Torna Sarkò (e dice né Fn né Ps)

Il Corriere della Sera: “Il ritorno di Sarkozy. Le Pen non sfonda. Recupero dei socialisti”. “Test in Francia, prevale il partito dell’ex presidente”.
In evidenza anche il voto amministrativo in Andalusia: “Per Podemos successo a metà”.
Il titolo più grande è per l’accordo Pirelli-ChemChina: “Pirelli, i segreti di una svolta”. “Prima visita di Ren Jianxin nel 2012. Le garanzie sulla guida italiana”. “L’alleanza inedita tra Cina e Russia. Opa a settembre per ritirare il titolo. Tronchetti: assicurato lo sviluppo”.
A centro pagina: “Pisapia non si ricandida. La nuova sfida di Milano. Le mosse di Renzi. Le speranze del centrodestra”. Il commento di Giangiacomo Schiavi: “Il vuoto impossibile mentre l’Expo sta decollando”.
A fondo pagina: “Cara acqua, ci costi il doppio di dieci anni fa”. “Crescita tripla rispetto ad altri Paesi europei. La bolletta record a Firenze”.

La Repubblica: “Dirigenti a rotazione, piano anticorruzione per le società di Stato”, “Padoan e Cantone varano un decalogo contro gli illeciti. Il premier vuole intervenire sul ministero delle Infrastrutture”.
La foto in prima è per il leader dell’Ump Sarkozy: “La Francia vota e torna Sarkozy, il Front National non sfonda”.
La colonna a destra: “Milano, il sindaco Pisapia: ‘Non mi ricandido, è coerenza, non tradimento’”, “’Non sono stanco, ma la politica non può essere una professione’. Pensa a un ruolo di garante unitario”.
Sullo “scontro Pd”: “Orfini a D’Alema: ‘È finito il tempo della meglio classe dirigente’”.
A centro pagina: “Pirelli, ok ai cinesi: pronta l’opa”, “Firmato l’accordo, Tronchetti resta alla guida”.
In prima anche il richiamo ad una intervista dell’Huffington Post al presidente Usa: “Obama: ‘Israele, quella dei due Stati è l’unica scelta’”.
A fondo pagina, intervista alla cooperante Vanessa Marzullo, rapita e liberata in Siria con l’amica Greta Ramelli: “’Non mi vergogno’, lo sfogo di Vanessa”.

La Stampa: “Le Pen non sfonda, torna Sarkozy”, “Francia, il partito dell’ex presidente primo nelle amministrative: ‘Nessun accordo con il Front’”, “L’estrema destra sale comunque al 26,3%, socialisti solo terzi. Spagna, mel voto in Andalusia irrompe Podemos”.
Il quotidiano ha intervistato l’ex premier socialista Zapatero, che, di Podemos, dice: “Sono utopisti, non populisti”, “Gli Indignados di Iglesias non cambieranno la politica”.
A centro pagina, foro del corteo funebre con cui le donne di Kabul hanno portato al cimitero la salma di Farkhunda, lapidata dalla folla: “La ribellione delle tredici donne afghane”, “Portano la bara di una giovane linciata con false accuse rompendo la tradizione religiosa”.
In prima anche l’intervista al ministro dell’Interno e leader Ncd: “Alfano: nuove regole sulle intercettazioni”, “Il presidente del Consiglio non vuole ridimensionarci, anche perché non credo sia nell’interesse della maggioranza. Noi non chiederemo le dimissioni dei sottosegretari indagati”.
Poi le notizie sul sindaco di Milano: “Pisapia: non mi ricandido a sindaco”.

Il Fatto ha in prima un fotomontaggio che raffigura Sergio Marchionne con la regina Elisabetta e John Elkann: “Niente fisco, siamo inglesi”, “Londra è il più grande paradiso fiscale. Nel cuore dell’Europa. Bastano un paio d’ore e senza documenti si crea una società. Così lo Stato italiano perde miliardi su miliardi, ma nessuno dice niente”.
Sull’inchiesta Grandi Opere: “Il vescovo, la cricca e i tre milioni in Svizzera” (si tratta di Monsignor Francesco Gioia, “ormai noto per il suo attivismo nel trovare voti per l’ex ministro Maurizio Lupi e l’assunzione del nipote alla ‘cricca’ che governava il ministero delle Infrastrutture” e il quotidiano parla di “sospetti di riciclaggio di Bankitalia”).
Ancora sulla cronaca giudiziaria, da segnalare l’attenzione per l’ex deputato di Fi Amedeo Matacena, ora latitante, dopo la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa, che ha concesso un’intervista all’Ansa: “Se torno inguaio Fi e la sinistra”, “So tutto dei soldi per Telekom Serbia”.
Infine, “False riforme” è il titolo di un articolo in cui si sottolinea che “le province abolite costano più di prima”.

