Jobs act, la proposta di Renzi sul lavoro

Il Corriere della Sera apre con le parole del ministro dell’Economia: “’Basta con il tiro al bersaglio’”, “Saccomanni reagisce agli attacchi. Letta: cambio di passo”.

A centro pagina: “La discesa degli omicidi. Nel 2013 sono stati 480: mai così dall’Unità d’Italia”.

In prima pagina capeggia anche una grande foto di Maryl Streep, con le sue parole su Walt Disney: “Antisemita e ostile alle donne”.

In taglio basso: “Poste e Ferrovie, il grande equivoco”, “Da servizio pubblico ad aziende sul mercato. Ma restano simboli dello Stato”. Di Ernesto Galli Della Loggia.

 

La Repubblica ha in apertura un’intervista all’a.d. Fiat: “Marchionne: ecco il futuro della Fiat”, “’L’America ci dà valore. Ora rilanciamo l’Alfa, tutti gli operai rientreranno’”.

A centro pagina: “La riforma elettorale va in aula il 27. Custodia cautelare, controlli sui giudici”.

La foto in evidenza arriva dalla Francia e riguarda il comico Dieudonné: “In coda per il comico antisemita ma Parigi blocca in extremis lo show”.

 

Il Giornale: “Fuga dal governo”, “Il Pd pronto a far fuori Saccomanni, Monti pronto a sabotare Letta. E Renzi se la gode”, “Lettera di Berlusconi ai club: ‘Voglio 24 milioni di voti’”.

La foto a centro pagina è per il vicepremier e leader del Nuovo Centrodestra, in relazione al caso dell’oppositore kazako Ablyazov: “’Alfano mentì’. E ora la sinistra vuole cacciarlo’”.

 

La Stampa: “Renzi-Letta, prove di disgelo”, “Il premier: con lui intesa in dieci giorni. Scelta Civica: sulla Tasi il governo rischia. Piano per vendere il 30-40 per cento di Poste. La cautela di Draghi: la crisi non è finita”. Da segnalare, richiamata in alto, una intervista all’ex ministro ed esponente di Forza Italia Giancarlo Galan: “Sì allo spinello, basta proibizionismo”.

 

L’Unità: “Renzi-Letta ai ferri corti. Il leader Pd rinvia l’incontro e alza la posta su riforme, economia e diritti. Il premier: ‘No ai diktat. Il 2014 sarà l’anno della riscossa’. Alfano e Scelta Civica minacciano. Legge elettorale alla Camera il 27”. A centro pagina: “Pd unito sul piano lavoro. Ue: via giusta”.

 

Il Sole 24 Ore: “Bce: ripresa ancora lenta. Pronti a nuovi interventi”, “Draghi: ‘Ulteriori azioni decisive ne necessario’”.

Di spalla: “La legge elettorale in Aula il 27 gennaio. Tensioni sul governo”.

In taglio basso: “Jobs act, prime aperture dai sindacati”, “Ok da Cisl-Uil, Cgil possibilista. Segnali positivi dalla Ue. Giovannini frena, maggioranza”.

 

Il Fatto quotidiano are con il voto ieri alla Camera al disegno di legge sulla custodia cautelare: “Stupratori e killer: la Camera vota l’aiutino. Custodia cautelare più difficile. Montecitorio dice sì (Lega contraria, 5 Stelle astenuto): per i reati di violenza sessuale, omicidio, prostituzione minorile e sequestro di persona per estorsione il giudice dovrà fare i salti mortali per disporre l’arresto. Se il Tribunale del riesame lo nega, per i Pm strada sbarrata nel produrre nuovi elementi per i fascicoli”.

 

Jobs Act

 

