Una chance sul clima

Il Corriere della sera: “I miliardi promessi dai capi di Stato per salvare la Terra”. E poi: “Putin su Ankara: jet abbattuto per difendere l’Isis”. “I due patti non detti” è il titolo dell’editoriale di Franco Venturini.

La foto in prima pagina è per i “cieli neri delle città d’Asia dove respirare significa fumare

A centro pagina: “Il Papa e Vatileaks: farò pulizia come Ratzinger”. “’Errori nelle nomine’”.

A fondo pagina: “Lo Yuan si fa spazio a spese dell’euro”. “La valuta cinese entra a far parte del paniere del Fmi, scende il peso della moneta unica”.

La Repubblica apre con una foto dei leader al vertice sul clima a Parigi: “’Terra, è l’ultima chance’”, “Obama scuote il vertice di Parigi sul clima. Hollande: il global warming peggio delle guerre. L’India gela le speranze: ‘Dobbiamo crescere, abbiamo il diritto di bruciare carbone’”.

Su questo tema il racconto dell’inviato Federico Rampini (“E Barack ammette le colpe degli Usa”), il reportage da Pechino di Giampaolo Visetti (“Cina, troppo smog, ‘Restate in casa’”), il commento di Thomas Picketty (“L’un per cento che inquina di più”).

A centro pagina: “Le accuse di Putin a Erdogan: ‘Jet abbattuto per il petrolio Is’”.

A fondo pagina: “Non trasformate il presepe in una bandiera politica”, di Michele Serra.

La Stampa: “Obama: in Libia più raid per frenare l’avanzata dell’Isis”, “Vertice con il presidente russo sul terrorismo”, “Jet abbattuto, Putin contro Erdogan: vuole difendere il petrolio del Califfo”.

Sulla guerra al terrorismo l’editoriale di Stefano Stefanini: “Due nodi da sciogliere per la svolta”.

In prima una grande foto di Papa Francesco a Bangui insieme all’imam Tidjani, che ha fatto salire sulla papamobile.

A centro pagina: “Clima, ultima chiamata a Parigi. Il Papa: siamo vicini al suicidio”, “Via alla Conferenza, i leader: ‘Un’intesa subito, non possiamo fallire’”.

Sul vertice di Parigi un commento di Mario Tozzi: “Un accordo vantaggioso è possibile”.

In prima anche un intervento di Andrea Gavosto: “I nostri prof più vecchi d’Europa”.

Sotto la testata, un nuovo articolo di Domenico Quirico dalla Siria: “’Il ritorno nella mia prigione. Un viaggio tra dolore e rimpianti’”.

L’Unità, con foto dalla Conferenza di Parigi dei leader: “Il clima è già bollente”, “I più grandi Paesi inquinatori (non tutti pentiti) a Parigi promettono l’accordo per salvare la Terra. L’India: ‘E’ nostro diritto bruciare il carbone’. Sos da isole e atolli: ‘Effetto serra come bombe’”.

Su questo tema gli interventi di Matteo Renzi (“E’ tempo di agire”), di Francesco Rutelli (“Il grande passo dell’umanità”) e del direttore Ersamo D’Angelis (“Indignados degli oceani”).

Più in basso: “Isis, Putin accusa Erdogan. Obama insiste: via Assad”.

Sulla politica italiana: “Diciotto mesi a Cinque Stelle: Livorno è in mezzo ai rifiuti”, “Nogarin contestato dai lavoratori e anche dai M5S. La giunta ha fallito”.

E a fondo pagina: “La brutta scuola: a Rozzano show indecente di Salvini”, “Il leader leghista, Gelmini e La Russa tra canti e insulti al preside”.

Il Giornale: “La ripresa non si vede. Rispunta la deflazione, la ricetta di Renzi è un buco nell’acqua”.

Il titolo più grande: “Attacco al Natale. Il patto del presepe. Le festività ‘laiche’ a scuola diventano un caso politico. Forza Italia e Lega unite nella difesa delle tradizioni. E a Sassari vietano al vescovo la visita nelle classi”.

