la vigilanza bancaria dell’Eurozona entri in funzione, se gli istituti di credito avessero bisogno di fondi – il caso più realistico è che sia necessario per quelli spagnoli – il governo potrebbe indebitarsi presso il fondo salva-Stati, aumentando ‘temporaneamente’ il debito per poi esere successivamente rifondato all’Esm e rientrare dei ‘buchi'”. Quanto alla Bce, “può dare liquidità alle banche ma non indirizzarle su cosa fare di quelle risorse”.
Intanto a Bruxelles ieri sera si è riunito l’Eurogruppo per dare attuazione all’accordo di fine giugno.  I ministri hanno reso operativa l’intesa del Vertice sulle misure “anti-spread”, ed hanno deciso che sarà la Bce ad agire per conto del fondo Efsf-Esm per ‘acquisto dei bond ”per condurre operazioni di mercato”, in funzione anti-spread. Da La Repubblica: “Da Bruxelles nuovo sì all’Italia, passi avanti sulle misure anti-spread. Braccio di ferro con gli eurofalchi”.
L’altra notizia significativa è il rinvio di un anno per la Spagna. Come scrive Il Sole 24 Ore: “Un anno in più alla Spagna sul deficit”. “La proposta oggi all’Ecofin”.

Legge elettorale

Il Presidente della Repubblica ieri ha scritto una lettera ai presidenti di Camera e Senato. Obiettivo: dare la scossa al Parlamento e muovere i partiti” sul tema della riforma elettorale, “non più rinviabile”. Ne parla il quirinalista del Corriere Marzio Breda, sottolineando come il Presidente abbia invitato ad accelerare “anche rimettendo a quella che sarà la volontà maggioritaria delle Camere” la decisione sui punti che non risultassero oggetto di più larga intesa preventiva e rimanessero quindi aperti ad un confronto conclusivo. Il capo dello Stato ha poi sottolineato che è bene che il dibattito “non resti ulteriormente chiuso nell’ambito di consultazioni riservate tra partiti” poiché “stanno purtroppo trascorrendo le settimane senza che si concretizzi la presentazione alle Camere, da parte dei partiti che hanno da tempo annunciato di voler raggiungere in proposito una intesa tra loro, di un progetto di legge sostitutivo di quello vigente per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato”. Il messaggio è chiarissimo, secondo Breda. Da un lato tradisce la delusione per la mancata intesa che solo a gennaio sembrava facile, e dall’altro inchioda i leader ad assumersi adesso, pubblicamente, in Aula, le loro responsabilità su tale questione. Il rischio è che l’impasse porti gli italiani a votare, nel 2013, con il vecchio e ormai davvero impopolarissimo Porcellum. La sollecitazione è indirizzata in particolare ai maggiori partiti poiché, se non troveranno una preventiva convergenza prima che il tema approdi in Aula, qualsiasi ipotesi di riforma sarebbe esposta al rischio di sabotaggi e ricatti dei partiti più piccoli, producendo così chissà quale pasticciata soluzione. Secondo il Corriere, l’accelerazione mette in difficoltà soprattutto il Partito democratico: come sottolineava ieri lo stesso leader Udc Casini, c’è una convergenza oggettiva tra questa formazione e il Pd, sostenitori dele preferenze e di un premio di maggioranza basso (il 10 per cento) da affidare al primo partito. E tale convergenza coinvolgerebbe anche la Lega. Bersani resta contrarioa alle preferenze e ad un premio di maggioranza troppo basso: “Con una simile riforma elettorale saremmo a mezza via tra Tangentopoli e la Grecia”. Fa cioè capire che questo modello sarebbe il preludio alla grande coalizione, poiché nessuna forza politica, al momento può vantare numeri tali da bipolarizzare il sistema.

La Repubblica intervista il capogruppo Pd alla Camera Franceschini, che sulle preferenze, utilizzate l’ultima volta alle politiche del 1992, invita a non vivere “nel mondo delle favole”: “I miliardi spesi in quelle campagne elettorali sono finiti in buona parte nell’inchiesta di Tangentopoli. La via maestra sono i collegi uninominali che consentono agli elettori di scegliere la persona cui far rappresentare il proprio territorio”. Poi illustra i presupposti irrinunciabili per il Pd: “Soglia di sbarramento più alta, per ridurre la frammentazione dei troppi partiti, vincolo di coalizione con premio di maggioranza”, superare le liste bloccate. Di fianco, un “retroscena” in cui si racconta che Silvio Berlusconi starebbe ragionando sulla grande coalizione per il 2013. Con il professor Monti in sella, e il centrodestra dentro.

