I diritti delle donne nelle società musulmane: la lezione del Marocco

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Nell’ambito del ciclo di incontri Parole e idee per un mondo plurale. Un lessico interculturale, organizzato da Reset-Dialogues on Civilizations in collaborazione con le università milanesi e con il Patrocinio del Comune di Milano, mercoledì 24 aprile alle 18.00 vi diamo appuntamento a Palazzo Morando (Milano), per un dibattito su Donne e religione. Fede islamica, uguaglianza di genere, iniquità e riforme. Resetdoc, insieme a Paolo Branca (Università Cattolica) e Seble Woldeghiorghis (Comune di Milano) ne discuterà con Nouzha Guessous, attivista marocchina per i diritti umani coinvolta in prima persona nella riforma del codice di famiglia marocchino, tra i più avanzati nel mondo arabo.

Noi tutti sappiamo che lo status delle donne in generale è sempre stato – e tuttora rimane – una delle questioni più controverse e di più difficile soluzione in tutti i Paesi musulmani. Perché? Finora, il diritto familiare in questi Paesi è sempre rientrato nella cosiddetta giurisprudenza islamica, il Fiqh, che si costituisce come un insieme di regole che vanno inserite nel contesto storico specifico del Settimo secolo. Molte di queste norme, che da quattordici secoli non operano alcuna distinzione tra i dettami dell’Islam stabiliti dal Corano e le pratiche sociali basate sul credo religioso, non si adattano più alla situazione attuale. Ma dal momento che il Fiqh deriva dal Corano e dagli Hadith del Profeta, si è arrivati a considerarlo sacro e toccare queste regole per alcuni – soprattutto per coloro che usano la religione come strumento politico – significa toccare l’Islam.

Oggi tali norme non si adattano più al contesto attuale, e ve lo dimostrerò citando alcuni dati relativi al Marocco. Diversi intellettuali e studiosi della storia musulmana hanno addirittura sostenuto che applicare questi dettami in un frangente storico profondamente mutato abbia rappresentato e tuttora rappresenti una distorsione dello spirito del Corano.

In Marocco, per esempio, dalla fine degli anni Cinquanta/inizio Sessanta a oggi si è registrata un’imponente transizione demografica, almeno stando ai dati del censimento nazionale del 2010. Le donne ora si sposano in media a ventisette anni, non a diciassette come nel 1960. Il tasso di fertilità è sceso da più di 7,2 a 2,19 (nello specifico 1,8 nelle aree urbane e 2,7 in quelle rurali), per cui circa il 70 per cento delle famiglie è di tipo nucleare, ovvero composto da due genitori con i relativi figli. Dato interessante, malgrado ancora oggi una donna su due sia analfabeta, il 60 per cento degli studenti di scuola secondaria e oltre il 52 per cento degli universitari è di sesso femminile. Investendo nella scuola e nell’università, le donne hanno anche iniziato a contare nella vita pubblica e in ambito economico. La parità dei sessi è ancora lontana, ma l’universo femminile ha comunque consolidato la sua forza (tanto per dirne una, il 20 per cento dei giudici e degli esponenti della magistratura è costituito da donne). Come del resto accade in tutto il mondo, però, nell’attuale scenario di crisi economica le donne sono le prime vittime della disoccupazione. Ciò si riflette significativamente nel fatto che dal 2008 in poi l’emigrazione femminile per motivi economici ha preso il sopravvento su quella maschile, il che rappresenta un ulteriore mutamento da non sottovalutare.

La principale conseguenza di tale evoluzione è il fatto che la tradizionale dicotomia tra pubblico e privato che caratterizzava la società marocchina si è trasformata più che altro in una sovrapposizione di sfere, e lo stesso è accaduto per quanto riguarda la divisione dei ruoli tra uomini e donne. In virtù di tali cambiamenti Emmanuel Todd è arrivato ad affermare che il Marocco sta attraversando “una fase transitoria di destabilizzazione dell’ideologia e delle pratiche patrilineari”. La transizione in atto porta alla luce una serie di contraddizioni tra la cultura storica e tradizionale ancora predominante nei proclami e nel discorso pubblico, da un lato, e la varietà di comportamenti che si sta diffondendo nella società, dall’altro. Il conflitto tra individualismo moderno e sistema della famiglia e della società tradizionali appare così, sempre più spesso, “schizofrenico”.