A centro pagina: “Clima, un vertice fondato sulle bugie”. “Il riscaldamento globale non dipende dalle emissioni. E l’energia rinnovabile è un flop”.

In prima il quotidiano offre anche una intervista a Mario Mantovani realizzata da Lettera 43. “Mantovani: ‘In cella una inutile tortura. Mi chiederanno scusa’. ‘Più leggo le carte più mi accordo che non c’è traccia di alcun reato’”.

Il Sole 24 ore: “Dalle staminali alla nuova plastica: viaggio nella terra degli inventori. L’Italia che innova: Bologna, Parma, Reggio e Sassuolo: un quadrilatero che vale 27,5 miliardi di export”.

Di spalla una inchiesta: “I C-17 del Qatar, le coperture di Ankara, ‘l’agente di viaggio’ della Cia e le armi destinate ai ribelli in Siria”.

Sotto, le parole di Putin ieri sulla Turchia: “’Jet abbattuto per coprire il traffico di petrolio con l’Isis’”.

Sul vertice di Parigi: “Appello dei Grandi per salvare il pianeta”. “Al via la conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici. Hollande: punto di partenza di una profonda mutazione”. “Obama: è l’ultima chance. Renzi: ‘L’Italia vuole un’intesa vincolante’. L’Insia ostacola un accordo”.

E poi: “L’Fmi promuove la Cina: lo yuan entra nel paniere delle valute di riserva”.

Clima

La Repubblica, pagina 2: “Clima, l’ultima chance. Obama: errori dagli Usa ma cambiamo il futuro. L’India: prima la crescita”. “La Francia e l’Europa -scrive Federico Rampini- avrebbero voluto impegni più severi, una opzione impresentabile per i repubblicani americani”, “Bill Gates promuove un piano per convogliare capitali privati nella ricerca di tecnologie nuove per l’energia pulita”. Scrive ancora Rampini che da Parigi non uscirà un trattato con valore giuridico, ma un sistema di “Transparency & Reporting”, monitoraggio permanente dei progressi compiuti, sotto posti a vigilanza e verifiche internazionali.

Di fianco, l’intervista realizzata da “20 Minutes” con il presidente francese Hollande: “L’appello di Hollande: ‘Necessario un accordo, aiuti per i più deboli”, “In caso di fallimento la colpa sarà di tutti i Paesi del mondo”.

L’Unità, pagina 2: “Missione clima. Obama: ‘Parigi può essere il punto di svolta’”, “Al via la Cop21, Fabius: ‘Obbligo di successo’. Renzi: 4 miliardi per il climate change. L’indiano Modi: ‘Ma a noi serve il carbone per crescere’”.

Su La Stampa: “’Accordo subito per cambiare il futuro’”, “Al via la Conferenza Onu sul clima. Obama: siamo l’ultima generazione che può fare qualcosa. L’appello di Renzi: ‘Serve un’intesa vincolante, nella legge di stabilità 4 miliardi per l’ambiente’”.

“E’ tempo di agire” è il titolo dell’intervento del presidente del Consiglio Matteo Renzi, in prima su L’Unità: “dobbiamo tutti prendere atto -scrive- di una cosa molto semplice: fino a qualche anno fa erano i biologi, i matematici, i demografi, che si occupavano di rischi climatici. Oggi sono innanzitutto gli economisti che ci dicono ‘è il momento delle scelte, di fare ognuno di noi la nostra parte’. Si tratta dunque di una questione economica, e si tratta di una questione etica, morale. Vi porto la voce di un Paese, l’Italia, che ha le carte in regola. Siamo all’avanguardia in tanti settori, dalla green economy alla geotermia, abbiamo il 43% di energie rinnovabili che coprono il nostro fabbisogno elettrico, e siamo primi al mondo per contributo del fotovoltaico nel mix elettrico nazionale, circa l’8%. Con la nuova legge di stabilità, con la nuova legge di bilancio, noi abbiamo investito quattro miliardi di euro per frenare il climate change, da qui al 2020. Il ruolo dell’Italia poggia anche su due straordinari player, due straordinari champions come Eni ed Enel, che hanno saputo cambiare pelle e diventare oggi leader del processo si trasformazione e di rinnovamento. In particolar modo Eni in Africa ed Enel in Sudamerica”.

