Alle 10 del mattino del 13 maggio del 2022, il giorno del trentasettesimo compleanno di Iryna Horobtsova, la vita dei suoi genitori Volodymyr e Tatyana è cambiata per sempre. In una Kherson allora occupata, a tre mesi dall’inizio della guerra, un gruppo di soldati russi ha bussato alla loro porta e ha cominciato a rovistare ovunque, a controllare i cellulari, a chiedere i documenti, a chiamarli nazisti. Nel giro di dieci minuti avevano sequestrato un computer portatile, due telefoni, incappucciato e portato via la loro figlia.
“Abbiamo fatto in tempo solo a chiedere dove l’avrebbero condotta – racconta oggi Tatyana, 75 anni, insegnante di fisica e astronomia in pensione – e ci hanno risposto che avremmo dovuto rivolgerci al comandante militare della città. Ci siamo andati di persona ma non abbiamo avuto informazioni. Allora abbiamo scritto due lettere di richiesta ufficiale, una indirizzata al Comitato centrale della sicurezza di Mosca e l’altra a quello di Simferopol: da Mosca ci hanno risposto che era stata arrestata con l’accusa di opposizione all’operazione speciale e che non dovevamo più cercarla”.
Secondo i dati raccolti dal Centro per le libertà civili (Clc) in Ucraina, un’organizzazione per i diritti umani fondata nel 2007 che dal 2014 ha documentato i crimini di guerra durante il conflitto in Crimea, Donetsk e Luhansk, e dal 2022 anche quelli avvenuti nel corso dell’invasione su larga scala, sono almeno 7mila i civili oggi detenuti illegalmente, ma solo per 1.600 di loro è stata confermata la detenzione. Altri 5.400 che risultano persone scomparse potrebbero essere nelle stesse condizioni.
Nel 2023 il ministero degli Interni ucraino ha istituito il Registro unificato delle persone scomparse in circostanze particolari, che include i casi di sparizione in situazioni di conflitto armato, operazioni militari, occupazione del territorio da parte di forze straniere, emergenze naturali o causate dall’attività umana. Un anno dopo, nel 2024, in questo elenco erano stati raccolti 14mila nomi, un numero che oggi è leggermente diminuito perché alcuni dei soggetti inseriti sono stati poi ritrovati senza vita o, seppure raramente, rilasciati se detenuti. In ogni caso si tratta di stime non esatte, perché la Federazione Russa tende a non fornire informazioni sulle persone sotto custodia e a non garantire nemmeno alla Corce Rossa internazionale o ad altre organizzazioni un contatto diretto con questi detenuti.
“Siamo andati in Crimea perché volevamo capire di persona cosa le stesse succedendo – raccontano ancora i coniugi Horobtsova, genitori di Iryna – e lì abbiamo saputo dove si trovava. Allora ci siamo organizzati con un avvocato per cercare di seguire al meglio il suo caso, e questa volta ha scritto lui una nuova lettera per richiedere informazioni; la risposta è arrivata ma era sempre la stessa, ci ribadivano che nostra figlia non era in pericolo di vita ma che non potevano dire altro perché il suo caso era coperto dal segreto di Stato“.
Per due anni Volodymyr e Tatyana non sono riusciti ad avere notizie sulle condizioni della ragazza, né tantomeno hanno potuto avere un qualunque contatto con lei. Solo dopo hanno saputo che per tutto quel tempo aveva ricevuto pressioni affinché firmasse un documento, presumibilmente una falsa confessione, in cambio di qualche diritto in più, ma che lei si era sempre rifiutata. Dopo più di 700 giorni di carcere alla fine aveva firmato, “guadagnandosi” la possibilità di scrivere per la prima volta alla famiglia.
“Ci ha detto che ha perso 20 chili, che le davano poco cibo, che stava male e che per questo si era decisa a firmare ciò che le chiedevano – racconta Volodymyr – da quel momento abbiamo avuto la possibilità di mandarle qualcosa, anche se far arrivare un pacco dall’Ucraina alla Crimea è molto complicato”.
L’anno scorso, dopo due anni di detenzione preventiva, si è svolto il primo processo a suo carico, è stata accusata di attività di spionaggio svolta fra il 2022 e il 2024 e condannata a dieci anni. “In pratica l’hanno accusata di aver passato informazioni nel periodo in cui era già sotto la loro custodia – spiega Tatyana – una cosa impossibile, eppure la sentenza è stata questa”.
Il 31 marzo di quest’anno c’è stato il processo d’appello a Mosca, e la condanna è stata confermata. Il nostro avvocato ha potuto assistere ma come privato cittadino, non come difesa di parte. Lei non ha avuto diritto a un legale. Ora stiamo aspettando che la riportino a Simferopol per poter nuovamente comunicare con lei”.
Dall’anno scorso, dopo la condanna, a Iryna Horobtsova è stato concesso di ricevere visite, ma per i genitori anziani è un viaggio estenuante: Kherson non è lontana dalla Crimea, ma dall’Ucraina ai territori occupati non si può passare, e quindi dovrebbero andare in Georgia e da lì in Russia. L’unica consolazione è che tramite dei volontari che la incontrano, possono mandarle cibo, farmaci, e soprattutto sapere come sta. “Adesso per fortuna non patisce la fame come è accaduto per i primi due anni”, dice la madre.