Il Giornale: “La verità sui prezzi delle case. Chi boicotta la ricchezza”. “Bankitalia: il valore è diminuito per sempre. Colpa degli ultimi governi, che hanno distrutto il settore a colpi di tasse”, con un commento di Nicola Porro.
Poi, sull’accordo Pirelli-ChemChina: “Pirelli ai cinesi, ma la testa rimane italiana”.
Il “controcorrente” questa settimana è dedicato al “fallimento degli ecologisti”: “I veti e il catastrofismo non pagano, i guru sono spariti. E le multinazionali ora sono ‘green'”.
Da segnalare anche una intervista ad un ex della Lega, Giancarlo Pagliarini: “Che delusione la mia Lega, ha dimenticato il federalismo e pensa solo a beghe interne”.

 

Pirelli

Chem China è il nuovo socio di Pirelli, racconta La Stampa in prima, riferendo che dopo una giornata di riunioni tecniche il consiglio di amministrazione di Camfin ha dato il via libera definitivo all’accordo. Il presidente sarà cinese e Tronchetti Provera l’amministratore delegato. “L’intesa blinda la sede in Italia”, scrive poi il quotidiano, e “ci sarà una nuova governance”: “per la Pirelli inizia una nuova era, a maggioranza cinese, quella del colosso China National Chemical Corporation” attraverso una delle sue controllate, la China National Tire & Rubber Co (Cnrc). Marco Tronchetti Provera ha spiegato che l’operazione rappresenta “una grande opportunità per Pirelli. L’approccio al business e la visione strategica di Cnrc garantiscono lo sviluppo e la stabilità di Pirelli”. E il presidente di ChemChina, Jianxin Ren si è detto lieto di diventare “partner di Marco Tronchetti Provera e del suo team per continuare a costruire insieme un gruppo di portata mondiale e un leader del mercato nell’industria mondiale dello pneumatico”. Doppia – scrive La Stampa – è la sfida industriale: rafforzare i piani di Pirelli (puntando in particolar modo sull’alto di gamma) e raddoppio dei volumi (da 6 a 12 milioni di gomme) sul segmento “industrial” (pneumatici per i veicoli industriali) che sarà integrato con Aelous, del medesimo gruppo cinese.

“Gli Usa temono la resa europea”, è il titolo dell’analisi di Federico Rampini, che evidenza come gli Stati Uniti siano in allarme, temendo che Pechino faccia “shopping”, mentre l’Europa “non ha strategie”. Scrive Rampini per spiegare queste preoccupazioni che la notizia sulla scalata cinese alla Pirelli arriva pochi giorni dopo un’altra, che ha messo in allarme gli Usa: l’adesione di quattro Paesi europei alla nuova Banca asiatica d’Investimenti in Infrastrutture, voluta da Pechino per ‘sfidare’ l’egemonia Usa sulla Banca Mondiale e il Fondo Monetario. L’Amministrazione Obama, prosegue Rampini, non è contraria per principio agli investimenti cinesi in Occidente: anzi, li considera benefici per ‘riciclare’ in parte l’attivo commerciale che la Cina accumula con le sue esportazioni. Questo “riciclaggio” avveniva in parte acquistando buoni del Tesoro americani, creando una simbiosi fin troppo soffocante tra il massimo debitore sovrano (gli Usa) e il massimo creditore sovrano (la Cina): è meglio -sottolineano i consiglieri economici di Obama come Michael Froman – se la Cina diversifica i suoi investimenti. Ma l’Occidente deve avere una visione strategica e, quando la sicurezza nazionale o la salvaguardia della propria superiorità tecnologica lo richiedono, deve saper dire no ai cinesi.

