Libia. Il governo c’è, ma per ora resta a Tunisi

 

Il Corriere della Sera: “Roma-Bruxelles, nuove scintille e prove d’intesa”, “Migranti, l’ipotesi di regole più favorevoli all’Italia”.

E l’editoriale firmato da Massimo Franco sui contrasti con la Commissione Ue: “Le ostilità da superare”.

Più in basso l’imminente nomina -stasera al Consiglio dei ministri-del viceministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda a Rappresentante permanente dell’Italia presso l’Ue: “Cambio alla Ue. L’ambasciatore ora è Calenda”.

In prima, con grande foto di una colonna di auto dell’Isis in marcia sul litorale libico intorno a Sirte, le notizie sulla formazione del governo, con un’intervista all’inviato speciale Onu che guida la mediazione internazionale in Libia, Martin Kobler: “’Corridoi umanitari per la Libia’”. A intervistarlo è Paolo Valentino.

Sulle unioni civili un commento di Michele Ainis: “I tabù linguistici sulle unioni gay raccontano chi (non) siamo”.

Più in basso un’analisi di Francesco Verderami: “Così l’Italicum può assegnare un ruolo chiave alla sinistra dem”.

A fondo pagina: “Sarri insulta Manicni. E lui: razzista”. “Inter-Napoli si chiude tra i veleni. ‘Mi ha dato del finocchio, ora via dal calcio’”.

Poi le “Idee&Inchieste”, con un articolo di Gian Antonio Stella sui 900 milioni per ridurre lo smog che sono “bloccati da regole indecifrabili”; e un altro di Virginia Piccolillo sulla decisione con cui la Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile il referendum proposto dalle Regioni sulle trivellazioni.

Sotto la testata: “Scola, tra impegno e ironia”, “Addio al regista”, “Aveva 84 anni. Firmò ‘Una giornata particolare’”.

La Repubblica: “Il Ppe: ‘Renzi mette a rischio la Ue’. Banche sotto tiro, nuovo crollo Mps”, “Duro scontro sull’Europa. Il premier: ci vogliono deboli. Ma sull’asilo ai rifugiati passerà la linea italiana”.

“L’ultimo spiraglio sul ring di Bruxelles” è il titolo dell’analisi di Andrea Bonanni.

Poi “il caso” raccontato da Roberto Mania: “Lo strappo su Calenda ministro-ambasciatore”.

In evidenza il riquadro sull’audizione, ieri in Commissione Antimafia, del sindaco di Quarto, Rosa Capuozzo, del M5S: “Quarto, il sindaco accusa i %Stelle: ‘Ci trattano da reietti, ma io già a luglio dissi tutto ai vertici’”.

A centro pagina, grande foto di Ettore Scola: “Addio Scola, ti avevamo tanto amato”, “Muore a 84 anni il maestro del cinema italiano”.

Sulle unioni civili, editoriale in prima di Stefano Rodotà: “Tutti gli alibi che inquinano le unioni civili”.

A fondo pagina: “Sì al referendum anti-trivelle”, “Legittimo il quesito sulla durata delle concessioni”.

La “copertina” di R2, a destra: “Come salvarsi dal prof intermittente”, “Con la riforma continua la giostra dei supplenti: eppure si può fermarla”, scrivono Mariapia Veladiano e Corrado Zunino.

La Stampa: “Migranti, un punto per Renzi”, “La Commissione Ue a marzo rivedrà il sistema di ripartizione dei rifugiati: più profughi al Nord Europa”, “L’irritazione di Draghi verso il premier: troppe operazioni finanziate in deficit per l’Italia”.

Da Berlino ne scrive Tonia Mastrobuoni: “Disavanzo e fisco: gelo della Bce sulla manovra”.

E Fabio Martini si occupa della nomina imminente del viceministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda a Rappresentante permanente dell’Italia a Bruxelles: “Calenda, nomina politica per le battaglie a Bruxelles”.

Riferendosi al presidente della Bce Draghi e al presidente del Consiglio, Stefano Lepri, nel suo editoriale, parla di “due visioni diverse dell’Unione”.