“Come Clc ci stiamo concentrando sulla protezione dei civili ucraini che gli occupanti russi hanno illegalmente privato della libertà – spiega Mykhailo Savva, professore di Scienze Politiche e membro del Consiglio degli esperti del Centro per le libertà civili – si tratta di persone che non hanno preso parte alla guerra, non hanno mai combattuto, che un giorno semplicemente spariscono, non si sa perché. Molti vengono catturati nei territori occupati e poi trasferiti nella Federazione Russa, spesso senza alcuna decisione di un tribunale. Si può dire con certezza che siano diverse migliaia, ma in generale alla domanda sulle statistiche di guerra non c’è mai una risposta esatta. In questo caso la Russia non rispetta il diritto umanitario internazionale e non informa dei prigionieri il Comitato Internazionale della Croce Rossa”.
La recente identificazione del corpo mutilato e con segni di torture della giornalista Viktoriia Roshchyna, fra quelli restituiti nell’ambito di uno scambio fra Russia e Ucraina nel febbraio scorso, ha riportato alla luce il tema delle detenzioni dei civili nei territori occupati e dei rischi che corrano nella totale assenza di diritti umani.
“L’obiettivo è trovare queste persone, ed è molto difficile. Come CLC forniamo ai parenti degli scomparsi le istruzioni su come e a chi rivolgersi in questi casi – continua Savva – ma l’aiuto più importante ci arriva dai nostri amici e collaboratori russi, volontari e avvocati. Non posso entrare nel merito del loro lavoro per non metterli in pericolo, ma posso dire che il loro contributo è fondamentale, oltre che un vero atto di eroismo. Il ruolo dei legali russi è essenziale quando viene intentato un procedimento penale ufficiale a carico di un cittadino ucraino prelevato e detenuto: dall’inizio dell’invasione su larga scala sono stati più di 600, e oltre la metà riguardavano civili”.
Ad informare la famiglia di Mykola Petrovsky, 32 anni, anche lui di Kherson, che il figlio era detenuto a Simferopol con l’accusa di spionaggio è stato proprio un avvocato russo. “Abbiamo ricevuto una sua telefonata in cui ci ha detto che Mykola era sotto custodia in Crimea – ricorda la madre Liubov – erano passati già sei mesi da quando lo avevano prelevato, e da allora non avevamo più saputo nulla”.
L’incubo di questa famiglia è cominciato il 27 marzo 2022, quando il giovane esce di casa per andare ad aiutare nella distribuzione di cibo e acqua in una città sotto assedio e poco dopo interrompe le comunicazioni. Il giorno dopo all’alba torna a casa scortato dalle forze di sicurezza russe, con segni di percosse e macchie di sangue sui vestiti. La casa viene perquisita e alcuni oggetti sequestrati, Mykola portato via insieme al padre. Entrambi saranno interrogati, separatamente, ma solo il padre verrà rilasciato. L’ultimo contatto con la famiglia avviene il 29 marzo, due giorni dopo, quando Mykola telefona alla madre da un numero sconosciuto e fa in tempo a dire solo di essere vivo prima che la chiamata venga interrotta.
Dalle notizie che la famiglia è riuscita ad avere, il giovane volontario è stato sotto processo per due anni, e il 13 febbraio 2024 ha ricevuto una sentenza di condanna a 16 anni da scontare in una colonia penale. Tutte le richieste d’appello finora presentate non sono mai state considerate.
“Alcuni anni fa Mykola aveva subito l’amputazione parziale di un piede a seguito di un incidente d’auto – racconta la madre – ma nonostante la disabilità sappiamo che in carcere non riceve alcun tipo di assistenza medica. Ha anche altri problemi di salute, ha avuto un’infezione batterica molto grave ed è dimagrito tanto. E io continuo a temere per la sua vita”.
Nell’ultimo anno la famiglia è riuscita a inviargli delle e-mail e a ricevere delle risposte, ma non lo vede dal momento dell’arresto. I genitori sono convinti che il figlio sia stato torturato al momento dell’arresto, e che le torture siano continuate in carcere.
“A volte la fonte principale di informazioni su questi detenuti sono le persone che si trovano nei territori occupati, oppure che sono fuggite da lì e sono arrivate in Ucraina o nei paesi europei – dice Savva – si tratta di casi che avvengono al di fuori di qualunque procedura di garanzia”.
L’unica speranza alla quale le famiglie si aggrappano per un eventuale rilascio è lo scambio di prigionieri. La “colpa” di Mikola e Iryna è stata quella di esporsi come volontari: lui andava a consegnare il cibo casa per casa nelle zone sotto assedio e lei portava medicinali in ospedale per i feriti, e a volte accompagnava i medici con la sua auto. Nei suoi profili social si era anche espressa contro l’occupazione.
“Conosciamo molte famiglie nelle nostre condizioni – dice la madre di Iryna – che hanno visto sparire figli giovani. Ognuno poi ha avuto il suo destino, alcuni sono stati trattenuti per un certo periodo e poi rilasciati, nostra figlia è stata sfortunata. Come il suo bisnonno, di origine italiana, arrestato nel 1938 con l’accusa di spionaggio e poi ucciso. In qualche modo, la storia si ripete“.
Immagine di copertina: Museo della Guerra di Dnipro. (Foto di Ilaria Romano)