Chaouki: quanti ostacoli e arbitrii
sul cammino della cittadinanza

La notizia è secca, poche righe, essenziale, rilanciata dal Gazzettino di Venezia, riportata in un trafiletto da la Repubblica nell’edizione nazionale del 30 gennaio: «Non riesce a leggere il giuramento/ il sindaco leghista nega la cittadinanza». La sostanza è che un operaio marocchino, in Italia da ben ventun anni, non è stato in grado di pronunciare la formula di rito, per il semplice fatto che quando si è trovato tra le mani il foglio con le poche parole predisposte dall’ufficiale dell’anagrafe non avrebbe saputo leggerle.
«Non sono mai andato a scuola» si è giustificato l’uomo con un po’ di imbarazzato ma anche vagamente stupito. E allora Damiano Zecchinato, sindaco leghista di Vigonovo in provincia di Venezia, ha deciso di sospendere l’atto e di rinviare la cerimonia per l’attribuzione della cittadinanza di altri sei mesi.
Come andrà verso la fine di giugno non è dato saperlo. Difficile però che l’uomo sia in grado di leggere per quella data. Forse dovrà imparare a memoria la formula. Il punto è che l’episodio mette in evidenza quanto ancora in Italia sia debole lo strumento dell’accoglienza e dell’inclusione e dei relativi diritti di cittadinanza per chi sia immigrato e, in particolare, per quanti provengano non da aree geografiche forti.
Dei problemi della cittadinanza abbiamo perciò pensato di ragionare con Khalid Chaouki, appena trentenne, nato a Casablanca, in Marocco, ma cresciuto tra Parma e Reggio Emilia, leader dei Giovani Musulmani d’Italia e oggi candidato nelle liste del Pd alla Camera, uno dei rappresentanti dei “nuovi italiani” e di un’Italia che ormai parla molte lingue, come ha evidenziato anche un articolo di Stefano Bartezzaghi il primo febbraio su la Repubblica.

Quali insegnamento trai da questo episodio?

Innanzitutto che oggi non c’è un percorso di promozione o accompagnamento alla cittadinanza, come succede in altri paesi europei. Ma negli Stati Uniti, ad esempio, chi decide di diventare cittadino e prendere cittadinanza ha un percorso molto chiaro e si dà molta importanza al tema della lingua, delle regole e della cultura de Paese in cui s’approda. Ma c’è anche un’istituzione che offre questa possibilità e quindi i criteri sono anche più leggibili e concreti.

E del caso specifico di Vigonovo cosa pensi?

Questa storia, molto triste purtroppo, da un lato evidenzia quanto sia importante prevedere dei percorsi di accompagnamento alla cittadinanza per chi fosse interessato, perché non è affatto concepibile che dopo vent’anni una persona non sia ancora in grado di leggere poche righe, ma dall’altro c’è anche da rilevare – al di là del caso specifico in cui non so quanto sia stato strumentale l’azione del sindaco leghista e perciò andrebbe quantomeno indagato il caso nel dettaglio, ed io non ho altri riferimenti – che il messaggio che noi dobbiamo dare è che la cittadinanza è una scelta e questa scelta personale, soggettiva, e in quanto tale deve essere ancor più valorizzata, aiutata offrendo la possibilità a chi vuol diventare cittadino oggi di poter usufruire di corsi specifici di lingua, di cultura e di educazione civica come avviene negli altri paesi europei. Uno arriva in Italia e si può iscrivere a una scuola e ha delle agevolazioni.

In Italia non è ancora pienamente così?

Sì. La scelta di diventare cittadino a tutti gli effetti non deve e non può esser vissuta come un esame, bensì come uno strumento per essere pienamente e completamente cittadini consapevoli. Deve essere uno strumento di inclusione e no di discriminazione. Oggi è invece totalmente discrezionale.

In che senso “discrezionale”?

Nel caso specifico di Vigonovo, la persona che è arrivata davanti al Sindaco aveva già in mano un decreto del Presidente della Repubblica, già vagliato e verificato in tutti i passaggi formali e burocratici, quindi il fatto in sé evidenzia un vero paradosso perché, teoricamente, il Presidente della Repubblica firma il decreto di questa importanza, ma al tempo stesso emergono anche le falle che ci sono in questo sistema in quanto possiamo assistere con i nostri occhi a molti momenti di negazione del diritto di cittadinanza per motivi che ci sono del tutto sconosciuti. Il punto è che quella della cittadinanza viene ancora considerato una concessione, non un diritto. Quindi ci vorrebbe più trasparenza, sia al momento della richiesta sia da parte dello Stato nel motivare eventualmente l’esito, la risposta in modo giusto e uguale per tutti.

