Il silenzio e il tumulto, la Siria di Nihad Sirees

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Il silenzio e il tumulto è l’ultimo romanzo dell’ingegnere, scrittore e autore televisivo siriano Nihad Sirees ed è stato tradotto e pubblicato in lingua italiana nel novembre 2014 dalla casa editrice indipendente “il Sirente”, nella collana “altriarabi”, dieci anni dopo la prima pubblicazione in arabo, in Libano. Nata dall’attenzione per la diffusione di una nuova prospettiva sul mondo arabo, la collana offre al lettore italiano un canale di informazione su di esso alternativo al giornalismo: la letteratura araba contemporanea.

In questo contesto editoriale, l’opera di Sirees permette di aprire uno spiraglio sulla società siriana prima del 2011. Nato nel 1950 ad Aleppo, ha iniziato a scrivere romanzi negli anni Ottanta, raccontando la classe media e la società borghese siriana, seguendo l’orientamento dei giovani intellettuali, suoi coevi, verso l’indagine sul rapporto fra arte e potere. Un rapporto che è stato all’origine del suo esilio, iniziato nel 2012 al Cairo, seguito poi negli Stati Uniti e che continua tutt’oggi a Berlino.

Il silenzio e il tumulto aiuta a capire e ricordare cosa fosse la Siria prima dei tragici e sconvolgenti avvenimenti di cui è stata protagonista dal marzo 2011 ad oggi. Un regime fatto di chiasso, folle muggenti, altoparlanti stridenti, fracasso, canti e slogan gridati a squarciagola, contrapposto alla vita intima delle persone, alla ricerca della quiete fra le mura domestiche  e le relazioni umane. Nell’arco temporale di una sola giornata, il ventesimo anniversario dell’ascesa al potere del capo del regime, “il Leader”, Nihad Sirees racconta in modo autobiografico come folle, polizia, sermoni, poeti prezzolati, cortei, servizi segreti e corruzione alimentino il tumulto, il baccano, la confusione, il fracasso e altre varianti dell’insieme assordante che anima la vita pubblica di una nazione innominata, in una città che è possibile immaginare sia la capitale e in cui il protagonista, lo scrittore Fathi Shin, si divincola nel tentativo di non essere inglobato dal sistema e dalle logiche di regime, ricercando invece la quiete della casa materna e i sorrisi e le attenzioni della propria compagna, Lama. Rivolgendosi direttamente al suo caro lettore, egli condivide le proprie riflessioni su ciò che vede per le strade della sua città, quasi confessando la propria verità nel silenzio della lettura: “Gli individui che si ostinassero a esistere come menti pensanti finirebbero per minacciare l’autorità del Leader, e le folle sono create con lo scopo preciso di dissolvere gli individui […] Mentre la calma e la tranquillità inducono le persone alla riflessione, attirare periodicamente le folle in questi cortei tumultuosi è indispensabile al fine di lavare il cervello e di impedire l’orrendo crimine di pensare.”

La fuga di Fathi dall’annichilimento del pensiero è una fuga dalla partecipazione alla vita pubblica scandita dalle dinamiche di regime, in particolare non solo i cortei e i comizi in cui viene adorato il Leader, ma anche il lavoro. Da scrittore, piuttosto che unire la propria voce a quella della propaganda, Fathi ha preferito tacere e vivere l’apatia del silenzio e della censura. Per questo bollato dal regime come “scrittore traditore della patria”, il silenzio non è solo una dimensione ideale di cui il protagonista va in cerca, ma è al contempo uno strumento di protesta e un’imposizione dolorosa, in cui riesce a resistere grazie alla natura umana più semplice ed elementare, quella che vive degli affetti, dell’amore, del sesso e dell’umorismo.

Sono questi gli elementi che costituiscono la vita di Fathi quando varca la soglia della casa della madre e quella di Lama. L’umorismo innanzitutto. Le battute e la complicità nel prendere in giro il Leader legano il protagonista alle donne della propria vita, e restituiscono al lettore un ambiente familiare e vero, lontano dall’artificiosità del regime. Nella quiete della vita privata, anche l’umorismo assume una connotazione politica di resistenza e riscatto rispetto alle mortificazioni del regime e con esso il sesso. Nello stile di Sirees, sempre ironico e pungente, la centralità di questi due elementi per poter resistere al silenzio di anni che lo ha “quasi soffocato”, non si evince fra le righe né si intuisce. L’autore lo spiega chiaramente, rivolgendosi direttamente al lettore: “Il sesso e lo humor sono le uniche armi possibili per rimanere in vita. In passato, era la scrittura a fornirmi l’energia necessaria a sopravvivere, quindi, quando mi è stato imposto il silenzio, abbiamo scoperto che il sesso è anch’esso una parola, un grido lanciato contro quel silenzio.”

Dalla descrizione anonima del leader e del paese su cui esercita il potere, viene da pensare quasi a una riflessione più generale sul paradigma del totalitarismo mediorientale. Dall’Iraq di Saddam e la dittatura laica del regime batista siriano alle folle dei comizi di Hezbollah in Libano, questi modelli confluiscono in un’unica critica sui regimi in Medio Oriente. Per essere più precisi un’autocritica, che, anche in questo caso, Sirees esprime in modo diretto senza lasciare margine all’interpretazione. Facendo una digressione sulla folle adorazione delle masse per il Leader, quasi fosse un dio sceso in terra, l’autore ricostruisce le antiche origini di questa pratica, rievocando la conquista della Persia di Alessandro Magno e facendo risalire a quest’epoca la deliberata e arrendevole scelta dei popoli arabi: “Noi siamo schiavi per colpa nostra.”

Come ha spiegato anche Donatella Della Ratta ne La fiction siriana. Mercato e politica nella televisione nell’era degli Asad , la produzione culturale nella Siria degli Asad e le dinamiche del regime sono state incentrate proprio su un’adorazione verso di esso e la famiglia al potere. La legittimazione di questi è stata costruita attraverso il miraggio di una politica riformatrice, illuminata e progressista, in cui l’elite culturale siriana è stata investita di importanza e potere sempre maggiori. Al contempo, però, il consenso è  stato propriamente forgiato attraverso l’intensa attività della censura e dei servizi segreti, gli stessi da cui scappa lo scrittore Fathi Shin de Il silenzio e il tumulto.

In fuga come il suo protagonista, Nihad Sirees ha potuto pubblicare la sua ultima opera a Beirut, nel 2004, approfittando della più morbida censura libanese. Quello che è arrivato in Occidente è il racconto ironico, intimo e sensuale della resistenza di un intelletto vigile e all’erta, in grado di raccontare con semplicità e umanità, la forza di chi, come Sirees, non ha perso la lucidità di fronte alle fascinazioni del regime.

Vai a www.resetdoc.org

Titolo: Il silenzio e il Tumulto

Autore: Nihad Sirees

Editore: Il Sirente, collana "Altriarabi"

Pagine: 150

Prezzo: 15 €

Anno di pubblicazione: 2014



Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *