Il Labour tra le braccia di Netanyahu
La sinistra israeliana va in frantumi

Per trent’anni ha governato ininterrottamente Israele, il partito dei padri fondatori dello Stato ebraico, i pionieri del sionismo. Il partito di David Ben Gurion, Chaim Weizmann, Levi Eshkol, Abba Eban, Golda Meir, Yitzhak Rabin, Shimon Peres… Il partito dei kibbutzim, realizzazione di un modello” socialista” che innervava socialmente l’identità nazionale ebraica. C’era una volta il partito laburista israeliano. C’era. Fino al giorno in cui, ridotto ai minimi termini elettorali, un segretario alla ricerca di poltrone di governo ha deciso lo scioglimento per confluire nel partito del premier incaricato, Benny Gantz, che a sua volta, pur di presiedere l’esecutivo, ha aperto le trattative con l’ex nemico, Benjamin Netanyahu, finendo pure lui per spaccare l’alleanza tripartita che aveva dato vita alla coalizione Kahol Lava (Blu-Bianco).

È la fine di una epoca. Una triste fine. Segnata da ambizioni personali, colpi bassi, la politica ridotta a un mercimonio, l’uso strumentale dell’emergenza sanitaria per giustificare un’alleanza contronatura. Siamo alla scissione dell’atomo (politico). Perché non tutti, in ciò che era rimasto del fu glorioso Labour, hanno intenzione di seguire il segretario Amir Peretz. Dalle fila laburiste si è alzata la voce contraria di Meirav Michaeli, deputata del ristretto gruppo parlamentare laburista alla Knesset (tre in tutto dopo la fine della coalizione con Meretz e Gesher all’indomani delle elezioni di marzo). L’ex giornalista e attivista, nonché nipote di Rudolf Kastner, ha dichiarato senza mezzi termini su Twitter che questa sarebbe la fine del partito, richiamando alla memoria il glorioso passato laburista e i protagonisti che ne hanno fatto la storia. Scagliandosi contro un’iniziativa messa in piedi “per ottenere due posti ministeriali per Amir Peretz e Itzik Shmuli, che non dispongono del partito di Ben Gurion, Rabin e Peres“, la deputata ha esortato “tutti i membri a restare e a combattere per il nostro partito, per opporsi a una mossa che vuol dire solo una cosa, niente più Labour”.

Durissima la presa di posizione di Nitzan Horowitz, presidente del Meretz, secondo cui Peretz ha “abusato della fiducia di centinaia di migliaia di elettori, strisciando tra le braccia dell’imputato di ​​Balfour Street [residenza del Primo Ministro, ndr] per un posto in un governo di destra “. Horowitz ha anche esortato i membri laburisti a unire le forze con il suo partito “per formare un’alternativa chiara e decisiva al governo di destra”. “Peretz ha ingannato i suoi elettori, truffato la sinistra israeliana, infangato una storia,  per finire a fare il vassallo di un governo spregevole”, rincara la dose la parlamentare del Meretz Tamar Zandberg.

Per il momento c’è stato un incontro tra i leader dei due partiti e un comunicato congiunto che prospetta “nella prima fase” la determinazione di “regole su un lavoro congiunto e coordinato all’interno della Knesset, con l’obiettivo di arrivare alla fusione delle parti“. Si apre così uno scenario in cui il partito di Gantz e il Labour potranno presentarsi uniti alle prossime elezioni, un tema sul quale sono stati incaricati di lavorare Avi Nissenkorn del partito centrista e il laburista Itzik Shmuli.