A centro pagina, foto del regista Ettore Scola: “Addio Ettore, c’eravamo tanto amati”, “E’ morto a Roma Scola, ultimo maestro del cinema di Fellini, Steno, Scarpelli. Aveva 84 anni”.

Di spalla a destra, l’intervista al presidente argentino Macri: “Bond argentini? Niente rimborsi”, “Torneremo protagonisti nel mondo: saremo un paese affidabile, che rispetta le regole e fa le sue trattative, sulle Malvinas, per esempio. Con Renzi? C’è sintonia”.

Il Manifesto, con foto di Renzi, punta sul via libera della Corte costituzionale al referendum anti-trivelle: “Un buco nell’acqua”, “La Corte costituzionale dà il via libera al referendum sulla durata delle trivellazioni dei mari italiani proposto da nove regioni contro il governo. Respinto il tentativo di Palazzo Chigi di bloccare la consultazione con le modifiche alla legge di stabilità. I No Triv cantano ‘vittoria’ e annunciano il ricorso sui quesiti bocciati dai giudici”.

A questo tema è dedicato l’editoriale di Enzo Di Salvatore: “Prima vittoria, si può fare il bis”.

Sulla colonna a sinistra: “Il fragile sistema bancario italiano preda facile e sicura degli speculatori finanziari”, di Vincenzo Comito.

E sulle tensioni con l’Ue: “Da Bruxelles furia europea su Renzi”, di Andrea Colombo.

Carlo Lania si occupa di Europa, dopo le parole del presidente del Consiglio Ue Donald Tusk: “Tusk: ‘Due mesi ‘per salvare Schengen’”.

A centro pagina, le unioni civili: “Unioni, avanti con giudizio. Pd alla ricerca della quadra”.

Sul tema, da segnalare un’intervista al senatore M5S Alberto Airola: “C’è accanimento contro il ddl Cirinnà, ma se lo cambiano noi non lo votiamo”.

E un intervento del professor Massimo Villone: “La famiglia mummificata”.

Sulle riforme costituzionali, su cui è previsto il voto oggi al Senato: “Riforme penultimo atto. Referendum e Italicum, un puzzle complicato”.

Sulla Libia: “L’Onu benedice il nuovo governo. Ma nel Paese regna il caos”.

Sul caso emissioni inquinanti: “Emissioni irregolari, ora tocca a Renault ritirare le prime 15 mila vetture”.

Sul nuovo direttore generale Ilva Marco Pucci: “Condannato per la Thyssen, promosso al vertice Ilva”.

Poi su “le mappe del potere”, attenzione per una ricerca di Global Policy Forum: “Padronissimi o filantropi? Ricerca sugli ‘umanitari’ con un occhio ai mercati”.

Le tensioni Italia-Commissione Ue

Su La Repubblica a pagina 2 Alberto D’Argenio dà conto della “ennesima giornata di scontro tra governo italiano ed istituzioni europee”. Riferisce le parole del presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker: “Alcuni governi sono veloci ad attaccare Bruxelles, ma si guardino allo specchio, anche loro sono Bruxelles”. Poi, più esplicito contro Renzi il capogruppo del Ppe, la prima forza al Parlamento europeo, Manfred Weber, bavarese, vicepresidente della Csu, vicinissimo alla cancelliera Merkel: “Quello che sta facendo Matteo Renzi mette a repentaglio l’unità dell’Europa a vantaggio del populismo”. Insomma, “il clima resta teso”, scrive D’Argenio, e gli attacchi da parte italiana non cesseranno fino alla decisiva bilaterale del 29 gennaio a Berlino con Angela Merkel: “il premier vuole mettere pressione sulla cancelliera e sulle istituzioni Ue: in ballo, oltre a banche, Cina, Ilva e migranti, soprattutto il via libera alla manovra 2016, sub judice fino a maggio. E lo stesso Weber indica il punto dell’offensiva italiana che maggiormente preoccupa Berlino: ‘L’Italia ostacola il versamento dei 3 miliardi alla Turchia per contenere il flusso dei migranti, e questo danneggia la credibilità dell’Europa’. Roma chiede che i soldi destinati ad Ankara (281 milioni la quota italiana) non siano computati nel deficit”, “e nella strategia di attacco in Europa di Renzi si iscrive anche la decisione di nominare oggi in Consiglio dei ministri Carlo Calenda come rappresentante permanente presso la Ue. Per la prima volta il posto va a un politico, e non a un diplomatico, proprio per mostrare i muscoli verso le istituzioni Ue”.

