Qualcosa è cambiato. La Libia di Ali Wak Wak

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Fino a qualche mese fa costruiva souvenir per i pochi turisti che visitavano la Libia, oggi espone al complesso del Vittoriano e si prepara a viaggiare per l’Europa, mirando agli Emirati Arabi Uniti. Ali Wak Wak è ritenuto il più importante scultore libico contemporaneo, un uomo che è capace di trasformare i rimasugli delle armi in opere d’arte. Fino al 28 febbraio la sua mostra ‘Anime di materia’ è stata nel centro di Roma. Poi si è spostata verso Bologna, città dove nacque l’intera avventura.

“La mostra è sponsorizzata da Hrs (Health Ricerca e Sviluppo, ndr), uno spin-off dell’università di Bologna che è stato incaricato del riconoscimento dei cadaveri nelle fosse comuni libiche, dopo la cadute di Muammar Gheddafi. Mentre facevano questo lavoro di supporto umanitario, gli operatori di Hrs si sono imbattuti nelle opere di Ali Wak Wak e le hanno trovate sorprendenti. Quando le hanno viste, hanno pensato che anche quelle sculture erano pezzi importanti di quella identità libica che erano andati a recuperare. Per questo hanno deciso di sponsorizzare la mostra” dice Elena Croci, ufficiale per lo Stato Maggiore dell’esercito italiano che si occupa da anni di comunicazione culturale. “Il passato culturale e la memoria storica vanno valorizzati per elaborare progetti di comunicazione e identità. Ad accorgersi del valore delle opere di Ali sono state tante persone in visita istituzionali in Libia. Le sue sculture hanno una forza reale e sono facilmente comprensibili. Più che capite, vanno sentite” aggiunge Croci, curatrice della mostra.

Hurrya (Libertà), per esempio, è una parete di elmetti militari arrugginiti trovali dal Ali e i suoi assistenti nelle caserme utilizzate da Gheddafi e dai suoi fedelissimi. Alcuni appartengono alla seconda guerra mondiale, altri sono più recenti. Dopo la raccolta avvenuta in diverse località del paese, in meno di una settimana, questi caschi sono stati montati uno dopo l’altro su un reticolato di quattro file. Quando si appoggia a una parete, questa composizione crea una doppia immagine. Guardando l’ombra della luce che le passa attraverso, si intravedono dei volti umani che sembrano affamati di libertà.

Bombe, schegge di ordigni e altri residui bellici sono materie prime per un artista che ama trasformare oggetti distruttivi in sculture dalla vitalità pulsante. “Quando vedevo che cosa rimaneva della rivoluzione nelle strade del mio paese ho pensato che tutta quella violenza e quello spargimento di sangue doveva avere un senso. A me toccava il compito di rendere visibile il fine di quella sofferenza. Ho quindi deciso di mettere la mia arte al servizio del popolo per fare in modo che tutti potessero vedere oltre la violenza immediata” spiega Ali, artista autodidatta che ha imparato il mestiere osservando il papà falegname.

Ecco che delle cartucce vuote e una serie di proiettili sono la materia prima per creare una civetta. Dei pezzi di rete e filo spinato tagliati con violenza sono invece l’ideale per essere trasformati in raggi di sole. “Avevamo così tanti di questi oggetti che non ho dovuto di certo contenere la mia creatività”, dice scherzando Ali che ci tiene a sottolineare che la sua arte non ha scopi politi, ma manda messaggi universali.

Un messaggio politico però è evidente. Qualcosa in Libia è cambiato e Ali è il primo ad ammettere che durante il regime di Gheddafi gli artisti come lui erano obbligati a tenere a bada ogni loro fantasia. “L’arte è stata a lungo temuta dal vecchio regime. Nessuno di noi poteva esprimere liberamente i propri pensieri. Per quanti, come gli artisti, fanno della libertà di espressione la fonte del loro mestiere, lavorare era qualcosa di davvero impossibile. Ad avere carta bianca erano solo quanti tessevano le lodi del dittatore. Io non l’ho mai fatto e sono stato costretto a fare il decoratore di interni. Un nobile lavoro, ma non era certo questa la mia aspirazione. Ora però è cambiato tutto. È come se un terremoto avesse scosso il paese” aggiunge Ali, calmo e sorridente.

Hurrya non è solo il nome della mia principale opera, ma è anche la parola che rappresenta la novità della Libia. Libertà per tutti. Per me, la vera libertà è quella di espressione.”

Vai a www.resetdoc.org

Nelle foto: Ali Wak Wak e la sua opera “Hurrya”

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