Approfitto per chiederti anche un parere o una valutazione dell’inchiesta del 25 gennaio scorso di Repubblica sui Fratelli musulmani che formerebbero in qualche modo tra loro un’associazione di “mutuo soccorso” e nei confronti di chi si trova in difficoltà, ma tutto ciò viene visto con sospetto. Si parla esplicitamente di «avanzata dell’Islam radicale alla conquista dei consensi» e di «Fratelli che si infiltrano tra gli immigrati» sembrerebbe per fini eversivi. Qual è la tua percezione del fenomeno descritto dal giornale?

Devo dire la verità che era da tempo che non si leggevano inchieste di questo genere in cui in modo un po’ approssimativo si dipinge un’intera comunità, un milione e mezzo di musulmani come soggetti facilmente influenzabili, coinvolgibili in operazioni di questo tipo. Penso che questi schemi non aderiscano a una realtà che è invece molto più complessa. La realtà musulmana in Italia – e lo dico in quanto musulmano e membro della Consulta – è molto frammentata al suo interno, a parte il fatto che c’è anche un presenza forte anche di religiosi ma anche di laici. In quell’inchiesta noto sostanzialmente una sopravvalutazione – a mio avviso – dell’organizzazione da parte dei musulmani nella sua ramificazione qua in Italia e invece una sottovalutazione di quelli che sono, semmai, i criteri fondamentali in tema di trasparenza dei finanziamenti delle Moschee. Ad esempio, di quali siano i rapporti tra alcune realtà e i Paesi d’origine. Il punto non quello di dipingere il fruttivendolo egiziano come la potenziale antenna di un’organizzazione internazionale. Penso che chi frequenti oggi le pizzerie o i locali abbia la percezione netta che si tratta di lavoratori che, innanzitutto, hanno la preoccupazione di arrivare alla fine della giornata e, in sostanza, di poter risparmiare qualche soldo per la propria famiglia.

Quindi nessun pericolo reale?

Diciamo che il pericolo islamista che può derivare da queste modalità organizzative lo ritengo ormai un modello ampiamente superato e smentito dai fatti di tutti questi anni. Dall’11 settembre in poi in Italia, per fortuna, non abbiamo avuto nessun tipo d’inchiesta vera giudiziaria su pericoli di questo genere. Figuriamoci oggi, in cui la preoccupazione vera dei governi dei Paesi musulmani è quella di avanzare proposte serie in termini di occupazione, economia, per i giovani. Tutto questo, invece, denota come sia grande la difficoltà in cui versano questi movimenti. Non c’è automatismo tra quelle realtà e l’Italia dove invece abbiamo una società musulmana molto radicata sul territorio e che sta facendo molti sforzi per raggiungere la trasparenza, l’autonomia del pensiero e in alcuni casi anche l’autonomia dall’organizzazione. Si tratta tutt’altro che di una realtà ghettizzata o facilmente monopolizzabile da un movimento piuttosto che un altro.

C’è troppa spy story dietro, troppi stereotipi secondo te, alimentati da cattiva letteratura?

Certo, capisco l’esigenza a volte di cercare il titolo a tutti i costi…, però non possiamo parlare di musulmani oggi senza parlare delle seconde generazioni per esempio, che in molti casi, è normale che sia così, vivono anche conflitti interni sia alle loro stesse comunità, sia alle proprie famiglie perché decidono di fare scelte diverse. Non possiamo parlare di musulmani nell’Italia di oggi senza parlare degli esempi straordinari di alcune realtà, senza parlare del ruolo e del lavoro del volontariato di alcune comunità anche in zone come quelle del terremoto in cui, per esempio, si sono attivate per il bene comune, in momenti fattivi di solidarietà e sostegno e tutti in modo indifferente. Certo, poi ci possono essere sicuramente delle linee di collegamento, fondamentaliste, eccetera. Ma da lì a dipingere questa realtà come egemone, così efficiente, a me sembra che sia un gran bel salto.

  1. sono un Italiano residente in Libia dal 2002. Gli Islamici estremisti collegati con i loro fratelli in Nord Africa e sostenuti da altri Paesi Arabi, stimano che nel 2035 in Italia, tra prolificita’ Musulmana ed immigrazione vi saranno cca il 25% di Musulmani Italiani.
    Sufficienti per pesare nella ns politica, sostengono, e la punta di diamante dell’islamizzazione del Paese. Le intelligences Europee inviano regolarmente rapporti allarmanti che vengono ignorati.
    Dobbiamo ridurre a 4 o 5 anni il diritto alla cittadinanza per aiutare questo disegno.

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