Scrive Il Sole 24 Ore che “pur essendo ancora allo stato embrionale di una bozza”, il jobs act di Renzi ha incassato commenti sostanzialmente favorevoli da parte dei sindacati. La Cgil apprezza il fatto che anche il Pd sostenga la legge sulla rappresentatività sindacale e la riduzione delle varie forme contrattuali. La segretaria Cgil Camusso: “Che si dica esplicitamente che bisogna ridurre le forme del lavoro è una novità assolutamente importante. Finora lo dicevamo solo noi”. Il Job Act ipotizza infatti un contratto di inserimento a tempo determinato a tutele crescenti, che riduca le forme contrattuali oggi esistenti (oggi sono oltre 40, spiega il quotidiano). Raffaele Bonanni, segretario Cisl, sottolinea che il contratto unico “consente di riassumere, attraverso un contratto di lavoro, tante altre persone, a partire dalle false partita Iva che di solito sono usate per pagare meno la gente”. Sulla proposta di una legge sulla rappresentatività Bonanni si dice contrario, e spiega: “E’ materia delle parti sociali, e stiamo chiudendo l’accordo con Confindustria sul regolamento”. Luigi Angeletti: “Vuol proporre il contratto unico? Bene. Però, quando proporrà il reddito di disoccupazione si renderà conto che le prime a porre ostacoli saranno le regioni, che diranno che non hanno i soldi. Ma è una bugia. La verità è che non sono preparate a far incrociare domanda e offerta di lavoro”. Il quotidiano di Confindustria saluta favorevolmente il fatto che il Jobs Act preveda una riduzione della tassazione sul lavoro (dieci per cento dell’Irap in meno) da coprire con maggiori prelievi fiscali “in ambito finanziario” (citazione dal documento stesso). Proposta che resta però da chiarire, secondo il quotidiano, perché secondo gli ultimi dati ufficiali l’Irap nel 2013 fornirà un gettito complessivo tra i 22 e i 24 miliardi: un taglio del 10 per cento varrebbe quindi più di 2 miliardi. E tutte le difficoltà di alleggerire l’Irap per le aziende si sono viste nella stesura della legge di Stabilità, quando le risorse per coprire il taglio si sono fermate a poco più di 40 milioni.

Restiamo allo stesso quotidiano per dar conto del colpo di freno imposto dal ministro del Lavoro Enrico Giovannini, che ha sottolineato come alcune delle proposte accennate prevedano “investimenti consistenti” (è il caso per esempio della ipotesi di introdurre un sussidio universale per chi perde il lavoro). Su questa proposta, ricordiamo che si tratta di un assegno universale e che la proposta di Renzi prevede anche l’introduzione di un obbligo di seguire un corso di formazione professionale e di non rifiutare più di una nuova proposta di lavoro. Anche sulla idea di un contratto di inserimento unico a tempo indeterminato Giovannini frena, e dice che si tratta di una idea non nuova, “che va dettagliata meglio”, perché “è un obiettivo condivisibile trasformare i contratti precari in rapporti di più lunga durata, ma in un momento di grave incertezza come questo va verificato quante imprese siano disponibili ad andare in questa direzione”.

Le obiezioni di Giovannini vengono comunque inserite in un articolo in cui si evidenzia come vi sia stato il primo sì dalla Unione Europea al piano di Renzi: il commissario Ue per il lavoro Andor ha detto che le proposte sembrano andare “nella direzione auspicata dalla Ue in questi anni”. Perché, sottolinea Il Sole 24 Ore, l’Europa ha sempre chiesto all’Italia di rendere più dinamico e inclusivo il proprio mercato del lavoro.

Su La Repubblica Tito Boeri scrive che il Job Act di Renzi è, per il momento, solo un elenco di titoli. Sono quelli giusti. Il piano mette al centro la domanda di lavoro e oggi è proprio da quel lato del mercato che risiede il problema: troppe persone in cerca di lavoro, pochi posti vacanti. Coerentemente con questa impostazione che vuole incoraggiare le imprese a cercare opportunità di impiego, si propone di concentrare le risorse disponibili in un taglio non simbolico delle tasse sul lavoro, e di creazione delle nuove imprese, ad esempio eliminando l’obbligo (e ancor più gli oneri) di iscrizione alle Camere di Commercio. Boeri sottolinea favorevolmente il fatto che si voglia ridurre la “segmentazione del mercato del lavoro riducendo il numero e la complessità delle tipologie contrattuali” seguendo un approccio che considera diametralmente opposto a quello seguito dagli ultimi venti anni dai ministri Treu Maroni e Sacconi, che avevano moltiplicato le figure contrattuali, creando impiego “solo per i consulenti del lavoro”. Le premesse sono quelle giuste, ma bisognerà chiarire “quali coperture verranno trovate per le misure che in questo pacchetto non sono a costo zero”. Sullo stesso quotidiano si raccolgono le opinioni di tre esperti del mercato del lavoro: Luciano Gallino, Pietro Ichino e Michele Tiraboschi. Il primo sottolinea che il punto debole della proposta è quello della progressività della tutela, perché sarebbe necessario invece prevedere incentivi che rendano conveniente per le aziende proseguire i rapporti di lavoro. E l’assegno di disoccupazione non dovrebbe avere come conseguenza l’abolizione della cassa integrazione, scelta di tipo “thatcheriano”. Il secondo scrive che le assunzioni a tempo indeterminato sono soltanto una ogni sette contratti regolari stipulati in Italia. La vera protezione della sicurezza economica e professionale della persona che lavora deve essere fondata su un robusto sistema di sostegno alla persona che passa da un sistema all’altro: nel reddito e nella ricerca efficace del nuovo posto. Questa è per Ichino la nuova frontiera della difesa del lavoro: il “contratto di ricollocazione”; nel quale si stabiliscono diritti ma anche obblighi per chi ha perso il vecchio posto. Quanto alla assicurazione universale contro la disoccupazione, essa esiste già: è l’Aspi, introdotta con la riforma Fornero. Si tratta di rendere operante questa condizionalità.