Su La Stampa: “Malintesi e ritardi, così l’Italia ha rischiato di essere esclusa dalla ‘coalizione green’”: “Il nostro Paese investirà 3,7 miliardi nel megaprogetto patrocinato dagli Usa”. Si legge che per una serie di malintesi e tardive risposte da parte degli uffici governativi preposti, fino alle 22.30 di domenica sera la lista degli Stati che insieme a una serie di colossi industriali intende investire ingenti risorse nel comparto green comprendeva il Cile, la Corea del Sud e altri 17 Stati, ma non il nostro Paese. Con una rincorsa frenetica alla fine “Mission Innovation” comprende anche il nostro Paese, che ha promesso di investire nel quadro del programma 2015-2020, 3,7 miliardi di euro. “Tutte risorse già stanziate e disponibili”, assicura il ministro dell’Ambiente Galletti.

Su L’Unità Francesco Rutelli segnala dapprima un cambiamento “di forma” di questo vertice rispetto ai precedenti e in particolare rispetto a quello fallimentare di Copenaghen: “i leader parlano subito, e non alla fine” e secondo alcuni questo “può servire a dare l’impronta di una forte volontà politica al negoziato”. La volta scorsa, a Copenaghen, gli interventi finali sono arrivati tardi, “su una trattativa mal impostata”. Il secondo cambiamento è “di sostanza”: “più che su un Accordo vincolante ed universale che metta 200 Stati sullo stesso piano, a Parigi si punta su impegni concreti -ma volontari e non legalmente vincolanti- di ciascuna Nazione del pianeta. Ma la cornice giuridica dev’essere credibile. E dunque impegnare la comunità internazionale a realizzare gli obiettivi, non a prometterli soltanto”. E qui Rutelli segnala una serie di difficoltà, fra le quali: le diversità degli impegni di ciascuno, poiché c’è chi punta sulla riduzione delle emissioni, chi sulla traiettoria di aumento previsto delle emissioni, chi sulla riduzione dell’intensità energetica, c’è chi si impegna per il 2020, chi per il 2030. E c’è chi non si impegna, in nome di un diritto allo sviluppo: il risultato è che anche se tutti gli obiettivi finora assunti venissero rispettati, la temperatura salirebbe a fine secolo ben oltre i 2 gradi ritenuti la soglia invalicabile. Vi è poi il rifiuto di adottare un prezzo universale sulle emissioni di CO2; basso, equilibrato, però in grado di incentivare una graduale e certa transizione dalle fonti energetiche e fossili.

A pagina 3 il direttore Erasmo D’Angelis si occupa degli “Indignados degli atolli”, per cui i gas serra sono come “bombe”: dalle Marshall a Tuvalu, dalle Maldive e Kiribati, “sei millimetri l’anno: tanto aumenta il livello degli Oceani surriscaldati. Popolazioni intere di vedono sparire letteralmente la terra sotto i piedi”. E “le follie climatiche hanno già creato, da due decenni, nel silenzio generale, avanguardie di profughi ambientali, ma con un bel paradosso: sono dei fantasmi, uomini, donne e bambini in fuga senza uno status, perché nei trattati internazionali ancora non esiste la definizione di rifugiato climatico”.

