Vertice sulla Siria, Kerry incontra l’opposizione: “Assad deve lasciare il potere”

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Ventiquattro ore in cui recuperare una leadership e scendere nel campo siriano. John Kerry è arrivato in Europa, e a Roma, per questo ed è questo, forse, l’unico dato realmente nuovo uscito dalla riunione sulla Siria a Villa Madama.

L’impegno ufficiale degli Stati Uniti è iniziato verso le otto di mattina di ieri, all’Hotel Excelsior. A quell’ora, infatti, il nuovo segretario di Stato Usa si è fatto fotografare nel corso di un incontro a latere con il leader della Coalizione siriana, Ahmed Moaz al-Khatib. Un’immagine rilanciata dalla pagina Twitter del Dipartimento di Stato che ha preceduto la foto di gruppo al termine della Riunione ministeriale ristretta alla Farnesina: al Khatib alla destra di Kerry e Giulio Terzi, entrambi visibilmente soddisfatti.

Un esito praticamente annunciato quello del vertice di alto livello, che ha fatto esprimere parole di soddisfazione al leader siriano, ma che non è riuscito a strappare la garanzia più importante, cioè quella di armare le forze dell’opposizione.

“Date al popolo rivoluzionario ogni mezzo per difendersi”, era stato l’appello di al Khatib, altrimenti, aveva dichiarato in un’intervista a Repubblica, si corre il rischio che la Siria sia “un cumulo di macerie”, per anni. Del resto, i fatti vanno ormai in quella direzione: “Dai crateri degli scud e i quartieri rasati dai bombardamenti aerei e dall’artiglieria di Bashar, vi annuncio che vi siete giocati la Siria”. A twittarlo, alla vigilia del vertice romano, nei classici 140 caratteri, è  Padre Paolo Dall’Oglio, rientrato in questi giorni nel Paese, clandestinamente.

La riunione romana è arrivata, infatti, nel mezzo dell’inasprimento delle operazioni militari, mentre  lealisti e ribelli continuano a combattere per la città di Aleppo, zona nodale per il controllo del nord del Paese e delle infrastrutture. Settanta le vittime fra i bambini, in pochi giorni, “a causa di attacchi missilistici nelle zone residenziali”, e anche l’Unicef grida: “non possiamo più continuare ad essere testimoni di una crisi che da due anni martorizza il Paese”.

Stop alle violenze e via Assad

“Non guardate alla lunghezza della barba dei combattenti ma al sangue dei bambini, mescolato al pane dei forni bombardati” è l’appello rivolto da al Kahtib anche alla stampa, di fronte alle accuse di terrorismo giunte ai ribelli dal regime siriano, ma anche di fronte ai timori serpeggianti in Occidente, Stati Uniti in testa, che hanno rallentato l’intervento della comunità internazionale. A dicembre, il Fronte Jabhat al-Nusra è stato inserito nella lista nera della Casa Bianca  proprio per dare un segnale agli estremismi.

Ma al Khatib ha ricordato le origini pacifiche della rivoluzione e la reazione armata del regime, ammonendo di non voler “più sentir parlare di terrorismo”, né di “armi chimiche” perché “le distruzioni compiute dal regime vanno oltre quelle compiute con armi chimiche”.

Con in tasca un computo di circa 70mila morti in due anni (1.184.000, invece, i minori coinvolti a vario titolo nel conflitto, sempre secondo l’Unicef), il rappresentante dell’opposizione siriana ha invocato l’apertura di corridoi umanitari a Homs, assediata da 250 giorni, e a Daraa, bombardata da 100, e ha chiesto anche di impedire la fornitura di armi al regime “col pretesto di vecchi contratti”, come sta accadendo con la Russia.

In cima alla lista dei desiderata, però, due questioni: l’unità territoriale del Paese, definita una “linea rossa invalicabile”, e l’uscita di scena di Assad, conditio sine qua non per provare ad attuare qualsiasi tipo di transizione politica verso la fine delle ostilità.

È un’ipotesi, questa, che prende corpo non solo nella proposta dell’opposizione, già formulata al Cairo, ma anche tra gli “amici della Siria” che l’hanno accolta e nella parole di John Kerry che ieri, in conferenza stampa, ha parlato del presidente siriano come di un “leader disperato” che  “ha perso ogni legittimità”. “Il tempo è scaduto e Assad deve abbandonare il potere ”.

Armi, letali e non

Sciolti i dubbi sull’atteggiamento che terranno gli Stati Uniti da ora in poi, il segretario di Stato americano ha annunciato “a nome del presidente Barack Obama” 60 milioni di dollari di nuovi aiuti per l’opposizione siriana; “un’assistenza diretta e non letale” tradotta anche in viveri e medicinali, per “mantenere la stabilità” e “creare uno stato di diritto nelle zone liberate”. Il summit di Istanbul, previsto per sabato 2 Marzo, durante il quale nominare un governo provvisorio nelle regioni sottratte alle forze governative è, però, per il momento slittato.

Da parte europea è stato formalizzato l’impegno, già stabilito dal Consiglio dei ventisette ministri degli Esteri, di prolungare le sanzioni nei confronti del regime (fino al 1° giugno) allentando l’embargo sulle armi. “Armi non letali” aveva sottolineato, anche in questo caso, il ministro Terzi. Questo permetterà l’invio di veicoli blindati e equipaggiamenti militari alle forze di opposizione dell’Els. Un passo avanti rispetto a quanto stabilito a Washington dove il dibattito interno è piuttosto acceso, con una parte dei repubblicani che, in opposizione alle cautele della Casa Bianca, spinge sull’acceleratore.

La questione delle armi intriga non poco la stampa americana secondo cui gli Stati Uniti starebbero già sostenendo i ribelli sul campo, con una missione di addestramento di cui scrive il New York Times, citando fonti dell’Amministrazione. Ancora non chiari, però, né la portata, né l’obiettivo, né il Paese ospitante.

A fornire armi ci penserebbe, invece, sempre secondo il New York Times, la Croazia, attraverso l’Arabia Saudita, via Giordania. Si tratterebbe di eccedenze dalla guerra nell’ex Yugoslavia, quindi di armi leggere degli anni Novanta, come lanciagranate, fucili, mortai e missili anticarro, acquistate dai sauditi e fatte arrivare ai ribelli in Giordania. La notizia, smentita dai vertici croati, avrà ripercussione sul Golan, altra zona calda, perché i cento soldati di Zagabria impegnati nella missione Onu  per garantire il cessate il fuoco tra Siria e Israele saranno richiamati in patria a causa dei rischi cui potrebbero essere sottoposti ora, alla luce di quanto emerso.

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Nella foto: quartiere di Damasco distrutto dai combattimenti (foto di FreedomHouse, cc)

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