L’Unità ospita due interventi sul tema: il primo è quello del senatore Ichino, che dal Pd viene, e il secondo è quello dell’ex ministro del lavoro Pd Damiano. Ichino scrive che il testo potrebbe essere varato in tre mesi, approdando ad una legislazione semplice, “traducibile facilmente in inglese e allineata a migliori standard europei. Un codice semplificato del lavoro che – ricorda Ichino – Renzi presentò proprio con lui a Firenze il 15 novembre 2012. L’Aspi esiste già e richiede disponibilità alla riqualificazione professionale e alle offerte di lavoro. Infine, la delusione di Ichino per l’adesione di Renzi a quella “leggenda metropolitana” secondo cui i contratti di lavoro sarebbero stati moltiplicati dalla legge Biagi del 2003: le forme giuridiche di contratto di lavoro in Italia non superano la quindicina, e la legge Biagi non ha fatto che riregolarle, perché pre-esistevano a quella legge.

Damiano: “Dove troviamo le risorse? Non si rinuncia all’articolo 18 e la cassa integrazione non può essere cancellata dall’assegno universale”.

 

Per tornare a La Repubblica, il giurista Michele Tiraboschi sottolinea che Renzi non parla di contratto unico ma di contratto unico d’ingresso, rievocando in qualche modo una proposta di Marianna Madia del 2010. Ma è una complicazione inutile, perché abolisce forme contrattuali già esistenti come il lavoro a progetto o l’apprendistato, e si richiama piuttosto al contratto di formazione, già dichiarato non conforme alle regole europee perché configurato come aiuto di Stato.

 

Stefano Fassina, il viceministro dell’Economia Pd dimessosi in polemica con le dichiarazioni di Renzi, dice a La Stampa che il Jobs Act “non è un piano ma un indice di titoli, largamente condivisibili visto che coincidono in gran parte con quelli contenuti nel documento sul lavoro approvati dalla assemblea del Pd nel maggio del 2010”. Sul problema delle coperture peone due domande: l’assegno universale è finanziato dai contributi dei lavoratori e dalle imprese o dalla fiscalità generale?. E poi, si affianca o sostituisce la cassa integrazione? Riguarda solo chi perde il posto di lavoro o anche quelli che non riescono a trovare lavoro?

 

Secondo L’Unità invece “i Democratici convergono sulla proposta del leader”, che verrà dettagliata nel corso della Direzione del 16 gennaio prossimo. Cuperlo è pronto ad andare a “vedere” le proposte, i giovani turchi si dicono “positivamente sorpresi” dal documento. Ma il quotidiano sottolinea invece la tanta freddezza riscontrata tra i ministri (Giovannini, ma anche il bersaniano Zanonato).