Su La Repubblica, un intervento di Thomas Picketty con copyright Le Monde: “L’Occidente inquina di più. Ora paghi per i suoi consumi”. “Si sente spesso dire -scrive- in Europa e negli Stati Uniti, che la Cina è ora il primo inquinatore a livello mondiale e che ora tocca a Pechino e agli altri Paesi emergenti fare degli sforzi. Dicendo questo, però, ci si dimentica di parecchie cose. Innanzitutto che il volume delle emissione dev’esser rapportato alla popolazione di ogni Paese: la Cina ha quasi 1,4 miliardi di abitanti, poco meno del triplo dell’Europa (550 milioni) e oltre quattro volte più del Nordamerica (350 milioni)”. Con l’ascesa dei Paesi emergenti -prosegue Picketty- “ora ci sono grossi inquinatori su tutti i continenti ed è quindi legittimo che tutti i Paesi contribuiscano a finanziare il fondo mondiale per l’adattamento. Ma i Paesi ricchi continuano a rappresentare la stragrande maggioranza dei maggiori inquinatori e non possono chiedere alla Cina e agli altri Paesi emergenti di farsi carico di una responsabilità superiore a quella che gli spetta”.

Su La Stampa un intervento di Mario Tozzi sottolinea che la nostra “è l’ultima generazione ancora in grado di opporsi al cambiamento climatico drammaticamente in atto. Basti pensare che. Se in questo esatto momento, tutte le attività umane che producono emissioni clima-alteranti (ma proprio tutte quante) si bloccassero completamente di colpo, perché la temperatura dell’atmosfera la smetta di incrementare ci vorrebbero almeno cinquant’anni, vista l’enorme inerzia del sistema climatico”.

Ancora da La Repubblica segnaliamo il reportage da Pechino di Giampaolo Visetti: “’Chiudetevi in casa’, lo smog da record ingoia le città cinesi”, “Xi promette ‘sforzi’ a Parigi, l’inquinamento vola 15-20 volte oltre i limiti compatibili con la vita umana”, “La coltre marrone è così impenetrabile che è saltato l’obbligo di stop ai semafori ormai divenuti invisibili”.

Su La Stampa, pagina 9: “’Lo smog fa 84.400 morti l’anno’. L’Italia maglia nera in Europa”, “Rapporto dell’Agenzia ambientale comunitaria: impegni non rispettati”.

Anche su La Repubblica: “Italia, primato nero: 84mila morti l’anno”, “Per Bruxelles siamo il Paese d’Europa con più vittime da inquinamento”, “In tutto il continente lo smog uccide 430mila persone ogni 12 mesi e ha pesanti conseguenze per l’economia e la sanità pubblica”.

Sul Giornale Franco Battaglia torna ad esporre il suo punto di vista sul tema del riscaldamento globale. “Come oggi si dice ma non è vero il consenso scientifico è che il caldo di cui gode il pianeta è conseguenza delle attività umane. Il fatto è che il pianeta vive da milioni d’anni in una sorta di perenne stato glaciale, interrotto, ogni centomila anni, da diecimila anni di, detta in gergo, optimum climatico. Orbene, questa nostra umanità sta vivendo nell’ultimo di questi favorevoli periodi. Ed è da ventimila anni, cioè da quando il pianeta cominciò a uscire dall’ultima era glaciale, che i livelli dei mari si sono elevati: di oltre cento metri rispetto ad allora”. E ancora: “Viviamo in un secolo di monotòno crescente riscaldamento, corrispondente all’inconfutabile monotòna, crescente immissione di gasserra? La risposta è no. Nel periodo 1945-1970, in pieno boom di emissioni, il clima visse un periodo d’arresto, ed è da almeno 14 anni che sta accadendo la stessa cosa: a dispetto di una crescita senza sosta delle emissioni di CO2, la temperatura media del pianeta è al momento stabilizzata ai livelli di 14 anni fa. Abbiamo così fatti a sufficienza per smentire ciò che viene spacciato come consenso scientifico”.

Sul Sole 24 ore Adriana Cerretelli scrive che “le evidenti cacofonie di interessi che continuano a dividere grandi e piccoli Paesi, industrializzati ed emergenti, ricchi e poveri non si sono molto attenuate” e “l’Europa si presenta a Parigi letteralmente a pezzi, soffocata da crisi multiple, interne ed esterne, e soprattutto dall’incapacità materiale di coniugarle con la logica dei suoi grandi numeri” ed appare dunque “il ventre molle di un mondo peraltro sempre più confuso e disordinato”.

