L’Islam dei predicatori 2.0
Chi sono e in cosa credono

Uno dei due più influenti nuovi leader spirituali le cui parole hanno portato migliaia di giovani, soprattutto occidentali, a unirsi all’autoproclamatosi “stato islamico” e al “Fronte al Nusra” la sezione siriana di Al Qaeda”. Così è definito l’australiano di origine italiana, Musa Cerantonio, ex presidente dell’Islamic Society dell’Università di Victoria, Melbourne. Sin dalle sue prime apparizioni sull’emittente religiosa saudita Iqraa, Cerantonio ha elaborato una vera e propria “narrazione” per cui il mondo intero è in lotta con l’Islam e solo un Califfato può proteggere i musulmani dai “Crociati”.

Figlio di una coppia calabro-irlandese ultra-cattolica, Cerantonio aveva 17 anni quando ha ceduto alla grandezza dell’Islam, convertendosi. Questo almeno è quello che racconta davanti alle telecamere di Iqraa. Al contempo critica la scuola australiana – “socialista e atea” – e ammette di aver simpatizzato con il nazismo. La collaborazione con l’emittente saudita si interrompe nel 2005, probabilmente per qualche eccesso di chiamate alla costituzione di un Califfato. Prosegue però la sua attività su web, dove Cerantonio il telepredicatore conquista importanti fette di telespettatori. Davanti alle telecamere, l’uomo si fa portavoce di un discorso salafita-jihadista che in seguito lo condurrà all’arresto con l’accusa di terrorismo. Per anni fa da’wa, proselitismo islamico, secondo la visione “letterale” dell’Islam tipica del regno saudita: fortemente conservatrice, senza alcuna possibilità di interpretazione storica-intellettuale dei testi.

Nel 2012 arriva in Italia dove riesce a inserirsi nei circuiti islamici più radicali, frequentando moschee, predicando un Islam integrale ed estremista, fino a farsi fotografare in Vaticano con la bandiera dello “stato islamico” per poi diffondere questa immagine sui social network. A dargli spazio è stato anche un canale televisivo privato lombardo dove ha condotto una trasmissione settimanale di circa mezz’ora intitolata “La Verità”. Il tutto prima della sua imminente partenza per la Siria, dove avrebbe voluto unirsi alle milizie del Califfato se non fosse stato arrestato nelle Filippine ed estradato in Australia dove, dopo un periodo di detenzione, si trova oggi in libertà.

Il caso di Cerantonio mostra come un predicatore improvvisato, senza alcuna preparazione, attraverso l’uso di nuovi media e telepredicazione possa costruirsi una “personalità pubblica” e fare proselitismo, partendo dalla propria esperienza personale di conversione per influenzare migliaia di giovani. Già negli anni ’80 alcuni regimi totalitari arabi avevano investito nella figura del telepredicatore per motivi propagandistici. Pensiamo ad Al-Sharaawi in Egitto o Al-Buti in Siria. Del resto dalla fine degli anni ‘70 l’area dell’Islam politico aveva adottato i mass-media per divulgare il proprio messaggio: le audio-cassette dell’egiziano sheykh Kishk e di altri predicatori radicali, quasi tutti privi di un passato di studi religiosi, divennero strumenti per creare un nuovo immaginario, alternativo a quello governativo e aderente alla visione islamista radicale. L’influenza dei telepredicatori è aumentata visibilmente con l’arrivo dei canali satellitari.

Negli ultimi decenni si è assistito a una proliferazione di “sapienti”, in gran parte autodidatti o formatasi nelle scuole islamiche saudite, che hanno contribuito a diffondere una visione dell’Islam conservatore, reazionario e fortemente influenzato dal wahabismo (Al ‘Arifi, ‘Aid el Qarni in Arabia Saudita; Mohammad Hassan, Mohammad Yaqoob in Egitto). Ciononostante, il mondo dei telepredicatori non è un monolite nelle mani dei conservatori. Negli ultimi anni sta emergendo una corrente progressista sostenuta soprattutto dai più giovani. Si passa dal riformismo moderato del kuwaitiano Tariq Sweidan, che invita allo studio della storia, della sociologia, delle materie non-religiose e cerca di conciliare al meglio democrazia, modernità e Islam, al radicalismo riformista di ‘Adnan Ibrahim, imam della moschea di Vienna di origini palestinesi che si richiama alla tradizione filosofica, intellettuale e scientifica dell’Islam, alla razionalità e alla centralità del Corano. Nel farlo polemizza apertamente con la visione wahabita e cerca di trovare il giusto equilibrio tra “Testo e contesto”, ponendosi agli antipodi del pensiero salafita-jihadista e wahabita per il quale il contesto viene non solo ignorato, ma riprodotto artificiosamente secondo un’imitazione grottesca della metodologia profetica. ‘Adnan Ibrahim sta acquisendo un pubblico così ampio che i suoi video vengono ormai abitualmente sottotitolati in inglese.

La telepredicazione è diventata dunque uno dei principali strumenti di diffusione delle idee nel mondo islamico, con telepredicatori con target differenziati, dai più tradizionalisti rivolti alle famiglie e al musulmano medio, ai radicali che pur parlando a tutti mirano principalmente ai più giovani. Se ultimamente assistiamo all’affermazione di telepredicatori che perseguono un Islam più moderno e aperto è grazie anche alla nuova domanda che viene dal pubblico giovanile arabo e dalle seconde generazioni in Occidente, in cerca di punti di riferimento che gli consentano di vivere fedelmente ai propri principi religiosi secondo stili di vita e immaginari ben diversi da quelli dei genitori e dal tradizionale pubblico familiare.

  1. Un brano dell’ultimo di Zizek “L’Islam e la modernità. Riflessioni blasfeme” sembra ad un tratto collegarsi a questo articolo: “In queste righe emerge ancora una volta come l’Islam riunisca in sè il meglio e il peggio: proprio perché sprovvisto di una immanente tendenza all’istituzionalizzazione, esso è sempre stato vulnerabile alla cooptazione da parte del potere statale, che si è incaricato di provvedere a questa lacuna. Ma se la “politicizzazione” è inscritta nella sua stessa natura, questa sovrapposizione di religioso e politico può essere razionalizzata non solo mediante la cooptazione statale, ma anche attraverso l’iniziativa di collettivi antistatalisti.” (Zizek, op, cit. p. 54) Sembra proprio il caso dei regimi che hanno usato la telepredicazione strumentalmente e che per primi hanno riscontrato la telepredicazione dal basso, alternativa a quella ufficiale, generalmente dai contenuti ultra-radicali, che si ritorceva contro.

  2. Approfondimento interessante e piacevole da leggere, soprattutto per quanto riguarda lo spaccato di un “islam 2.0” che non è nelle sole mani dell’estremismo.

  3. Ben scritto. Completo e chiaro. Ben comprensibile anche a chi non è avvezzo a leggere analisi politiche e sociologiche.
    Ne aspetto altri.
    Mauro

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