Iran, elezioni 2016: le candidature,
gli scontri di potere e la posta in gioco

Da Reset-Dialogues on Civilizations

In Iran è il momento degli appelli al voto. «Anche una minoranza influente nel prossimo parlamento farà una differenza», diceva giorni fa Mohammad-Reza Aref, candidato dello schieramento riformista, rivolgendosi a un’affollata assemblea di giovani simpatizzanti del partito della “Determinazione nazionale” (lo cita una corrispondente del Financial Times). Simili appelli sono venuti dal presidente Hassan Rohani.

La campagna elettorale è formalmente cominciata questa settimana, in Iran: con comizi pubblici, poster, e gruppi di giovani attivisti sparsi nelle strade a distribuire volantini. E mobilitare gli elettori, soprattutto i giovani, sembra la prima preoccupazione di tutto lo schieramento riformista e dei moderati. «Ho giurato di difendere la costituzione e farò quanto in mio potere per garantire elezioni libere e corrette», dice Rohani in un tweet (in inglese, 2 febbraio). Appelli al voto, o meglio: a non lasciarsi scoraggiare dalla battaglia sulle candidature e dal suo esito deludente.

Il 26 febbraio in Iran si vota per rinnovare il Majlis (il Parlamento nazionale, 290 seggi), e quest’anno anche l’Assemblea degli Esperti, l’organismo di 88 “saggi” che ha il potere di scegliere (e in teoria dimettere) la Guida suprema, prima autorità della Repubblica Islamica. Una valanga di candidature – ben 12mila, di cui circa 800 per gli Esperti – è arrivata al vaglio del Consiglio dei Guardiani, l’organismo che ha potere di veto sui candidati alle cariche pubbliche. Ebbene, oltre la metà sono state bocciate. È il tasso di bocciatura più alto di sempre, e ha colpito in particolare candidati moderati e riformisti: il segno di un estremo arroccamento della parte più oltranzista del sistema. Vediamo perché.

Il doppio appuntamento elettorale cade in un momento delicato. Dopo l’accordo sul nucleare firmato il 14 luglio, il muro di sanzioni economiche ha cominciato a sgretolarsi e l’Iran torna sulla scena, geopolitica ed economica. È un momento di grandi aspettative per una nazione di quasi 80 milioni di persone, per due terzi sotto i 35 anni, istruite, in cerca di lavoro e opportunità. Ma è anche un momento di grandi manovre di potere e scontro di interessi.

Il voto per il parlamento «determinerà le direzioni della politica interna», diceva il presidente Rohani un paio di settimane fa. In effetti la legislatura uscente, dominata dagli ultraconservatori, ha ostacolato il suo governo in tutti i modi possibili. I suoi ministri hanno dovuto difendersi da continue mozioni di censura su quasi tutto, dal negoziato sul nucleare (che però era esplicitamente sostenuto dal Leader, l’ayatollah Khamenei), alle politiche economiche. Il governo Rohani ha in programma importanti riforme della governance economica, dal tentativo di allargare la base fiscale (includendo le grandi Fondazioni islamiche, gruppi economici di prima grandezza e finora esentasse), alla trasparenza del sistema bancario, alle sovvenzioni sull’energia, al welfare pubblico. Difficile farle senza il parlamento.

Il voto per gli Esperti è altrettanto importante, perché qui si tratta della continuità futura del sistema. Eletti a suffragio universale, gli Esperti restano in carica 8 anni e di solito non hanno molto da fare. Però l’attuale Leader, l’ayatollah Ali Khamenei, ha 75 anni: anche se finora le voci di malattia sono state smentite dai fatti, è chiaro che la successione è all’orizzonte. Gli Esperti eletti tra due settimane dovranno gestire la transizione (e infatti le “manovre” attorno a questa Assemblea sono cominciate già un anno fa). E poi, tutte le massime cariche del sistema sono occupate per lo più da esponenti della “prima generazione” rivoluzionaria, quelli che erano intorno a Khomeini, e molti sono sull’ottantina. Insomma, si profila un ricambio generazionale dell’intera leadership. C’è chi si chiede ci sarà un nuovo Leader (ma sarebbe ancora uno della vecchia guardia, e il problema sarebbe rinviato di poco) o piuttosto un qualche tipo di organismo collegiale. Il sistema di potere della Repubblica Islamica ne uscirà profondamente trasformato: ma chi gestirà questa transizione, e in che direzione? Questo preoccupa il Leader – ad esempio quando, negli ultimi mesi, ha cominciato a mettere in guardia contro la «penetrazione di influenze occidentali» che minacciano i valori della Repubblica Islamica (come sempre, la cultura e la libertà di espressione diventano il teatro di scontro).