Isis, Turchia, Siria

Sul Giornale, come sugli altri quotidiani, si dà conto delle tensioni tra Russia e Turchia. “Putin: ‘jet abbattuto dai turchi per coprire i loro traffici con l’Isis’. Negato l’incontro ad Erdogan. E il Cremlino accusa: Lascia passare il petrolio del Califfo. Sul mercato nero venduto al 50 per cento del prezzo”. Si legge che la denuncia sul fatto che il petrolio dell’Isis potrebbe essere anche arrivato in Europa e in Italia viene da un parlamentare iracheno, Mowaffack al Rubaie, ex consigliere alla sicurezza di Baghdad, secondo cui il petrolio verrebbe venduto sul mercato interno turco ma finirebbe anche a Ceyhan, terminal turco nel quale attraccano anche diverse petroliere italiane. Ieri sera Erdogan si è detto pronto alle dimissione se le accuse russe si dimostrassero vere.

La Stampa: “Il Cremlino attacca ancora il Sultano, ‘Compra petrolio dal Califfato’”, “Il presidente turco: mostri le prove e mi dimetterò. Mosca schiera le truppe speciali per blindare il confine siriano”. L’articolo di Maurizio Molinari cita direttamente le parole del presidente russo su Erdogan, pronunciate a Parigi durante i lavori della conferenza sul clima: “Ha fatto abbattere il nostro aereo per difendere i propri traffici petroliferi con lo Stato islamico”. L’agenzia russa Interfax cita la risposta di erdogan: “Se fosse vero mi dimetterei”.

L’Unità: “Putin accusa Erdogan , vacilla la coalizione contro l’Isis”, “Il presidente russo: jet abbattuto per coprire traffici con Daesh. Il leader turco: mi dimetto se provano che è vero. Obama insiste: via Assad”.

La Repubblica: “Putin evita Erdogan: ‘Ha abbattuto il jet per proteggere l’Is’”, “Il leader russo diserta la foto ufficiale per non incrociare il presidente turco. Poi l’accusa: ‘Difende i suoi traffici di petrolio con il Califfato’. E sullo sfondo l’ombra di Assad. Obama avvisa Mosca: ‘deve andare via’”

La Stampa: “Gli Usa mettono la Libia nel mirino: ‘Intensifichiamo i raid contro Isis’”, “I timori americani di un rafforzamento del Califfato nel Nord Africa. Obama vede Putin e spinge sualla cacciata di Assad. Oggi incontra Erdogan”.

Su L’Unità, intervista con Gianni Pittella, presidente dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, sull’intesa di domenica scorsa tra Ue e Turchia sui rifugiati (riceverà 3 miliardi di euro per trattenere e assistere i rifugiati sul suo territorio) . Dice: “Diritti, il patto con Ankara non è assegno in bianco”, “L’Europa non ha ceduto al ricatto di Erdogan, ma piuttosto alle circostanze straordinarie ed emergenziali: il flusso di migranti, il conflitto in Siria e la crisi con Mosca”, è stato un “errore di Merkel e Sarkozy aver lasciato la Turchia alle pulsioni neo-imperiali”, con la loro strenua opposizione all’adesione di Ankara all’Ue.

Sul Corriere Franco Venturini scrive che “si direbbe che gli europei, investiti dal flusso incessante dei migranti e colpiti dalla furia stragista dell’Isis, siano pronti a tutto pur di coprirsi le spalle” e che così sarebbe da interpretare l’intesa sul contenimento dei rifugiati siglata con la Turchia “dove non pochi valori fondamentali della Ue vengono sistematicamente offesi dall’autoritarismo democratico di Recep Tayyp Erdogan”, come così sarebbe da giudicare il “patto del diavolo suggerito dal ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, e in forma diversa dalla collega della difesa tedesca Ursula von der Leyen, che propongono di utilizzare contro il Califfato anche le truppe dell’esercito siriano fino a ieri descritte come una banda di massacratori”. Venturini ricorda che ci sono delle ragioni dietro a queste due scelte, ma si chiede comunque se sia “davvero lecito, in cambio di generiche promesse, infilare sotto il tappeto violazioni clamorose della libertà di stampa e morti misteriose di oppositori dediti alla difesa dei diritti umani”, per quanto riguarda la Turchia. Quanto alla Siria, è vero che “i curdi, da soli o alleati ad arabi sunniti secondo una formula americana che trova non poche difficoltà, e le piccole formazioni di ribelli più o meno moderati” non sono sufficienti, e che dunque “su piazza” c’è l’esercito di Assad, ma restano gli interrogativi: “le truppe si batterebbero per conto dei sunniti o degli sciiti oggi al potere a Damasco?”. In ogni caso “l’Isis ha di che esultare”.

