L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Iperbole

Andare oltre il vero, esagerare o ridurre i connotati di ciò che si intende comunicare, mantenendo però una qualche somiglianza con il dato cui si fa riferimento. Quando si dice che le grida salivano fino alle stelle, si esagera sapendo di esagerare e si è consapevoli di non poter essere presi alla lettera. Si potrebbe anche dire che si sta usando una metafora riconoscibile, dal momento che nessuno pensa realmente che si possa affogare in un bicchiere d’acqua, non vedere al di là del naso, essere accecati dall’ira.
Tecnicamente metafore esagerate di questo tipo vengono denominate iperboli e, come per tutte le figure retoriche, la loro interpretazione dipende essenzialmente dal contesto. Se discutiamo in una sartoria della possibilità che un cammello passi per la cruna di un ago, probabilmente siamo semplicemente stupidi, ma se ne parliamo a proposito del destino dell’uomo e della sua possibilità di salvezza, può anche succedere di ottenere successo per almeno qualche millennio.
Poniamo che un giorno passi dalle nostre parti il rappresentante di una cultura in cui ancora è difficile tollerare la nudità, soprattutto se femminile, e allora si invitano le donne presenti a indossare una casta gonna lunga fino alle ginocchia e giacche sobrie senza alcuna scollatura. La cosa passerebbe inosservata. Poniamo che nei dintorni si trovino statue di donne che mostrano seni di marmo assolutamente riconoscibili per quello che rappresentano, e allora facciamo in modo che l’ospite percorra un’altra strada, oppure venga tenuto lontano in modo che nessuna fotografia possa riprenderlo nella stessa inquadratura con tette nude, marmoree certo, ma sempre tette. La cosa passerebbe inosservata.
Se la cosa passa inosservata, nessuno parla di un possibile confronto culturale con una visione del mondo e degli esseri umani dove sembrano emergere – se si può dire – evidenti elementi di repressione, nessuno si rende conto delle sciocchezze che ci si è trovati costretti a compiere, nessuno viene invitato almeno a sorridere di questa paura del corpo femminile. Qualche settimana fa si era parlato in fondo della stessa cosa, mediante quella che si potrebbe definire un’iperbole, cioè le vicende accadute sulla piazza di Colonia, una specie di stalking di massa, triste, notturno, pesante, fastidioso.
Invece gli enormi scatoloni messi intorno alle marmoree tette romane sono una fantastica iperbole, allegra, solare, divertente. Ha richiamato l’attenzione di tutto il mondo; decine di giornali, magari per criticare la scelta italiana, hanno parlato della repressione presente in certe tradizioni culturali; persino giovani iraniani sono intervenuti su siti in rete per dire la loro e discutere di un tema che non è rimasto nascosto. Qualcuno ha detto che quegli scatoloni rappresentano una rinuncia alla nostra cultura per prostrarsi davanti al potente di turno che può portarci affari e monete sonanti. Ma forse è successo esattamente il contrario e, dando l’impressione di inchinarci, abbiamo fatto capire che il re è nudo, che in certe tradizioni culturali esistono ancora problemi che è lecito auspicare vengano superati.
Sarebbe stato provocatorio e maleducato fare sfilare donne nude davanti all’ospite che veniva dalla lontana Persia e nessuno correttamente avrebbe potuto aprire una discussione che non era per nulla all’ordine del giorno. Tuttavia gli scatoloni hanno ottenuto proprio il risultato di trasformare fredde bellezze marmoree in magnifiche nudità reali. Probabilmente la nostra cultura è fortemente nutrita di iperboli e allora usiamole. Evviva le iperboli.

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