Foto di Jacques Mourad (Wikimedia Commons)
Quella di Jacques Mourad, oggi arcivescovo di Homs, è una voce che ha sempre denunciato il sistema degli Assad, i suoi crimini sistemici. È stato così fin dal 2011, quando i siriani decisero di far sentire la propria voce, di dire basta. Cofondatore, con padre Paolo Dall’Oglio, della Comunità monastica di Mar Musa, dedita al dialogo islamo-cristiano, non ha mai smesso di stare dalla parte dei tantissimi che chiedevano un sistema inclusivo, non settario, o confessionale, ma basato sul rispetto dei diritti umani. Padre Mourad è stato anche sequestrato dall’Isis e poi rocambolescamente salvato da un amico musulmano, che lo ha portato in salvo attraverso il deserto in motocicletta; può aiutarci a capire qualcosa di più, soprattutto se i timori per il futuro della Siria sono fondati? Si vanno definendo aree di influenza nel Paese? Vengono ipotizzate nel nord-est, dove gli americani affiancano l’autonomia curda, sulla costa, dove permane una presenza russa che potrebbe sostenere gli alawiti, nel vasto centro-nord dove si espandono i turchi con il concorso del governo di Damasco, o nel sud dove è presente Israele e un noto malessere druso?
Cosa vede padre Jacques Mourad dal suo osservatorio privilegiato di Homs? È la città martire, anche perché geograficamente cruciale nel collegamento tra centro e nord della Siria, sulla strada che porta da Damasco ad Aleppo, le due grande città siriane.
Raggiunto telefonicamente non esita a partire da qui, dai fatti che vede. Si capisce subito la preoccupazione, visto che afferma che “la situazione non migliora, anzi si vedono sempre più di frequente attori stranieri, (jihadisti venuti dall’estero, Ndr) che arrivano dai confini aperti tra Siria e Turchia e che hanno metodi sempre più duri”. “Così le prigioni si riempiono nuovamente, come nei tempi passati – sottolinea Mourad – torna la tortura, come la corruzione necessaria per salvare propri congiunti o parenti”. Era così, ricorda, e sta tornando così. Racconta di un suo parrocchiano che è stato tre giorni in prigione: “Solo pagando i suoi sono riusciti a farlo liberare, ma quello che è tornato a casa è un uomo dal corpo martoriato”.
Se questo è il quadro, non stupisce che Mourad dica che a fari spenti “sta proseguendo anche l’operazione contro gli alawiti sulla costa, della quale sappiamo pochissimo dopo i pogrom di circa un mese fa (innescati dalle gravissime provocazioni armate dei nostalgici di Assad e del suo regime feroce, ndr) quando ne furono uccisi oltre mille, indiscriminatamente. Non è finita”. Come è noto molti alawiti – la comunità dalla quale proveniva Assad e molti suoi gerarchi – subito dopo il massacro sono fuggiti nel vicino Libano, e il governo centrale ha istituito una commissione d’inchiesta di cui però ancora non si sanno gli esiti. Così un’affermazione di tale gravità non può che allarmare.
“Il contesto sociale in cui accade tutto questo rimane quello che era, non riesce a cambiare. La gente non ha da mangiare, gli uffici funzionano per modo di dire, quasi tutto si basa sulla negoziazione settaria, clientelare”, spiega. “Ma il più grave portato di questo disastro economico non può che essere quello di una malavita che rafforza ed espande i suoi tentacoli, il settarismo si esaspera, le bande armate imperversano e le rapine non possono che entrare nella quotidianità”.
Allargando lo sguardo alla Siria centro-settentrionale, padre Jacques esprime la preoccupazione che, oltre alle forze armate turche che Ankara intende, come è noto, dislocare in posizioni cruciali per il controllo di questa vasta area siriana, possa incrementarsi ulteriormente la presenza di combattenti stranieri. “Per quelli già presenti da tempo si parla di ‘ricongiungimenti familiari’ con i loro parenti diretti, che entrerebbero dunque in Siria attraverso la Turchia da tanti Paesi dove la vita è altrettanto o più difficile – sottolinea Mourad, che aggiunge – con quelli che arriveranno, se lo faranno, accadrà lo stesso?” Riferisce di una voce allarmante, la quale fissa “in 20-25mila gli stranieri che, nei numeri complessivi, potrebbero andare a rafforzare questi contingenti ibridi di controllo del Paese”.