Sul Sole Claudio Gatti firma una inchiesta sul ruolo di Paesi come la Turchia e il Qatar. Dalla inchiesta, scrive il quotidiano, “risulta infatti evidente che Turchia e Qatar non solo hanno interessi in contrasto con chi vuole sconfiggere il terrorismo islamista, ma hanno probabilmente armato formazioni estremiste associate a quel terrorismo. Sono inoltre emersi indizi che portano a pensare che anche gli Stati Uniti possano aver agevolato spedizioni di armi a militanti islamisti in Siria, la terra del Califfato”. Si cita anche una inchiesta Onu e una del New York Times sulla base della quale c’è il forte sospetto che alcuni aerei C17 che avrebbero trasportato armi ai ribelli siriani fossero usati abitualmente da una società che è stata definita dai media americani “l’agente di viaggio della Cia”. Si citano rapporti e messaggi classificati Usa, rivelati da Vatileaks. In uno “il dipartimento di Stato definiva il grado di collaborazione del Qatar nell’anti-terrorismo «il più basso della regione». Nell’ottobre dell’anno scorso, l’allora sottosegretario al Tesoro Usa David Cohen ha chiamato il Qatar «permissivo» in materia di finanziamento al terrorismo”. Si cita Hamas, il cui leader Meshaal è andato a Doha dopo aver lasciato la striscia di Gaza, e che ha riaperto un suo quartier generale all’estero nel 2013 a Istanbul, accolto a braccia aperte dal vertice dell’Akp. Si parla della Libia e delle armi che i turchi avrebbero portato in Siria. Si cita anche l’inchiesta diCumhuriyet secondo cui la Turchia sarebbe responsabile di un convoglio di camion casualmente intercettato dalla polizia al confine con la Siria nel gennaio del 2014 con un carico di casse piene di armi e munizioni. Per quello scoop, il 26 novembre scorso il direttore di Cumhuriyet Can Dundar e il capo della redazione di Ankara Erdem Gul sono stati arrestati su richiesta del Tribunale di Istanbul”.

Sempre sul quotidiano di Confindustria una intervista a Gilles de Kerchove, coordinatore europeo dell’antiterrorismo. “In Europa 5mila foreign fighters, ci vuole una intelligence comune”. De Kerchove dice che si ipotizza che di questi cinquemila uomini un 5-10 per cento sia “molto violento”, un “numero enorme”. Inoltre Daesh “ha mezzi economici notevoli”. Sul coordinamento in Europa dice di poter capire “che ci sia cautela nello scambio di informazioni”, che occorre coordinare il sistema Schengen con Europol e che comunque la sicurezza è considerata dai Trattati un “tema nazionale”, dunque per poter andare avanti bisogna anche cambiare i testi che comunque oggi già consento una maggiore collaborazione.

Papa, Vatileaks

Su La Stampa il “colloquio” con il Papa di Andrea Tornielli sul volo da Bangui: “Clima, agite adesso o mai più. Il mondo è sull’orlo del suicidio”, “Il Papa sul volo da Bangui parla di Vatileaks: fatto un errore. Sul conflitto in Siria: ‘Chi arma i terroristi? La guerra è un business”, “Possiamo dialogare con l’Islam, non si può cancellare una religione perché ci sono alcuni gruppi di fondamentalisti”.