 

Fiat

 

Il direttore de La Repubblica Ezio Mauro intervista Sergio Marchionne, dopo che l’azienda torinese si è comprata la scorsa settimana tutta la Chrysler: “Adesso dobbiamo solo lavorare perché questo sogno che abbiamo realizzato e che io inseguivo dal 2009 si metta a camminare, anzi a correre, e produca i suoi effetti”. L’America, dice Marchionne, “ha creduto nelle nostre idee e ci ha aperto le porte”. Vuol dire che solo in America sarebbe stata possibile questa operazione? “Dico che per tante ragioni storiche e culturali noi Europei siamo condizionati dal passato, l’idea di chiuderlo per fare una cosa nuova ci spaventa”. Marchionne spiega anche che la fortuna di Fiat è stato dover trattare direttamente con il Tesoro, e non con i creditori, come voleva la vecchia logica. C’è il sospetto che questo successo sia stato realizzato a danno dell’Italia. Cosa risponde? “Che è vero il contrario. Questa operazione ha riparato Fiat e i suoi lavoratori dalla tempesta della crisi italiana ed europea che no è affatto finita. Non solo: ha dato la possibilità di sopravvivere alla industria automobilistica italiana in un mercato dimezzato. Altrimenti non ce l’avremmo più. Invece potrà ripartire con basi, dimensioni e reti più forti”. Quando ripartiranno le fabbriche italiane? “Nel polo Mirafiori-Grugliasco si faranno le Maserati, compreso un nuovo Suv e qualcos’altro che non le dico. A Melfi la 500 X e la piccola Jeep, a Pomigliano la Panda e forse una seconda vettura. Rimane Cassino, che strutturalmente è lo stabilimento più adatto all’Alfa Romeo.

Il Giornale intervista invece il senatore Pd Massimo Mucchetti che, in una ipotetica audizione di Marchionne in Commissione, chiederebbe: “come pensa di migliorare la situazione finanziaria di Fiat Chrysler, che oggi paga interessi molto pesanti che assorbono gran parte del margine industriale”, “i debiti di Fiat e Chrysler sono già oggi junk, e dunque molto costosi. Questo è il punto: gli interessi passivi”. “Chrysler, la parte migliore del gruppo, ha un debito di 12 miliardi di dollari e 11 miliardi di liquidità”.

 

Ministri sotto tiro

 

Il Giornale scrive che Alfano “rischia grosso sul Kazakhstan”. Si riferisce ad una intervista dell’ex prefetto Giuseppe Procaccini che, dopo il caso Ablyazov di questa estate, lasciò il suo incarico, lamentando di essersi assunto, con le dimissioni, “responsabilità non proprie”. L’intervista è stata realizzata ieri da Repubblica, e si raccontava come Alfano fosse preoccupato della tenuta del governo, e come gli avesse raccontato come l’ambasciatore kazako descriveva la vicenda del dissidente kazako Ablyazov come una questione di sicurezza nazionale.

E secondo Il Giornale, Pd e Sel provano a fare fuori Alfano, sollecitandolo a chiarire al più presto davanti al Parlamento. Arturo Scotto, Sel, dice: “Da quanto emerge il capo del Viminale era perfettamente a conoscenza di tutti i passaggi della extraordinary rendition verso il Kazakhstan”. Peraltro, proprio oggi i quotidiani danno conto della decisione della Francia di dare il via libera alla estradizione di Ablyazov verso la Russia. A Mosca è accusato di frode. La moglie di Ablyazov, Shalabayeva, in un intervento sul quotidiano, dice: “Una vergogna, mio marito sarà torturato”, “un giorno ci sarà la democrazia in Kazakhstan e tutti in Francia comprenderanno che è stato un errore collaborare con questo sistema”. Sulla stessa pagina Anna Zafesova, nel suo retroscena, spiega come l’oligarca scomodo sia incastrato dalle mire russe: è una pedina di scambio per gli affari e per Mosca si tratta di fare un altro passo verso l’Unione doganale.

Nei giorni scorsi era scoppiato il caso della possibile restituzione di 150 euro da parte degli insegnanti e personale Ata degli istituti scolastici. Poi il dietrofront del governo e pe polemiche sul ministro dell’Economia Saccomanni. Oggi torna ad occuparsene nelle sue prime tre pagina Il Corriere della Sera. “Letta chiede più responsabilità. I renziani aprono il caso Saccomanni”. A riaprire la polemica è stato il deputato renziano Nardella che, parlando del titolare all’Economia, ha detto: “Questo ministro deve dimostrare di essere all’altezza delle aspettative che avevamo tutti noi. Penso sia grave quando un ministro così importante come Saccomanni dice ‘sono un esecutore’, o ‘nessuno mi ha istruito’”.