Tuttavia, come afferma Emmanuel Todd, al di là di questa fase transitoria di destabilizzazione e disorientamento degli stili di vita, si configura la speranza che “possa emergere una società più egualitaria e aperta”. A mio avviso, ciò potrebbe essere interpretato come una conseguenza del cosiddetto “principio di realtà”, con riferimento al concetto psicanalitico di matrice freudiana.

Case study: il processo di modifica del diritto familiare in Marocco

Il Codice di Statuto Personale marocchino (“Mudawanat Al-Ahwal Al-Shakhsiyya”) ha rappresentato uno dei temi più controversi e fonte di conflitti e divisioni dell’inizio del Ventunesimo secolo. Esso era stato adottato in fretta e furia dopo l’indipendenza ottenuta nel 1958 e si configurava come un sistema di diritto classico patriarcale basato su un’interpretazione altamente conservatrice della scuola dei malachiti della giurisprudenza islamica. Si basava sul principio e assioma secondo cui l’Islam avrebbe stabilito la superiorità degli uomini rispetto alle donne, e le donne  sarebbero state sempre creature inferiori necessariamente sottoposte alla tutela di un uomo (che si trattasse del padre, del fratello o del marito). Tale interpretazione del testo coranico e del diritto islamico limitava notevolmente i diritti femminili per tutto quel che concerneva il matrimonio, le responsabilità familiari, il divorzio, l’affidamento dei figli, ecc. e in virtù della loro matrice religiosa queste leggi erano considerate sacre. Nessuno aveva il diritto di toccarle.

A partire dai primi anni Settanta, in Marocco è andata emergendo e sviluppandosi una forte società civile, attenta alla questione dei diritti politici e sociali. Per l’attivismo sociale la modifica della Mudawana rappresentava un tema predominante, soprattutto tra i paladini dei diritti umani e delle donne. Per trent’anni, diversi gruppi hanno portato avanti in vario modo la battaglia per una più equa distribuzione dei diritti, e in tutto il Marocco si sono susseguiti annosi e accesi dibattiti. La sfida più complessa era quella di trovare soluzioni socialmente accettabili ad alcune questioni chiave. In che modo il diritto familiare avrebbe potuto mostrarsi coerente con l’evoluzione delle pratiche e degli stili di vita individuali e familiari? Come fare in modo che la legge riuscisse a distinguere tra le credenze e le pratiche sociali tradizionali e l’autentico spirito dell’Islam? Come rendere la società meno “schizofrenica”? Dopo trent’anni di ricerche, analisi e campagne, e dopo un bel po’ di problemi – comprese due massicce ondate di protesta in anni recenti, la prima a Casablanca e la seconda a Rabat nel 2000 – e grazie all’adozione di un approccio innovativo, il Marocco è alla fine riuscito a elaborare un nuovo codice della famiglia – “Mudawanat Al-Ousra” – che è stato approvato all’unanimità dal Parlamento nel 2004. Sia in ambito locale che internazionale questo è stato riconosciuto come un importantissimo passo in direzione di una maggiore giustizia e parità dei sessi.

Il nuovo codice della famiglia ha introdotto modifiche di natura sia formale che sostanziale. Prima di tutto, ha adottato una formulazione più moderna, cancellando alcuni termini denigratori presenti nella vecchia Mudawana che finivano per minare la dignità della donna in quanto essere umano.

Inoltre, nel nuovo codice i principi della partnership e della condivisione delle responsabilità tra i coniugi sono stati posti a fondamento del diritto. Ciò si pone in netta contrapposizione con il principio tradizionale dell’obbedienza dovuta dalle donne ai propri mariti, che faceva da sostrato al vecchio codice nella sua interezza.

Infine, nell’ultimo articolo il nuovo codice introduce il principio della parità tra i sessi in tutti i casi soggetti al parere dei giudici e dei tribunali familiari, che dovranno tenerne conto nell’applicazione della legge.

Riepilogo delle modifiche al codice

Le principali modifiche di carattere legislativo possono essere sintetizzate come segue.

1.A meno che una data situazione non venga ritenuta eccezionale a giudizio della Corte, l’età minima per il matrimonio è diciotto anni, sia per gli uomini che per le donne, mentre prima era rispettivamente quindici e sedici anni. Malgrado ciò, l’applicazione di tale articolo presenta ancora alcuni problemi. Le cosiddette “eccezioni” sono troppe; nel 2010 il 10 per cento dei matrimoni vedeva ancora coinvolte ragazze di meno di diciotto anni, e alcuni giudici autorizzano con facilità le nozze di giovani anche di 12 o 13 anni.