Squinzi

Sabato scorso il Presidente di Confindustria Squinzi, con le sue dichiarazioni sui rischi di “macelleria sociale” legati alla spending review, aveva suscitato polemiche, nonché una dura risposta di Monti (dichiaraziono così fanno salire lo spread, diceva il Presidente del Consiglio). Ieri Squinzi è tornato sulla polemica con un intervento alla assemblea degli industriali di Lucca. Il Sole 24 Ore titola: “Squinzi: lo spread non dipende da me”. Poi riprende un’altra affermazione del Presidente degli industriali: “Apprezziamo quel che sta facendo il governo, anche se c’è ancora tanto da fare”. “Non me le aspettavo, sono polemiche basate su frasi decontestualizzate dal discorso generale, il cui senso era diverso” ha detto Squinzi. “Apprezziamo, non ho mai detto il contrario, quello che sta facendo questo governo Monti, anche se c’è ancora tanto da fare. Ci ha dato la credibilità internazionale che non avevamo negli ultimi tempi”; quanto al rapporto con il governo “noi siamo aperti a collaborare. Con la Cgil ‘non c’è in atto nessun asse, sono un uomo di dialogo, come conferma la mia storia di imprenditore e uomo di associazione”; abbiamo apprezzato il decreto sviluppo, anche se ha qualche mancanza sul campo della ricerca. Allo stesso modo, fin dal primo momento, abbiamo accettato e apprezzato la riforma delle pensioni, anche se è sicuramente onerosa per le imprese”. Sulla spending review “siamo stati i primi a sostenere che andava fatta e abbiamo apprezzato ciò che ha proposto il governo in modo molto preciso, anche perché va nella direzione giusta”. Per crescere la madre di tutte le riforme è quella della Pubblica Amministrazione e il decreto sulla spending review va in questa direzione, come dimostra il tanto atteso taglio delle province. Ma nella PA vanno eliminate inefficienze e sprechi per liberare risorse  e ridurre l’insostenibile pressione fiscale nel medio-lungo periodo.
L’Unità torna a difendere il presidente di Confindustria: “la finanza in guerra contro l’industriale che cerca il dialogo”, si legge in un articolo in seconda pagina che si riferisce agli editoriali pubblicati ieri da Corriere della Sera e La Repubblica (Tito Boeri), molto critici con Squinzi. “Il livore che traspare da questi toni -scrive L’Unità- non può essere giustificato solo dal fatto che Via Solferino (Corriere della Sera) ha fatto il tifo per Alberto Bombassei, il pupillo di Sergio Marchionne, che sarebbe stato poi riconoscente con i suoi adulatori se avesse vinto” (la presidenza di Confindustria). Secondo L’Unità il problema è che la Confindustria di Squinzi, “avviata sul binario del dialogo e della collaborazione nessuno escluso, lontana almeno nelle prime intenzioni da alchimie di natura politica o da interessi personali e di cordata, non può piacere a chi pensava come gli improbabili neomoralizzatori Montezemolo e Diego della Valle di piegare la rete Confindustriale per scendere in campo, entrare in politica”. Poi un altro commento del quotidiano spiega “chi sono i veri anti-italiani che giocano solo per se stessi”, dove si fa riferimento all’ottica diversa di una “oligarchia finanziaria” e “trasversale” che controlla banche e giornali e che alimenta quotidianamente le campagne contro la politica e i sindacati, non esitando a civettare persino con Beppe Grillo se serve a perpetuare l’attuale polverizzazione politica e sociale, unica sicura garanzia del suo potere di interdizione e ricatto su governi e maggioranze di ogni colore.
Su Europa, in prima, il piccolo corsivo di Robin: “Questo Squinzi, tutta una tattica dei padroni per farci sembrare un gigante Montezemolo”. Poi Il Fatto quotidiano, che ha in prima un editoriale del direttore, dal titolo “La Repubblica dei corazzieri”: “Così anche il Presidente di Confindustria sta assaggiando il nodoso bastone del regime tecnico e della informazione unica”, si legge nell’incipit.

Sul Corriere della Sera è Giuseppe De Rita a spiegare la tensione Squinzi-Monti in termini di “contrapposizione tra dimensione verticale e dimensione orizzontale della dinamica economica e sociopolitica italiana”. Monti è, secondo De Rita, l’interprete più accreditato della “spinta verticale”, forte del suo rapporto di vertice con i verticii della finanza internazionale e delle istituzioni europee; resta fuori dalla sua sensibilità la dimensione orizzontale del nostro sviluppo, garantita dalla molteplicità dei soggetti operanti sul territorio come comuni, province, comunità montane, aziende sanitarie, nell’immenso campo della piccola e piccolissima impresa e del lavoro autonomo. De Rita parla di progressiva desertificazione del nostro territorio (meno province, meno uffici postali, forse meno imprese) le forze politiche fossero consapevoli, al contrario di “varie strutture di rappresentanz,a che vanno dai sindacati alle organizzazioni delle autonomie locali, ai difensori delle piccole imprese riuniti in Rete Imprese Italia.