La battaglia per le candidature rispecchia questo scontro di potere. Il Consiglio dei Guardiani è composto da 6 religiosi nominati dal Leader e 6 giuristi nominati dal capo della magistratura, a sua volta nominato dal Leader (è la grande anomalia della Repubblica Islamica, dove istituzioni emanate dall’autorità religiosa hanno potere di veto sulle istituzioni elette a suffragio universale). Rappresenta la parte più oltranzista del sistema, quella che oggi teme di perdere il controllo sul sistema creato dalla Rivoluzione.

Ha fatto scalpore, proprio mentre il presidente Rohani era in visita in Italia, l’esclusione di Hassan Khomeini dalla lista dei candidati per il Consiglio degli Esperti. Il 43enne teologo ha frequentato il seminario a Qom, ha all’attivo pubblicazioni teologiche e ha l’appoggio di illustri ayatollah. Ed è uno dei 15 nipoti del carismatico fondatore della Repubblica Islamica, tutti più o meno impegnati nel promuovere riforme, alcuni pubblicamente critici della struttura di potere. Insomma, escluderlo pare un’enormità.

Ma non è solo. I riformisti dicono che solo l’1 per cento dei propri candidati sono passati al vaglio, una trentina di nomi su tremila. Nomi noti, religiosi come il giovane Khomeini, o ex deputati ed esponenti della “sinistra islamica”, sono stati respinti per «non aderenza all’Islam» e «alla Repubblica Islamica». Non solo riformisti, anche solo moderati sono stati depennati. La parte più oltranzista del sistema vuole impedire che Rohani “incassi” la popolarità creata dalla fine delle sanzioni, e che l’asse politico si sposti verso moderati e riformisti.

Molti esclusi hanno fatto ricorso. Anche il presidente Rohani è sceso in campo. «Oggi l’occupazione è la questione prioritaria per il paese, in parlamento abbiamo bisogno di persone competenti», ha detto il 21 gennaio. «Il parlamento è la casa del popolo, non la casa di una sola fazione», ha aggiunto; in Iran «c’è una corrente che ha tra 7 e 10 milioni di sostenitori» che ha diritto a essere rappresentata. Non ha fatto nomi, ma il riferimento ai riformisti era chiaro (Rohani è un moderato, non un riformista, e presiede un governo di coalizione: ma certo non vuole restare ostaggio di un parlamento ultraconservatore). In altra occasione, Rohani ha fatto appello a riconoscere una «maggiore partecipazione delle donne nella vita politica».

Già: quest’anno si sono fatte avanti oltre 1.200 candidate, tre volte più che nel 2012. Era il risultato di una straordinaria mobilitazione di attiviste per «cambiare il volto maschile del parlamento». Ma anche loro sono state bocciate in modo massiccio.

Anche l’ex presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani è intervenuto, con una critica durissima ai Guardiani: «Da chi avete avuto le vostre qualifiche? Chi vi ha dato il permesso di giudicare? Chi vi ha dato il podio della preghiera del venerdì e della televisione di stato?». Parole per la verità criticate anche da molti riformisti (a disagio nel sentirsi difesi dell’ex presidente, a cui molti attribuiscono passate trame di potere), che le hanno considerate controproducenti. Sta di fatto che proprio questo venerdì Rafsanjiani ha parlato dagli schermi della tv di stato, per la prima volta dopo 6 anni (anche il capo della tv di stato è nominato dal Leader supremo, come il capo della magistratura o il comandante delle Guardie della rivoluzione: le roccaforti della conservazione).

Infine i Guardiani hanno riammesso 1.400 nomi. Ancora non è chiaro quanti tra questi siano da considerare riformisti, né quante siano le donne. Di certo sono state bocciate tutte le 16 candidate per l’Assemblea degli Esperti, che resta esclusivo appannaggio maschile. La consigliera del presidente Rohani per i diritti delle donne, signora Fahimeh Fahramanpour, ha criticato l’esclusione femminile. Ma le liste sono definitive, questa battaglia è chiusa.

È aperta invece la battaglia del voto. La tentazione del boicottaggio è presente. Una lettera aperta al presidente Rohani, firmata da circa 300 accademici, di cui riferisce il sito riformista Kaleme (9 febbraio) sostiene che con la massiccia esclusione dei riformisti, «meglio sarebbe lavorare perché le elezioni non si tengano affatto». Ma vorrebbe dire consegnare di nuovo la legislatura agli oltranzisti. «Gli elettori devono avere la parola finale», ha detto durante una cerimonia per l’anniversario della rivoluzione, l’11 febbraio. La scelta è limitata, ha riconosciuto il presidente Rohani: però, «se votiamo, avremo un modesto beneficio. Ma se non votiamo, perderemo e basta».

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