Sul Corriere della Sera, pagina 2: “Weber (Ppe): minate la credibilità Ue. Renzi su Facebook: siamo tornati. Juncker: i governi si guardino allo specchio. Ilva, indagine per aiuti di Stato”, “Nuovo scontro Roma-Bruxelles”. Ne scrive da Bruxelles Ivo Caizzi, riferendo anche le parole di apprezzamento di Weber sull’Alto rappresentante della Politica estera Ue Mogherini (“sono stato orgoglioso di vedere Federica Mogherini siglare l’accordo sul nucleare italiano”, che secondo Caizzi sono una conferma delle indiscrezioni che attribuiscono a Merkel di considerarla più affidabile del presidente del Consiglio italiano).

Sulla stessa pagina, intervista a Yoram Gutgeld, consigliere economico di Palazzo Chigi per la revisione della spesa pubblica: “Gutgeld: l’Italia ci tratti come gli altri. Avanti con la spending, le riforme marciano”, “Con l’Unione non è un problema di comunicazione, ma politico”.

E a pagina 3 il “retroscena” di Marco Galluzzo e Fiorenza Sarzanini: “La trattativa su sgravi e Turchia. Renzi: un errore dire sempre di sì”. Dove si evidenzia come la nostra rappresentanza a Bruxelles avesse espresso dubbi sulla scelta di far gravare l’esborso di denaro alla Turchia sugli Stati membri e non sul bilancio comunitario.

A pagina 5: “Calenda nuovo volto di Roma a Bruxelles”, “Cambio radicale di profilo: il viceministro che sostituisce Sannino (Stefano Sannino, suo predecessore, ndr.) non è un diplomatico di carriera”.

La Stampa, pagina 2: “Palazzo Chigi sceglie il politico-manager come ‘super ambasciatore’ a Bruxelles”, “Il viceministro Calenda rappresenterà l’Italia in Europa. Non ha esperienza in diplomazia ma è un duro nei negoziati”, scrive Fabio Martini.

Restiamo a La Stampa, a pagina 2: “Profughi, sulla battaglia dell’asilo Renzi strappa un punto all’Europa”. La Commissione, spiega Marco Zatterin, fa trapelare l’intenzione di rivedere, nella riforma del regolamento di Dublino, annunciata per marzo, il principio secondo cui lo Stato di approdo dei rifugiati è quello che ha la responsabilità di custodirli fino a identificazione conclusa. Nei titoli anche le parole di Weber: “Ma Weber (Ppe) attacca il premier: ‘Mette a rischio la credibilità’”.

Da La Stampa va segnalato anche l’articolo che Tonia Mastrobuoni firma dalla Germania: “Deficit, banche e fondi, Draghi e Berlino irritati con il premier”, “Gelo della Bce sulla manovra. Schaeuble teme per il credito”. Un portavoce della Bce fa notare che l’istituto “non mette bocca nell’esame europeo della Legge di stabilità”, ma se l’Italia dà l’idea di cercare scuse per non “fare i compiti a casa”, indebolisce Draghi e rafforza i falchi come il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, che pressano da tempo il presidente Bce sulle misure straordinarie, perché scoraggerebbero l’impulso alle riforme e l’aggiustamento dei conti.

Il tema torna nell’editoriale in prima di Stefano Lepri, su Draghi e Renzi: “Due visioni diverse dell’Unione”.

Il Manifesto: “Furia europea su Renzi”, “Weber (Ppe): ‘A rischio credibilità’. E Roma cambia l’ambasciatore”. Scrive Andrea Colombo che il rischio è che dalle parole sempre più forti ora si passi “alle bombe vere”: ieri la Commissione ha deciso di aprire un’indagine sugli aiuti di Stato all’Ilva, “una scure sospesa” sull’Italia. Ove gli ispettori concludessero che quegli aiuti non servivano solo a proteggere l’ambiente ma anche a supportare l’azienda, verrebbe chiesta la restituzione di un paio di miliardi.