Su La Repubblica ne dà conto, anche lui dal volo che lo riporta da Bangui in Italia, Marco Ansaldo: “Il Papa su Vatileaks 2: “’Un errore le nomine di Balda e Chaouqui, serve processo giusto con libertà di difesa”, “Ratzinger venne eletto per combattere la corruzione, io sto continuando la sia opera di pulizia in Vaticano”, “Ringrazio Dio che non ci sia oggi Lucrezia Borgia…Ma non ho perso il sonno per questo scandalo”, “La stampa deve essere professionale senza cadere nei tre peccati: diffamazione, calunnia e disinformazione”.

A pagina 13: “’In Vaticano cardinali sotto ricatto’”, “La verità di Balda sugli sponsor della Chaouqi: ‘La contessa Pinto teneva due porporati al guinzaglio’. Niente processo lampo: si allungano i tempi. La pierre e il marito indagati anche dalla procura di Roma”.

E sulla stessa pagina: “’Francesca chi?’. La corsa dei politici a smarcarsi da Lady Curia”, La donna accusata di essere uno dei corvi vedeva molti potenti. Che ora dicono: solo incontri sporadici”.

Anche sul Corriere l’intervista al Papa durante il viaggio di ritorno in Italia. Sulla povertà: “È un sistema economico dove al centro c’è il denaro, il dio denaro. Ricordo un grande ambasciatore, parlava in francese, non era cattolico, e una volta mi ha detto: nous sommes tous dans l’idolatrie de l’argent. E se le cose continuano così il mondo continuerà così. Lei mi domandava che cosa ho sentito davanti alle testimonianze dei giovani e a Kangemi, dove ho parlato chiaro dei diritti. Ho sentito dolore. Penso a come la gente non se ne accorga… “.

Sulla stampa e Vatileaks invita la stampa “professionale” a non “cadere nei tre peccati più comuni: la disinformazione, dire metà verità e non l’altra metà; la calunnia, quando non c’è professionalità si sporca l’altro con verità o senza verità; e la diffamazione, che è dire cose che tolgono la fama di una persona. Questi tre difetti attentano alla professionalità della stampa. Ma abbiamo bisogno della professionalità. Sulla corruzione vedere bene i dati e dirli: c’è corruzione qui, per questo, per questo….Poi un giornalista che è un professionista vero, se sbaglia chiede scusa: credevo ma mi sono accorto di no…”. Sulle nomine di Balda e Chaoqui: “Credo che è stato fatto un errore. Monsignor Balda è entrato per la carica che aveva ed ha avuto fino adesso. Lui era segretario della prefettura degli affari economici ed è entrato. Non sono sicuro di come sia entrata lei, ma credo di non sbagliare dicendo che è stato lui a presentarla come una donna che conosceva il mondo dei rapporti commerciali…Hanno lavorato, e quando è finito il lavoro i membri di quella commissione sono rimasti in alcuni posti, in Vaticano, anche Balda. La signora Chaouqui non è rimasta in Vaticano, è entrata e non è rimasta…”. E più avanti: “Ma io ringrazio Dio che non ci sia la Lucrezia Borgia! Bisogna continuare con i cardinali, con la commissione a pulire…”. Sull’Aids in Africa e i preservativi: “La domanda mi sembra troppo piccola…Mi sembra anche una domanda parziale. Sì, è uno dei metodi. La morale della Chiesa penso si trovi in questo punto davanti a una perplessità: o il quinto o il sesto comandamento? Difendere la vita o il rapporto sessuale aperto alla vita? Ma questo non è il problema. Il problema è più grande. Questa domanda mi fa pensare a quello che hanno domandato a Gesù una volta: dimmi, maestro, è lecito guarire il sabato? Ma è obbligatorio, guarire! La domanda se è lecito guarire così…Ma la malnutrizione, lo sfruttamento delle persone, il lavoro schiavo, la mancanza di acqua potabile…Questi sono i problemi. Non parliamo se si può usare tale o talaltro cerotto per una piccola ferita”.