La base di Palmira, molto citata nei giorni passati per l’attacco missilistico israeliano, sarebbe comunque il luogo da cui le forze turche punterebbero ad assumere il controllo dell’area. È un centro strategico per muoversi in tutta la Siria centrale. Ma la questione cruciale a suo avviso è Aleppo. Creare una situazione di controllo militare del nord che consenta ai turchi di avere una supervisione su Aleppo realizzerebbe un vecchio sogno turco: allargare fino a quella città la loro zona di influenza.
Al riguardo è stato trovato in questi giorni un accordo militare tra Damasco e i curdi siriani, che ovviamente non vorrebbero una forza predominante turca. È stato uno sviluppo molto importante, sebbene sia noto che creare una situazione di controllo militare del nord che consenta ai turchi di avere una supervisione anche su Aleppo realizzerebbe un vecchio sogno turco: allargare fino a questa città la loro zona di influenza. Uno scenario che, a pensarci bene, si può cogliere nelle parole dello stesso presidente Trump che giorni fa, esprimendo un chiaro apprezzamento per Erdogan, ha aggiunto sulla Siria che lui “l’ha rilevata tramite surrogati”.
Padre Jacques non si esprime sulle importanti intense militari, ma ricorda che “la limitrofa fascia siriana di confine con la Turchia più a est, oggi controllata dai curdi, è quella da sempre maggiormente appetita dai grandi attori perché ricca di risorse del sottosuolo”. La situazione è in divenire, l’assetto definitivo delle possibili aree di influenza non c’è ancora, ma certo l’influenza turca si espande e il perimetro del prossimo futuro appare questo.
Proprio in questa porzione di Siria oggi controllata dai curdi, ma molto vicina alla Turchia, si trovano i campi dove vivono in condizioni terribili 9mila ragazzi ormai in età da servizio militare nati da mogli di ex membri dell’Isis e 42mila loro familiari, donne o minori. Quale sarà il loro destino? Quei campi ormai sono aree esplosive, molti li definiscono “bombe ad orologeria”. Inoltre ci sono, agli arresti, 2mila miliziani. Proprio in queste ore l’autorevole sito specializzato in informazione sul Medio Oriente, Al Monitor, conferma un piano, non ancora approvato in via definitiva a Washington, per cui la presenza statunitense verrebbe dimezzata (attualmente i militari americani presenti sono circa 2mila), circoscrivendola in gran parte a compiti di supervisione delle prigioni controllate dai curdi. Ciò sarebbe una conseguenza delle recentissime intese militari raggiunte tra i curdi siriani e il governo di Damasco. Una scelta probabilmente accettabile da Ankara e che non abbandona i curdi.
La volubilità della situazione è evidente, le negoziazioni sono in corso, il comandante dei curdi, Mazlum Kobane, ha rilasciato un’importante intervista molto conciliante con le autorità di Damasco sulle negoziazioni militari, ma che non rinuncia a richieste importanti sul fronte costituzionale e sull’autonomia amministrativa.
Un altro tema che non può tralasciare è quello dei soldati del vecchio esercito, l’esercito di Assad: “è un’ulteriore emergenza politico-umanitaria perché per loro non ci sono garanzie di un processo equo, ma il pericolo di giustizia sommaria, al di là delle loro reali responsabilità nei terribili crimini perpetrati negli anni passati”.
La preoccupazione di padre Jacques Mourad è quella di ribadire comunque i valori della nuova Siria, quella che trasversalmente alle comunità, indifferente alle negoziazioni clientelari, tanti siriani hanno lottato per anni perché si affermassero. Il governo recentemente varato da al-Sharaa con la presenza di un cristiano, un druso, un curdo e un alawita gli appare come un governo del suo blocco islamista con l’aggiunta di un po’ di prezzemolo per rendere più elegante la pietanza. Non esprime giudizi definitivi sulle persone: riconosce che quelle che vengono usate sono presentabili, però non possono sviare dai fatti reali, quelli concreti, che vanno in tutt’altra direzione; lui è sicuro che in molti lo sappiano e invita a “non avere paura di dire ciò che si sa, che ognuno vede”. Tutelare la volontà diffusa di non portare il futuro a imboccare la strada che riporta al passato si fa anche, o soprattutto, così.
Immagine di copertina: il campo profughi di al-Talaeh nella provincia nord-est di Hasakeh, il 13 luglio 2023. (Foto di Delil souleiman / AFP)