“United States, Europe and the case of Syria”, il nostro convegno online

Da Reset-Dialogues on Civilizations

La Siria e il ruolo che giocheranno Europa e Stati Uniti nel futuro del paese. Il tema, quanto mai attuale, è stato ampiamente analizzato in occasione del convegno “United States, Europe and the case of Syria”, organizzato dal Centro Studi Americani in collaborazione con Reset-Dialogues on Civilizations, l’Ambasciata Usa in Italia e Alitalia. Una tavola rotonda sugli scenari geopolitici che ruotano attorno alla questione siriana, una partita ben più ampia dei confini del paese.

A coordinare il dibattito il presidente del Centro Studi Americani Giuliano Amato che ha inquadrato la situazione e ha ricordato le oltre 50mila vittime accertate dall’inizio del conflitto e i più di 950mila profughi costretti a lasciare il paese, oltre a introdurre i relatori: l’ambasciatore Frederic C. Hof, Senior Fellow del Rafik Hariri Center for the Middle East of the Atlantic Council, Florence Gaub del Nato Defence College, l’ambasciatore Guido Lenzi, la ricercatrice ed esperta di media arabi Donatella Della Ratta e il giornalista Lorenzo Trombetta.

Frederic C. Hof
Secondo Frederic C. Hof, se Usa ed Europa sono interessati a sostenere una soluzione politica alla guerra in Siria devono appoggiare la formazione di un nuovo governo dell’opposizione, ma allo stesso tempo essere pronti a eventuali nuovi attacchi delle forze governative. Ex Consigliere speciale della Presidenza Usa per la Siria, e fra i promotori degli accordi di Ginevra del luglio scorso, Hof ha escluso però la possibilità di un intervento diretto sul territorio. Pur riconoscendo le divisioni interne alla Coalizione dell’opposizione, ha ricordato come la consapevolezza della presenza di più diverse non abbia impedito ai paesi occidentali di riconoscerla come interlocutore, anche se le divisioni sulla linea da tenere da parte di Francia e Gran Bretagna non hanno facilitato i rapporti, soprattutto rispetto alla questione dell’embargo e del sostegno ai “ribelli” attraverso l’invio di armi.

Rispetto agli scenari che si apriranno in una prossima fase di transizione, Hof ha ribadito che “Europa ed Usa hanno dato finora risposte inadeguate e discordanti, soprattutto di fronte all’alleanza tra Assad, la Russia, l’Iran e Hezbollah”. Un paragone non scontato, ripreso poi anche da Florence Gaub, è stato quello con la guerra di Bosnia del ’95 e poi del Kosovo del ’99: in entrambi i casi, come oggi sta accadendo con la Siria, la Russia aveva bloccato i tentativi di trovare una soluzione diplomatica e alla fine Usa ed Europa avevano agito senza la “benedizione del Consiglio di Sicurezza”.

In questo stallo, le lotte di potere stanno devastando il paese con conseguenze gravissime sulla popolazione, e ancora una volta la storia sembra ripetersi, e le grandi potenze si dividono. “E se in Bosnia la guerra avrebbe potuto finire prima – ha ricordato Hof – se gli attori internazionali avessero trovato un terreno comune, con la Siria è necessario non ripetere lo stesso errore”.

Allo stesso tempo Hof ammette che è difficile per l’Occidente identificare le forze che potrebbero diventare partner in un post- Assad. E dunque l’invio di armi potrebbe avere conseguenze imprevedibili. Inoltre “una leadership Usa oggi sembra improbabile, perché dopo le esperienze in Iraq e Afghanistan, l’America di Obama sta cercando di rivedere l’impegno internazionale e il ruolo in Medio Oriente”. La chiave della soluzione siriana dunque si trova a Mosca, ed è per questo che gli stati europei devono impegnarsi per coinvolgere la Russia a guardare oltre l’attuale regime.
Vai all’intervento di Hof
(inglese)

Florence Gaub
Che gli sforzi internazionali siano stati finora inutili lo sostiene anche Florence Gaub, ricercatrice del Nato Defence College: “Onu come Lega Araba – spiega –sono stati invitati a compiere una missione impossibile perché le parti in conflitto credono ancora entrambe di poter vincere la guerra”.

E se le sanzioni non hanno avuto grandi effetti, il recente rifiuto dell’Unione Europea di armare i “ribelli” potrebbe incidere sulla possibilità di arrivare a veri negoziati interni. Tra l’altro l’attuale flusso di armi, che arriva a entrambe le parti, da Russia, Iran e Stati del Golfo, mantiene viva la percezione che la lotta sia la soluzione migliore. Perciò il flusso di armi dall’esterno alimenta il rischio che la guerra civile si allunghi. Se l’ipotesi di una soluzione negoziata non sarà plausibile, le altre opzioni potrebbero essere due: aiutare una parte a vincere la guerra, come del resto succede nel 70 percento dei casi, ma il problema dell’opposizione siriana è che non si tratta di fornire solo aiuti materiali ma anche strutture di formazione. Oppure tentare un intervento militare diretto, che però con il veto della Russia in Consiglio di Sicurezza non avrebbe mai la legittimazione delle Nazioni Unite.

“Il problema – ammette Gaub – è che l’Unione Europea nel suo complesso deve rapportarsi con la questione siriana, non i singoli stati, anche perché dalla Dichiarazione di Barcellona in poi l’Ue ha stabilito un rapporto di partenariato con i dodici paesi a sud del Mediterraneo, Siria compresa”.

L’Europa è il primo partner commerciale di Damasco con il 22,5% del totale del commercio del paese. E finora ha importato dalla Siria quasi esclusivamente petrolio, per il 92%, cosa che conferma il paese come un produttore, e il regime in una posizione di forza, mentre l’embargo continua a dividere e la Siria assume sempre più i caratteri di stato fallito.
Vai all’intervento di Gaub
(inglese)

Guido Lenzi
Le divisioni della comunità internazionale sono state sottolineate anche dall’ambasciatore Lenzi che ha provato a inquadrare la situazione nell’ambito di un eventuale intervento umanitario, mettendo a confronto le differenze con la Libia dove questo si è verificato. L’interrogativo sollevato da Lenzi è anche legato al fatto che l’opposizione sappia tenersi insieme, e trovare una rappresentanza comune, obiettivo tutt’altro che scontato.
Vai all’intervento di Lenzi (italiano)

Donatella Della Ratta
Donatella Della Ratta si è concentrata invece sul racconto della comunicazione interna in Siria, e sulla produzione culturale della resistenza che sopravvive in rete, ma anche nelle strade. Subito dopo la prima manifestazione a Damasco, nel marzo di due anni fa, alcuni manifesti con una mano alzata e la scritta “io sono con la legge” sono comparsi per le strade, con il chiaro scopo del regime di rispristinare l’ordine e incutere timore. La campagna però ha finito con l’avere l’effetto contrario perché questi manifesti, o meglio le loro parodie, hanno cominciato a moltiplicarsi in rete raffiguranti mani colorate e slogan come “sono libero”, o ancora piedi nudi con la frase “ho perso le scarpe”, con un chiaro riferimento a una tipica forma di protesta araba contro la leadership, l’atto di lanciare le scarpe.

Alla fine il regime ha risposto col nuovo slogan “io sono la Siria”, un modo più neutro per fare appello al senso di appartenenza del popolo. Ma anche questa volta la risposta non si è fatta attendere, con slogan e parodie che hanno mostrato la volontà dei siriani di usare la creatività in questa battaglia, e di riappropriarsene dopo un periodo di produzione culturale sotto monopolio.
Vai all’intervento di Della Ratta (inglese)

Lorenzo Trombetta
Lorenzo Trombetta ha riassunto gli interrogativi che si pongono per la Siria di domani: quanto Assad sia ancora percepito una sorta di “garanzia” di stabilità dalla comunità internazionale, soprattutto per il mantenimento di rapporti commerciali e di sicurezza, e quanto una sua caduta preoccupi perché aprirebbe le porte a qualcosa di sconosciuto. E poi, il secondo aspetto: non c’è un’unica Siria, ma tante diverse realtà, con visioni a volte opposte del futuro e del governo del paese, che renderanno ancora più complessa una trattativa, soprattutto nel post-Assad, quando ci si dovrà necessariamente ricompattare per ripartire.
Vai all’intervento di Trombetta (italiano)

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Immagine: Rifugiati siriani che mostrano le scarpe in segno di protesta contro il regime (Houseoffreedom)

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