2.L’abolizione dell’obbligo alla potestà maritale per le donne adulte è stato un traguardo importante e difficilissimo da raggiungere. Una donna adulta non ha più il dovere per legge di ricevere il beneplacito del padre o del fratello, o addirittura del proprio  figlio maschio, per sposarsi. Oggi se lo desidera può decidere da sola di sposare oppure di delegare, per motivi personali o culturali, un uomo di sua scelta ad agire per suo conto. Ciò va visto come riconoscimento della piena maturità raggiunta da una donna, al pari di un  uomo, al compimento dei diciotto anni.

3.È stato introdotto il principio del mutuo rispetto e della partnership al posto dell’obbligo all’obbedienza da parte della moglie nei confronti del marito, che rappresentava una delle implicite giustificazioni per gli episodi di violenza domestica in Marocco (episodi che fino a poco tempo fa avevano un’incidenza altissima).

4.È stato introdotto il concetto della condivisione delle responsabilità familiari tra marito e moglie.

5.Sono state anche introdotte nuove procedure per le sentenze di divorzio; è stata, per esempio, agevolata la prassi per le donne vittime di un qualsiasi tipo di violenza domestica, che prima in alcuni casi dovevano subire anche più di dieci anni prima di ottenere il divorzio, sempre ammesso che riuscissero a ottenerlo. Tuttavia, i soggetti più vulnerabili e meno istruiti ancora faticano a beneficiare di tale opportunità soprattutto a causa della povertà e della mancanza di supporto sociale.

6.La poligamia non ha potuto essere abolita, ma resta oggi un’eccezione severamente regolamentata. Tuttavia, i dati relativi all’attività dei tribunali nazionali anche in questo caso registrano un numero troppo elevato di eccezioni, e molte ONG per la difesa dei diritti delle donne continuano a chiedere la totale abolizione di quest’usanza.

7.Oggi ognuno dei due coniugi è titolare di un patrimonio distinto da quello dell’altro, ma è possibile stipulare un accordo legale relativo agli investimenti e alla distribuzione dei beni acquisiti dopo le nozze. Tale accordo viene indicato in un documento scritto distinto dal contratto matrimoniale. In mancanza di tale accordo, in caso di divorzio si fa ricorso sulla base di standard generali riferiti all’evidenza, prendendo in considerazione il lavoro svolto da ciascuno dei due coniugi, gli sforzi fatti e le responsabilità assunte da ognuno nel contribuire allo sviluppo del patrimonio familiare.

8.Il diritto ereditario obbligatorio è stato esteso ai nipoti materni, mentre prima era limitato a quelli paterni (Wassiya Wajiba).

Come si è arrivati a queste modifiche?

Ad aiutare gli attivisti, le ONG e i paladini dei diritti umani ha contribuito il fatto che dal 2000 in poi tutti si sono convinti che non ci fosse altro modo per risolvere la situazione che quello di coniugare tra loro competenze sociali, in materia di diritti umani e religiose. Era necessario, perché quella marocchina è una società osservante e la religione è una componente fondamentale dell’identità nazionale. Date le conseguenze che i mutamenti demografici avevano avuto sull’assetto delle famiglie, c’era però anche l’urgenza di cambiare la legge, il che era visto come un modo per cambiare anche la mentalità. Un altro elemento da non sottovalutare era che il Marocco aveva siglato il proprio impegno a rispettare la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il cui principio è anche incluso nel preambolo della Costituzione del 1996. Infine, non meno importante, diverse ONG e parecchi network per la difesa dei diritti delle donne avevano iniziato a prendere parte attiva al dibattito religioso, sostenendo che il Corano e gli Hadith fossero stati oggetto di un’interpretazione maschilista e conservatrice, che aveva finito per influenzare il diritto familiare nella maggior parte dei Paesi musulmani. Di fatto, e questo rappresentava una novità assoluta, ONG in difesa delle donne e ricercatrici di sesso femminile dicevano la loro in un ambito per tradizione dominato dagli uomini e soggetto al privilegio maschile. Partecipavano al dibattito religioso, e invitavano e contribuivano all’ijtihad [l’elaborazione individuale delle decisioni prese in materia di diritto islamico]. Esse avevano prodotto un’imponente mole di documenti contenenti argomentazioni religiose a favore delle posizioni che sostenevano nel processo di modifica del codice della famiglia. Per certi versi hanno contribuito a riscrivere il concetto della parità tra i sessi reinterpretandolo attraverso la lente della cultura, usando i principi fondamentali dell’Islam – Maqasid – come componente strutturale di tale reinterpretazione.