Su La Repubblica, pagina 3: “Migranti, l’Italia la spunta, via il Trattato di Dublino, ogni Paese avrà una quota”, “Con il via libera alla modifica cade il principio della responsabilità per i Paesi del primo ingresso che penalizza le nazioni del sud”.

Il Corriere: “Profughi redistribuiti a Nord. Entro due mesi cambia il ‘Trattato di Dublino’”.

Sul Corriere in prima Massimo Franco firma l’editoriale: “Le ostilità da superare”. Parla dei toni alti, “verrebbe da dire ai limiti della spavalderia”, di Renzi. Ma “per il momento, purtroppo, il presidente del Consiglio è circondato dal silenzio apparentemente ostile degli altri Stati europei”.

Libia

Sul Corriere, a pagina 16, l’articolo di Francesco Battistini: “Nasce il governo di unità in Libia (ma non ha la fiducia e resta a Tunisi). Già ostaggio delle lotte fra tribù, il nuovo esecutivo è sostenuto più all’estero che in patria”. Racconta Batistini: “a un certo punto c’era da scegliere il ministro degli Esteri. A chi darlo? A Tripoli no: troppo amici di turchi e qatarini. A Tobruk nemmeno: troppo legati a Egitto e emiratini. ‘Stava precipitando tutto’, racconta un leader del Sud, finché non è uscito il nome di Marwan Ali abu Sraiweil. L’uomo giusto: famiglia importante della Tripolitania (Ovest) con interessi in Cirenaica (Est). Questione risolta? Macché. ‘Qualcuno ha obiettato che non si poteva dare tanto potere a uno solo…’. E allora il premier incaricato Fayez Serraj ha capito. E ha ingoiato anche questa: il nuovo governo libico d’unità nazionale non avrebbe avuto un solo ministro. Ne avrebbe avuti tre, quante sono le Libie. Un ministro degli Esteri, uno della Cooperazione internazionale e un altro per gli Afari arabi e africani”; “il governo è deciso. Quando, dove e su chi governerà, è da decidere”. 32 i ministri, 64 i sottosegretari, 9 i consiglieri presidenziali, due dei quali di Tobruk e già dimissionari; “un governicchio. Un Cenelli di 105 persone che per ora resta in Tunisia: non ha le condizioni di sicurezza per rientrare a Tripoli; non è affatto detto che abbia la fiducia dei due terzi del Parlamento di Tobruk, l’unico legittimato a farlo entro 10 giorni; non avrà mai l’ok del governo tripolino, costretto a farsi da parte”.

E sulla stessa pagina, l’articolo di Marco Galluzzo: “Verso l’intervento”, “L’Italia dovrà garantire la sicurezza a Tripoli”. Quando e se decollerà una missione internazionale di stabilizzazione della Libia, su richiesta del nuovo governo di unità nazionale, l’Italia -scrive Galluzzo- avrà sicuramente un compito centrale: in tutto i nostri militari impegnati dovrebbero aggirarsi su 1000 unità e potrebbero avere il compito di garantire la sicurezza della città di Tripoli.

A pagina 17, intervista all’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, il diplomatico tedesco Martin Kobler: “’Un dramma umanitario. Subito il cessate il fuoco’”, “’Spetta ai libici sconfiggere l’Isis’”. Qual è la prossima tappa?, gli chiede Paolo Valentino. “Ora l’accordo deve essere sottoposto alla Camera dei Rappresentanti di Tobruk, che ha 10 giorni per approvarlo. Ho parlato con il presidente Aguila, che deve ora convocare una seduta plenaria, invitando tutte le diverse fazioni, anche quelle che boicottano. E noi siamo in contatto con tutti per aiutarlo a riuscire”. Ma all’appello mancano due membri del Consiglio presidenziale, che non hanno sottoscritto l’intesa. Kobler: “La road map parla chiaro. Anche il dissenso di due membri ci può stare. E’ previsto che ci siano due tentativi di raggiungere un accordo, ma poi deve esserci un voto a maggioranza, a condizione che il presidente sia d’accordo con ogni nome sulla lista”. E il Parlamento di Tripoli? “E’ ancora un problema, perché Nouri Abusahmain e i gruppi che si riconoscono in lui respingono l’accordo”. Poi, più avanti sottolinea che “il binario politico è più lento di quello militare” e che “le forze libiche sono divise, Isis no. E guadagna terreno ogni giorno. Ma non si può fare il secondo passo prima del primo. Il processo deve appartenere ai libici, devono combattere lo Stato islamico. E solo un governo insediato può chiedere l’aiuto militare esterno”.