Internazionale

Sul Corriere della Sera si dà conto di quella che viene considerata “la sfida di Obama” e che viene così sintetizzata: “Meno tasse per tutti, tranne che per i ricchi”. L’obiettivo è mantenere gli sconti di Bush solo sulla classe media, ma sono poche le possibilità che passi in un Congresso così diviso.
Anche su La Stampa: “Obama sfida i Repubblicani, ‘giù le tasse ai meno ricchi'”. E poi, ancora parole di Obama: “La desta tutela la classe media? Allora approvi gli sgravi fiscali”. Sullo stesso quotidiano si legge che per il secondo mese consecutivo il candidato repubblicano Romney ha raccolto più fondi elettorali di Obama: 106 milioni di dollari contro 71. Per raccogliere soldi il candidato repubblicano è sbarcato agli Hamptons, regno delle vacanze estive dei ricchi di New York, e tra gli industriali che hanno ospitato i fundraising c’era Cock, magnate dell’acciaio e del petrolio. Fuori dalla sua villa si erano radunati gli indignati che hanno protestato contro Romney.
Alle elezioni di domenica scorsa in Libia è dedicata una lunga analisi di Bernardo Valli su La Repubblica: “Il fronte laico della primavera, così le tribù hanno fermato gli islamisti”. Una società frantumata in tribù, in clan, in famiglie armate fino ai denti, abbrutita per quasi mezzo secolo dal delirio di Gheddafi, e per questo giudicata impreparata e quindi inaffidabile, ha impartito una lezione di democrazia al vicino grande Egitto e alla vicina ed educata Tunisia. “La Libia musulmana – scrive Valli – ha fermato l’ondata islamista che ha inondato i Paesi arabi liberatisi dalla opppressione dei rais”. Forse è esagerato parlare sul serio di Libia laica, o di Libia liberale; Valli preferisce a questo punto usare il termine “moderata”. Poi una lunga descrizione del vincitore, Mahmud Jibril, che guidava una coalizione di una quarantina di partiti, il cui successo elettorale è fondato su legami familiari: è un professore appartenente alla più grande tribù libica, quella dei Warfalla, di cui fa parte un libico su sei. Il jihadista Belhai non ha avuto fortuna: lui che è stato con Bin Laden in Afghanistan, nelle prigioni della Cia, in quelle di Gheddafi, poi uno dei primi capi ribelli ad entrare a Tripoli, armato da americani e francesi, che ormai si fidavano di lui. A differenza dei tripolini alle urne.

Sul fronte della Siria, segnaliamo dal Corriere della Sera le dichiarazioni venute da Teheran: “Assad non è eterno”. Gli ayatollah sono gli unici alleati regionali di Damasco, ed hanno ricordato che nel 2014 ci saranno le elezioni presidenziali: “Dovremmo lasciare che le cose seguano il loro corso. Fino ad allora, però, cessino le interferenze straniere”. Ieri intanto l’inviato Onu Annan ha avuto un colloquio con il Presidente Assad ed ha annunciato “un nuovo approccio” che dovrà essere sottoposto all’opposizione.

Su La Repubblica si dà conto anche della battaglia sulla riapertura del Parlamento in Egitto, che la Corte Costituzionale, con una sentenza, aveva dichiarato sciolto, e su cui invece il neopresidente egiziano, l’islamista Morsi, è intervenuto con un decreto che ne ordina la riapertura. La Corte Costituzionale ha ribadito: “Tutte le nostre sentenze e decisioni sono definitive, non soggette ad appello e sono vincolanti per lo Stato”. Ormai è l’unica istituzione ancora in piedi nell’Egitto post-Mubarak. La Fratellanza Musulmana che – insieme ai salafiti – domina il Parlamento, ha annunciato per oggi una marcia a piazza Tahrir per accompagnare i deputati alla seduta del Parlamento. Gli altri partiti politici (il Partito socialdemocratico, quelli di sinistra, i liberali del Wafd) hanno invece annunciato che boicotteranno la seduta denunciando la decisione del presidente Morsi come “folle”. Un articolo de Il Foglio sottolinea che il neopresidente punta a prendere il potere ancora nelle mani dei militari a colpi di decreti esecutivi. Ieri Morsi e il capo dei militari, il generale Tantawi, hanno partecipato insieme ad una cerimonia all’Accademia militare parlottando tranquilli uno di fianco all’altro.

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