Tramite questo processo, in Marocco si è avviata una sorta di “decostruzione-ricostruzione culturale”. In effetti, parecchi parametri hanno dimostrato come nessun cambiamento sarebbe stato possibile senza il supporto di argomentazioni di natura culturale e religiosa, visto l’impatto culturale di decenni di indottrinamento patriarcale e conservatore nelle scuole, nelle moschee e nei media. Chiunque in Marocco è cresciuto secondo questa concezione patriarcale della nostra religione e della nostra cultura. Vi farò due esempi. Il primo deriva dalla mia esperienza nell’ambito della Commissione di Consulenza Reale incaricata di elaborare il nuovo codice della famiglia (2001-2004). Abbiamo sentito circa 80 tra ONG, partiti politici, dipartimenti ministeriali, organismi professionali, ecc. per conoscere la loro analisi della situazione e ricevere proposte di cambiamenti da apportare alla Mudawana. È importante sottolineare che delle 60 proposte che abbiamo ottenuto, 59 facevano riferimento al Corano e al Fiqh, perlopiù accompagnando tale riferimento a un richiamo ai principi dei diritti universali dell’uomo (ma in alcuni casi no). Solo una ONG aveva fatto riferimento nella sua proposta esclusivamente ai diritti universali dell’uomo e agli strumenti per attuare tali principi senza rimandare in alcun modo al Corano e al Fiqh. Ciò dimostra quanto sia forte il sostrato religioso della nostra società.

Il secondo esempio è costituito dal fatto che una delle questioni più controverse che ci siamo trovati ad affrontare – e sulla quale non abbiamo raggiunto un consenso – è stata quella dell’obbedienza della moglie al marito. Essa veniva presentata come un dovere religioso basato su una Sura del Corano che parla del Qiwama e anche su alcuni Hadith. Abbiamo dovuto argomentare come l’obbedienza della moglie nei confronti del marito non sia un obbligo nell’Islam, ma si tratti al contrario di un’idea fondata su un’interpretazione fuori contesto, che rispecchia i ruoli ricoperti dall’uomo e dalla donna all’epoca della rivelazione dell’Islam. Diversi saggi rivelano invece una concezione del Qiwama, anche nel Corano, come principio intimamente legato al contributo che sia l’uomo che la donna danno ai fini del soddisfacimento e della difesa dei bisogni dei membri della famiglia e della società.

Non c’è dubbio che anche lo scenario sociopolitico, a livello sia nazionale che internazionale, abbia influenzato il processo e gli esiti che ne sono derivati. In primo luogo, ovviamente la contingenza dell’avvento di un nuovo re nel 1999 ha sortito un impatto positivo. Re Mohamed VI ha messo in chiaro fin dalle sue prime dichiarazioni la volontà di far sì che i diritti delle donne venissero riconosciuti e protetti, assumendo la questione della giustizia e della parità come parte integrante del suo progetto democratico complessivo.

In secondo luogo, le battaglie portate avanti dalla società civile e la ricaduta economica sempre più diffusa a livello globale del rispetto mostrato verso i valori umani universali hanno svolto un ruolo decisivo. Le tematiche di genere hanno assunto una priorità assoluta nelle politiche delle organizzazioni internazionali che garantiscono supporto finanziario ai Paesi in via di sviluppo. Un ulteriore ragione per modificare la vecchia Mudawana era inoltre collegata alla globalizzazione: le vecchie leggi erano prese di mira dalle femministe marocchine che riportavano casi e testimonianze sulla difficoltà di applicare tali norme per le marocchine che vivevano all’estero, in virtù del loro netto mostrarsi in conflitto con il sistema del diritto nei Paesi ospiti.