Su La Repubblica l’articolo di Vincenzo Nigro: “Libia, 32 ministri per il nuovo governo”, “Il premier Sarraj annuncia l’esecutivo di unità, ma il generale Haftar non ottiene la Difesa e punta al sabotaggio. Incerto il sì del Parlamento di Tobruk. Una squadra formata da molti tecnici, all’unica donna va la Cultura”. Come previsto dall’accordo Onu firmato il 17 dicembre in Marocco, la presidenza del Consiglio sarà formata da un ‘consiglio presidenziale’ di 9 membri guidato dal premier Serraj e dovrebbe essere -spiega Nigro- il “cervello” politico del governo. Ma subito sono arrivati i nuovi problemi: uno dei 9 consiglieri si è autosospeso. Si tratta di Ali Faraj al-Qatrani e lo ha fatto sostenendo che “l’est della Libia è sottorappresentato”. In realtà non si è tirato indietro per questo, sottolinea Nigro, ma per protestare contro l’esclusione del suo referente, il generale Khalifa Haftar, dal governo. Il nome di Haftar è quello su cui si era bloccata la trattativa: voleva essere a tutti i costi ministro della Difesa, ma il nuovo capo di questo dicastero sarà un generale che ha combattuto con lui contro i terroristi di Ansar al Sharia e Daesh a Bengasi, ma da mesi è in rotta di collisione con lui. Ministro della Difesa sarà Al Mahdi al Barghty, un bengasino membro di una potente tribù della Cirenaica, che fu in prima fila nella rivoluzione del 2011 a Bengasi. Da un anno combatte sul fronte di Bengasi contro Ansar al Sharia insieme ad un gruppo di “generali indipendenti”, cosiddetti perché non tollerano il ruolo di Haftar.

Su Il Manifesto: “In Libia l’unione non fa la forza”, “Via al governo di unità nazionale di Fayez al Sarraj, ma non si sa neanche se starà a Tripoli”, “il nuovo esecutivo benedetto dall’Onu dovrà arginare l’Isis. O aprire la strada a un altro intervento armato dell’Occidente”, scrive Michele Giorgio.

Usa-primarie Democratiche

Su La Stampa il reportage di Paolo Mastrolilli da Birmingham, in Alabama, sulle primarie democratiche: “Sanders sulle orme di Luther King per strappare a Hillary il voto dei neri”, “In Alabama il senatore liberal del Vermont fa il pieno di entusiasmo parlando di tasse ai ricchi, lotta alla povertà e welfare per tutti”. E le parole dello stesso Bernie Sanders: “Onorare King non significa metterlo sul piedistallo, ma continuare la sua missione contro l’ingiustizia e la disuguaglianza. Solo io lo sto facendo”. Scrive Mastrolilli: “a questo punto della campagna presidenziale, Hillary dava per scontato di aver già vinto, e invece Sanders la tallona nei sondaggi dell’Iowa, dove si vota il primo febbraio, ed è in lieve vantaggio in quelli del New Hampshire, dove i seggi aprono il 9. La teoria dei manager della Clinton è che se pure Bernie vincesse le primarie iniziali, poi andrebbe a sbattere contro il muro eretto al sud, dove la minoranza nera e quella ispanica non sanno chi sia questo senatore bianco del Vermont. Fonti interne della campagna, però, ammettono che ‘questa stessa strategia aveva fallito nel 2008 contro Obama. Abbiamo sottovalutato Sanders’. Lui lo sa e perciò viene a sfidare Hillary sul suo terreno: è arrivato nella città dove King aveva predicato e dove era stato arrestato nel 1963. Nell’auditorium trova 5.700 spettatori dentro e 1.400 rimasti fuori al gelo per guardarlo sul maxischermo. Sul palco per introdurre Sanders sale Cornel West, l’ex professore nero di Princeton che era stato un grande elettore di Clinton, ma ora ha mollato la moglie. Urla: “Sorella Hillary, tu sei una ‘Wall Street Democrat’, stai nelle tasche di ricchi banchieri. Solo Bernie ha l’integrità per salvare l’America”.