Sul Corriere anche una intervista a Corrado Lanino, marito della Chaouqui. “Altro che marito di comodo, io amo la mia papessa”. Dice: “Non abbiamo fatto niente di quello di cui ci accusano”. Viene accusato di aver carpito segreti informatici e averli usati per ricatti. “Assolutamente falso”, “Sono un ingegnere informatico, faccio consulenze anche sulla sicurezza informatica, ma non ho mai fatto l’hacker”. “Mai preso un euro dal Vaticano. Né segreti. Non ne avrei avuto modo”. IL primo incontro con Chaouqui è stato via chat, poi si sono incontrati a Roma: “Era volontaria Unitalsi e il treno di Lourdes si fermava mezz’ora all’Ostiense. Aveva 18 anni. Abbiamo cominciato a vederci. E dopo 4 anni abbiamo deciso di sposarci”. Quando è andata a lavorare per il Vaticano ha cominciato a chiamarla “la papessa”. Sulle parole del Papa che ha parlato di nomine sbagliate, interviene lei: “Certo. Ha nominato due collaboratori e scopre che Balda dà le carte ai giornalisti. Io vengo descritta come una specie di prostituta. Lo avrei fatto anch’io. Però…Ho sbagliato anch’io ad accettare. Prima avevo una vita felice”.

Il Giornale intervista Gianluigi Nuzzi: “’Usano sesso e gossip per ridurre tutto a una gran caciara’. ‘Vogliono distogliere l’attenzione dal vero scandalo: gli sprechi della Chiesa’”. Il processo che lo riguarda è stato rinviato al 7 dicembre, dunque non finirà prima dell’avvio del Giubileo. Chirisce che il carteggio pubblicato ieri da Repubblica tra Balda e Chaouqui non compare nel suo libro. Ribadisce che non chiede e non vuole la grazia, vuole essere prosciolto.

Per tornare al Corriere, Andrea Riccardi commenta il viaggio africano di Bergoglio ricordando che “moltissimi erano contrari” a qusto viaggio ma Francesco è voluto “andare a Bangui, rispettando il programma, anche la visita al quartiere musulmano (che suscitava le maggiori perplessità). Ha avuto un coraggio personale straordinario, rivelatore del senso profondo del suo ministero. Ha mostrato l’audacia di chi vive quello che crede. Non ha avuto paura di andare nella moschea centrale di Koudougou a proclamare: ‘Tra cristiani e musulmani siamo fratelli’. È anche una lezione a noi europei spaventati del futuro, specie dopo gli attentati di Parigi”.

Milano, Pd

Su La Repubblica: “Milano, dalle Acli agli industriali, ecco la lista civica per Sala”, “Domani il vicensindaco Balzani incontra il premier, sponsor Pisapia”.

L’Unità: “Milano, il gelo di Sala su Pisapia. Primarie verso lo slittamento”. Dove si legge che Pisapia già nell’ottobre scorso aveva insistito sul nome della sua vice, Francesca Balzani, per succedergli alla carica di sindaco, per dare continuità al progetto “arancione” che ha retto Milano negli ultimi cinque anni.

“Sul caso Sala -scrive Stefano Folli su La Repubblica – Renzi si gioca il futuro del centrosinistra”, “Una vittoria del commissario all’Expo sarebbe una sconfitta per i progetto Pisapia e per il suo orizzonte politico”.

Presepe

Sul Corriere Marco Ventura firma un commento dal titolo “Inquieti per le fedi altrui, insicuri della nostra. Ma chi ama i simboli religiosi non li sbandiera”. Dove si legge che è “un terribile effetto del massacro di Parigi” la scena di “politici che si contendono microfoni e telecamere a colpi di presepe”.

E poi

Da segnalare sulla prima di Avvenire, in esclusiva, il discorso pronunciato ieri da Gino Strada nel ricevere il Right Livelihood Award al Parlamento svedese. Il premio è considerato alternativo al Nobel per la Pace. Il titolo dell’intervento di Strada: “Aboliamo insieme la guerra, un’utopia da da realizzare adesso”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *