Ucraina, qui nel rogo di Odessa
sta per morire il sogno europeo

L’odore della carne bruciata. Bisogna partire da lì, da questo fumo aspro e disgustoso che di tanto in tanto bestemmia i cieli d’Europa. L’odore della carne bruciata nei roghi per decenni durante le guerre di religione. Il più recente odore dei camini della Shoah, dove il nazismo cercò di distruggere il popolo dell’Alleanza. Poi tornato, a piccole dosi capaci di ricordarci la malignità della carne umana, nelle fiamme della discoteca “La Belle” di Berlino diventata una trappola per soldati americani e ancora nei falò di pendolari bombardati a tradimento da Al Qaeda, a Londra e a Madrid.

Dal 2 maggio l’odore di carne bruciata torna ad inquinare lo sguardo stesso di Dio ad Odessa, là dove le faglie di tante Europe si scontrano muovendo interessi ciclopici e immense memorie di dolore, di sangue. L’Europa di Bisanzio, l’Europa di Roma, quella del Sacro Romano impero e di Carlo V, quella di Mosca, orgogliosa custode della ideologia della Terza Roma, si scontrano là dove interessi geopolitici e disinteressi ottusi si scontrano in una crisi che ha bruciato (bruciato) in pochi mesi lunghi decenni di costruzione di una difficile coesistenza fra il Cremlino post-comunista e il continente democratizzato a suon di euro.

Quella transizione senza spargimento di sangue che Wojtyla aveva accompagnato dopo il 1989 e che costituiva l’obiettivo più alto e degno che il cattolicesimo polacco aveva saputo esprimere, era franata già negli anni Novanta nei Balcani, a distanza di sicurezza dalle superpotenze. Oggi è come se quel sangue mancato presentasse il conto, e il dio della guerra pretendesse il suo obolo da cristiani di confessione diversa. Con un di più segnato a Odessa, dall’odore della carne che brucia, e che oggi, a distanza di giorni, inquina l’aria e i pensieri.

Chi ha deciso di distruggere un vicinato fra Europa e Russia e il ponte pieno di inaudite potenzialità che si apriva così fra l’Unione e la Cina ha scommesso che cultura russa non avrebbe mai accettato il tentativo di dare a posteriori razionalità ai capricci geografici del Pcus, e avrebbe preteso la Crimea. Oggi quel mondo oscuro scommette che – facendo apparire impotente il Cremlino – lo spingerà a passi che giustificheranno un isolamento: il cui conto sarà pagato dagli europei. L’esito finale è in vista: una nuova cortina di ferro, capace di dividere di nuovo le due Europe, di staccare i polmoni del cristianesimo per altri mille anni; con un di più dato da quell’odore che la televisione non filma, che twitter non twitta, ma che solo l’anima pensosa sa sentire in tutta la sua acredine.

La cronaca del 2 maggio non sa raccontarlo e la richiesta della Ashton di una indagine “indipendente” mostra proprio con la burocratica meccanica dell’atto dovuto lo conferma, Nemmeno i dati di fatto sfuggono in guerra, alla guerra delle propagande: ed è questa incertezza che inquieta “46 morti accertati” e “48 dispersi”, fra quelli che il gergo giornalistico chiama “filorussi”, ma che memori del Manzoni tutti dovremmo sapere essere russi d’arme, di lingua, d’altare. Per i russi, per la chiesa russa patrioti convinti; per il ministro ucraino Arsen Avakov sospetti terroristi o invasori su cui morte indagare con l’ausilio di osservatori stranieri, che arriveranno quando si sarà disperso l’odore annusato dai gruppi di ultras e di estremisti che lanciando molotov sul palazzo hanno bruciato la Casa dei Sindacati dove si erano rifugiati i “filo-russi”, disarmati.

Bisogna ripartire da quell’odore per capire perché oggi la Russia e la chiesa russa non considerino credibili le parole degli europei, incapaci di capire che quelle fiamme, quell’odore hanno passato una soglia. Dopo la soglia della illegalità, della violenza, dei cecchini e dei check point, il rogo di Odessa segna un qualcosa di più, che la coscienza di questa Europa distratta dalle furbizie pre-elettorali non può archiviare.

Ricevendo il presidente ucraino Arseny Yatsenyuk il giorno prima delle canonizzazioni di Roncalli e Wojtyla, papa Francesco gli aveva regalato una penna per firmare la pace: un modo non ambiguo per negare la soluzione bellica. La penna non è stata usata in tempo. Resta l’odore di carne bruciata.

  1. Sono completamente d’accordo con il professor Melloni.

    Professor Anatoly Krasikov,
    Direttore del Centro studi socioreligiosi,
    Accademia delle Scienze Russa, Mosca.

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