Gran Bretagna

Sul Corriere: “No al velo integrale in scuole e tribunali”. Potrà essere vietato il velo integrale dalle istituzioni pubbliche del Regno Unito, come scuole e tribunali. Il premier Cameron ha sottolineato che le istituzioni devono essere in grado di ‘vedere in faccia’ le persone, ad esempio alla frontiera. Secondo il Labour Party l’iniziativa non farà che aumentare la radicalizzazione. Ne scrive alle pagine dei commenti il corrispondente da Londra Fabio Cavalera. “No al velo nelle scuole. La scelta di Cameron sulle orme di Parigi. Addio multiculturalismo?”. La decisione, spiega Cavalera, verrà delegata ai singoli istituti scolastici. “David Cameron – spiega ancora Cavalera- ha dato il via libera con un giro di parole: ‘Ognuno deve essere libero di vestirsi come preferisce. Però se un’istituzione (e non unicamente le scuole) segnala la necessità di vedere in faccia qualcuno (parole testuali) io l’appoggio’. Il primo ministro tuona contro il modello francese ‘perché non è la cosa giusta’, ma sotto sotto la sposa. Londra dice no al velo, senza sbandierarlo. Con timidezza. Con paura”.

Polonia

Su La Repubblica il reportage di Andrea Tarquini: “’Stanno svuotando la democrazia’. Così svanisce il miracolo polacco”, “La nuova destra al potere ha bloccato la Corte costituzionale e minaccia la stampa. ‘Vogliono vendetta contro chi difende la libertà’”. Tarquini racconta dei megaposter affissi da Gazeta Wyborcsa, il quotidiano liberal di Adam Michnik, nel mirino del potere, che gli invia contro cortei di esorcisti. I cartelli recitano: “Libertà di parola”, “Democrazia”, “Difendiamo la Costituzione”.

Sulla stessa pagina, intervista a Lech Walesa: “Da qui una minaccia per l’Europa”, “il governo autoritario specula sulla crisi, l’Ue deve isolarlo”.

Cina

Su La Stampa Francesco Semprini racconta “il caso”: “Cina, il Pil peggiore da 25 anni tira il freno sulla crescita mondiale”, “L’Fmi taglia le stime: timore per mini-petrolio e frenata dei Brics”.

E sulla stessa pagina: “Via dalla città, il ritorno ai campi dei contadini fantasma di Canton”, “Così poveri da vivere in villaggi non citati sulle mappe”. Di Carlo Pizzati.

Su Il Manifesto: “La Cina rallenta ma non troppo”, “La crescita al 6,9% l’anno scorso, al livello di 25 anni fa. Eppure in linea con le previsioni”. Di Simone Pieranni.

Argentina

Su La Stampa l’intervista di Filippo Fiorini al presidente Mauricio Macri: “Ora basta chiusure. La mia Argentina tornerà protagonista”, “No ai risarcimenti sui tango bond. Sintonia con renzi, verrà a Buenos Aires a febbraio”, “Vogliamo essere una nazione affidabile, che rispetti le regole del gioco”, “Come Presidente, sono ossessionato dal compito di creare lavoro e attirare investimenti”, “Il governo precedente aveva trasformato lo Stato in un bastione di militanti”.

Su Il Manifesto: “Caso Nisman, attacco a Cristina”, “Oggi il presidente-imprenditore Mauricio Macri riporta il Paese al vertice di Davos”, “A un anno dalla morte del procuratore che si occupava dell’attentato all’Amia, desecretato il fascicolo sul caso”. Il magistrato venne trovato morto e si parlò di suicidio indotto o di omicidio ordinato dall’alto del kirchnerismo per metterlo a tacere, ricorda Geraldina Colotti.

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