Il tutto mentre la coalizione Blu-Bianco si sfarina. Semplicemente, non esiste più. I due partiti anti-Netanyahu della coalizione, Yesh Atid guidato da Yair Lapid e Telem capeggiato da Moshe Ya’alon, hanno annunciato il passaggio all’opposizione, lasciando gli alleati di Israel Resilience, il partito di Gantz. La comunicazione è stata formalmente data nelle sedi di assemblea e in Aula c’è stato il voto contrario, insieme ai laburisti e alla destra nazionalista e laica, di Yisrael Beiteinu dell’ex ministro della Difesa, Avigdor Lieberman. Lapid ha spiegato che “la crisi causata dal Coronavirus non ci dà il diritto o il permesso di abbandonare i nostri valori. Non si può strisciare in un governo del genere e dire che l’hai fatto per il bene del Paese”.  E ancora: “Ciò che si sta formando oggi non è un governo di unità nazionale e non è un governo di emergenza. È un altro governo di Netanyahu. Benny Gantz si è arreso senza combattere”. “I risultati delle elezioni hanno dimostrato che Israele aveva bisogno di quell’alternativa come noi abbiamo bisogno dell’aria per respirare. Volevamo realizzare un cambiamento, creare una speranza, iniziare un nuovo percorso. E Gantz ha deciso di interromperlo”, ha concluso il fondatore di Yesh Atid, formazione centrista nata nel 2012 occupando un ruolo rilevante nel panorama politico con una precisa identità: contrastare Netanyahu. Per l’ormai ex alleato Ya’alon, quello di Gantz è un suicidio politico. Ma dello stesso avviso non è Amir Peretz, al quale, secondo gli ultimi boatos che giungono da Tel Aviv, dovrebbe spettare il ministero dell’Industria nel governo Netanyahu-Gantz. Un governo che dovrebbe realizzare promesse elettorali proprie della destra radicale israeliana, quale l’annessione della Valle del Giordano.

Diversa è la lettura di Cheim Shalev, analista di punta di Haaretz: “L’ultimatum di Netanyahu a Benny Gantz sull’annessione, che ha ostacolato la formazione di un cosiddetto “governo di unità nazionale”, è così assurdo da rafforzare i diffusi sospetti che sia tutto uno stratagemma. Netanyahu, secondo questo punto di vista, ha piantato la bandiera dell’annessione nei suoi colloqui con Gantz in modo da far esplodere i colloqui della coalizione all’ultimo momento e ridurre le possibilità di raggiungere un governo di emergenza. Inoltre, sembra credere Netanyahu, l’opposizione di Gantz all’annessione di tutte le aree presumibilmente stanziate per Israele nel Deal of the Century di Donald Trump servirà da martello con cui Netanyahu potrà castigare Gantz e il centrosinistra come disfattisti in vista della quarta consecutiva campagna elettorale, che, secondo questo scenario, è sempre stato l’obiettivo finale del primo ministro. La spiegazione alternativa è ancora più spaventosa: Netanyahu è serio. Vuole scolpire la sua “eredità”, sostengono i suoi più stretti collaboratori, e sfruttare quelli che potrebbero benissimo essere gli ultimi mesi del suo amico e indefesso sostenitore Donald Trump. È così che Netanyahu vuole conquistare Eretz Israel (la Terra di Israele, ndr): non con la sofferenza, come insegna il Talmud, ma con il sotterfugio e la cavalleria, con le benedizioni di un presidente degli Stati Uniti spericolato e sotto la copertura di una terribile malattia che affligge l’umanità”.

Ma il generale Gantz sembra aver ceduto anche su questo. L’idea, scrive Haaretz, è di presentare il piano al governo dopo aver prima incassato il sì di Washington. A quel punto la bozza di annessione passerebbe alla Knesset per ottenere la maggioranza. L’ok della Casa Bianca sembra essere pura formalità: l’amministrazione Trump non ha mai nascosto la sua apertura per l’annessione delle colonie israeliane e della Valle del Giordano. Anzi, l’ha resa ufficiale con il cosiddetto “Piano del Secolo” presentato a gennaio dal presidente statunitense Donald Trump che permetterà a Israele di annettere grandi aree della Cisgiordania in cambio del riconoscimento di un frammentato, minuscolo e isolato Stato palestinese che non avrà controllo né dei suoi confini terrestri né del suo spazio aereo.

 

Foto: Jack Guez / AFP

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