Infine, purtroppo anche alcuni episodi tristissimi hanno finito per giocare un ruolo positivo ai fini della rielaborazione dello spirito e dei contenuti della legge nel suo complesso.  Dopo l’11 settembre e la conseguente “demonizzazione” dell’Islam, gli attivisti e i paladini dei diritti delle donne hanno voluto dimostrare che la maggior parte dei Paesi musulmani era in grado di gestire la questione dei diritti umani universali applicandoli anche all’universo femminile. L’attentato terroristico a Casablanca nel maggio del 2003 e l’emergere di un partito politico islamista nelle elezioni municipali del settembre 2003 avrebbero potuto influenzare le proposte della Commissione di Consulenza reale in vista dell’elaborazione di una bozza di nuova Mudawana. Al contrario – e ciò è oltremodo interessante – quegli eventi hanno rappresentato un segnale importante sia per le ONG in materia di diritti umani e delle donne sia per i leader politici e altri soggetti con voce in capitolo perché si facesse ogni sforzo per raggiungere il maggior grado di consenso possibile su questioni così fondamentali.

L’impatto del nuovo codice della famiglia sul processo di mutamento complessivo in atto in Marocco?

Prima di tutto, il nuovo codice della famiglia ha catalizzato la discussione e ampliato il dibattito pubblico riguardo alle questioni religiose e al tipo di società marocchina che puntavamo a creare per il futuro.

In secondo luogo, ha contribuito a consolidare il ruolo delle donne nella politica, così come nella sfera sia pubblica che privata.

Terzo punto, ha semplificato la modifica di altre leggi per far sì che si mostrassero coerenti con il principio di uguaglianza introdotto dal nuovo diritto familiare. Così, anche il codice del lavoro ha iniziato a prestare attenzione al problema delle molestie sessuali sul posto di lavoro. Oltre a ciò, nel 2007 è stato emendato il codice relativo alla cittadinanza, e per la prima volta le donne marocchine possono oggi trasferire la propria nazionalità ai loro figli, purché siano musulmane, anche se non hanno sposato un marocchino. Attualmente è in corso un processo di revisione anche del codice penale, oltre all’elaborazione di un progetto di legge nazionale che difenda le donne dalla violenza. A ottobre del 2008 era stata annunciata l’intenzione del Marocco di ritirare le riserve sulla CEDAW delle Nazioni Unite, intenzione formalmente ribadita ad aprile del 2011; il Protocollo Addizionale dell’ONU ha inoltre riconosciuto al Marocco il merito di porsi contro ogni genere di violenza a base sessuale.

Infine nell’ottobre del 2009 le cosiddette Soulaliyate, un gruppo di donne appartenenti ad alcune tribù che vantavano una parte di titolarità sulle terre degli antenati ma alle quali proprio in quanto donne era stato negato – fin dagli anni Venti del secolo scorso – il diritto di godere dei proventi derivati dallo sfruttamento di tali possedimenti collettivi, sono riuscite a conquistare il diritto di beneficiare al pari degli uomini dei ricavati ottenuti dal patrimonio dei loro avi.

Le sfide future

Cambiare la legge è senza dubbio un passo fondamentale. Tuttavia, per godere dei diritti introdotti dal nuovo codice della famiglia, per proteggerli e promuoverli, la società marocchina nel suo complesso ha ancora davanti a sé alcune importanti sfide da affrontare.

1.Le informazioni disponibili e l’attuazione nella pratica del nuovo diritto familiare lasciano ancora molto a desiderare.

2.Le questioni di genere hanno iniziato a diventare un tema predominante in tutte le politiche e gli ambiti di legge, ma non è ancora sufficiente.

3.Perché le donne marocchine riescano effettivamente a migliorare il proprio status il vero punto è ridurre la povertà e i tassi di analfabetismo, oltre a promuovere una maggiore integrazione delle donne all’interno della sfera economica.

4.Per cambiare la mentalità – che è l’obiettivo di certo più difficile da raggiungere – ci vorrà moltissimo tempo. Possono farlo le famiglie, le scuole e i media, a patto che il loro operato si fondi sul principio dell’uguaglianza.

Leggi anche l’analisi di Iqbal al Gharbi: “Islam: donne e cittadinanza al cuore di un riformismo possibile

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Nouzha Guessous | Nata in Marocco, educata in Marocco e in Francia, Nouzha Guessous è professore onorario all’Università Hassan II di Casablanca (Marocco) oltre che ricercatrice e consulente per i diritti umani e la bioetica. Membro fondatore dell’Organizzazione marocchina per i diritti umani (1988), consulente di varie ONG per i diritti delle donne e membro della Royal Advisory Commission per la revisione del codice di famiglia marocchino (Moroccan Family Code) (2001-2003)

Traduzione di Chiara Rizzo

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