E in un retroscena: “Il Ministro non lascia. E convoca i dirigenti. Mai più scivoloni. ‘Ma la smettano con il tiro al bersaglio’”.

 

Internazionale

 

La Stampa dedica molta attenzione ai piani di sviluppo del Presidente Usa: “Obama ricostruisce la promessa americana”. “Nella nazione più ricca della terra – ha detto – troppi bambini nascono ancora in condizioni di povertà e troppo pochi hanno una possibilità decente di sfuggirvi”. Per il quotidiano è una dichiarazione di guerra alla disuguaglianza, che ieri ha vissuto un primo capitolo con l’annuncio di 5 Promise Zone da aiutare a crescere. I luoghi prescelti per ricostruire la “terra promessa” del sogno americano sono sorprendenti, secondo il quotidiano, perché comprendono alcuni quartieri di Los Angeles, Philadelphia e San Antonio. Il meccanismo: ogni zona fa proposte su interventi per creare posti di lavoro, aumentare l’attività economica, migliorare l’istruzione, potenziare l’edilizia popolare, ridurre la criminalità. In cambio lo Stato offre finanziamenti, agevolazioni fiscali e consulenze per centrare gli obiettivi.

Il Corriere della Sera ha inviato nella cittadina francese di Nantes il suo corrispondente Montefiori, per raccontare il popolo che avrebbe voluto assistere allo spettacolo del comico Dieudonné. Il consiglio di Stato all’ultimo minuto ha dato ragione al ministro dell’Interno Valls proibendo lo spettacolo. 5600 persone avevano pagato il biglietto. Cantano la Marsigliese a squarciagola, fanno il gesto della “quenelle” inventato dal comico, una versione particolarmente oscena del gesto dell’ombrello, che sembra un saluto nazista alla rovescia e che molti fanno davanti a sinagoghe e cimiteri ebraici. Dieudonné, ricorda Montefiori, è un amico dell’Iran e di Hamas, e probabilmente sono gli ayatollah ad aver finanziato la sua “Lista antisionista” alle eluropee del 2009, “ma al cuore dei suoi ignobili monologhi -‘Tra ebrei e nazisti sono neutrale, non so chi ha cominciato, anche se una idea ce l’ho”. Non c’è la questione palestinese o l’islamofobia francese. Del resto Dieudonné, di padre camerunense e madre bretone, di educazione cattolica, è più amico di Le Pen, padrino del suo terzo figlio, che dei musulmani.

 

Anche La Repubblica ha il suo inviato a Nantes (Anais Ginori). Racconta la rivolta dei fan del comico dopo la proibizione dello spettacolo. Con due opinioni a confronto: Marek Halter pensa che si tratti di una scelta giusta, perché gli antisemiti vanno fermati e le parole possono uccidere; e Tahar Ben Jelloun, che considera la proibizione un errore, perché adesso diventerà ancora più popolare.

 

Il Fatto intervista lo scrittore israeliano Abraham Yeoshua per parlare della protesta di migliaia di immigrati – sudanesi, eritrei, etiopi, prevalentemente – nelle piazze principali di Tel Aviv, Eilat e Gerusalemme. Protestano contro l’arresto e la detenzione legata alle politiche restrittive in materia di immigrazione varate dal governo di Netanyahu nonostante il parere contrario della Corte Suprema. Erano 30 mila a Tel Aviv: “Mi dispiace ma Israele è la patria degli ebrei. Inoltre lo spazio territoriale è limitato e non possiamo dare asilo a tutti quelli che lo chiedono”, “dobbiamo già affrontare la crescita demografica dei palestinesi con nazionalità israeliana”.

 

Su L’Unità, intervista al ministro degli Esteri Emma Bonino, di ritorno dal suo primo viaggio in Africa da titolare alla Farnesina (Ghana e Senegal) ed in partenza per Sierra Leone e Costa d’Avorio: “Un continente che cresce. L’Africa è una opportunità”. Restiamo allo stesso quotidiano, perché viene ripreso alle pagine “Mondo” il dibattito lanciato dal quotidiano francese Le Monde: “Le grandi coalizioni fanno male alla democrazia e favoriscono il voto anti-sistema?”.

 

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