Il Corriere della Sera ricostruisce il “lungo cammino che ha portato alla svolta” di Pirelli acquisita dai cinesi, e parte da una “telefonata” tra Ren Jianxin, il potente capo di China National Chemical Corporation” e Tronchetti Provera, per  la richiesta di un incontro, perché “vuole comprare”. “Jianxin è un self made man, originario della zona rurale dello Dunhuang, che ha iniziato lavando teiere per diventare un big nelle pulizie industriali e, successivamente, per conto del governo centrale ha iniziato ad aggregare piccole aziende chimiche dando vita a ChemChina. A Tronchetti racconta la sua storia, da dove è venuto, le difficoltà che ha dovuto superare, mostrando un lato umano che i cinesi non hanno l’abitudine di rivelare”. L’altro pezzo dell’alleanza, quello con i russi, “finirà per creare qualche problema. Che stavolta non si può risolvere con una trattativa. Il problema si chiama Ucraina. Rosneft e il suo presidente Igor Sechin, che è anche consigliere della Pirelli, vengono colpiti dalle sanzioni internazionali contro la Russia. Raccontano che fu Tronchetti a gestire la situazione volando a Washington per spiegare al Dipartimento di Stato che quella con Rosneft era un’alleanza industriale e che Pirelli fa pneumatici e basta. Nulla che abbia a che fare con la sicurezza o la difesa. Rosneft rimane a bordo come socio e alleato”. Secondo il quotidiano Renzi “era al corrente della stretta con ChemChina”, era stato informato della operazione negli ultimi giorni, e non ha interferito,. “Le polemiche sull’italianità, sull’arrivo dei cinesi, sulle garanzie occupazionali, che hanno fatto da cornice al rush finale fanno parte del gioco. Un po’, forse, Tronchetti se le aspettava, anche se in Pirelli non cambierà nulla. Rispetto ai vecchi accordi con Rosneft, quelli firmati ieri saranno addirittura più stringenti, oltre a definire un nuovo equilibrio in cui i soci italiani peseranno più dei russi”.

Anticorruzione

Alle pagine 2 e 3 La Repubblica offre anticipazioni della direttiva anti-corruzione con la doppia firma del ministro dell’Economia Padoan e del presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone: “Una sfida alla corruzione”, scrive Liana Milella, consistente in una sorta di decalogo per avere società pubbliche a prova di trasparenza, con rotazione degli incarichi, rigide incompatibilità e ampia tutela per chi svela il malaffare. Si applicherà subito alle aziende non quotate sotto il diretto controllo del Ministero dell’Economia e, tra qualche settimana, dopo un confronto con la Consob, anche alle quotate. Si parla di imprese strategiche dell’economia italiana come Rai, Anas, Fondo Italiano di investimenti, Expo, Sogei, Eni, Enel, Finmeccanica, Poste e Ferrovie.

Elezioni in Francia

Le prime tre pagine de La Stampa sono dedicate al primo turno delle elezioni amministrative in Francia: “La Francia si consegna alla destra. Sarkozy rallenta il treno Le Pen”, “primo turno delle amministrative: neogollisti al 29,2%, il Front National al 26,3%. Socialisti di Hollande fermi al 21%. L’Ump: nessuna intesa per i ballottaggi”. Scrive Paolo Levi che è “la vittoria della Francia repubblicana”, poiché c’è stato “il grande ritorno” di Nicolas Sarkozy, leader dell’Ump, in un momento in cui era attesa l’affermazione del Front National di Marine Le Pen come primo partito a livello nazionale. L’estrema destra ha conquistato terreno, ma non ha “sfondato”, mentre la gauche è sprofondata al terzo posto. Dopo il boom delle elezioni europee dello scorso anno, dove il Front National si è imposto come primo partito di Francia, la “Dama nera” Marine Le Pen sperava di mantenere il primato. Ma l’interessata sostiene comunque che il suo partito resta “il primo di Francia”, perché l’Ump di Sarkozy si presentava alleato con l’Udi (Union des Démocrates et Indépendants di Jean-Louis Borloo, formazione di centrodestra). Noi, invece, ha detto la Le Pen, “viaggiamo da soli, con un risultato assolutamente storico” per il Front, che -sottolinea La Stampa- incassa il miglior risultato della sua storia in un’elezione locale.
Il quotidiano intervista Jean-Yves Camus, politologo esperto di estrema destra: “Il Front ha mancato il vero obiettivo. Ma ora fa meno paura ai francesi”, dice. È vero che hanno ottenuto una percentuale di voti relativamente alta, all’incirca quella delle europee del 2014, dice Camus, “ma loro volevano superare la quota del 30% e non ci sono riusciti”. Molti francesi “hanno votato per la formazione di Marine Le Pen e non hanno più paura del FN. Ma in tanti sono convinti che non siano ancora in grado di esercitare il potere”. Ha funzionato la strategia della paura del primo ministro Valls? “Ero un po’ scettico sulla sua tattica, ma in realtà ha funzionato, almeno su una parte dell’elettorato di sinistra, che è andato a votare e che forse non l’avrebbe fatto senza il timore della vittoria della Le Pen. Ma al di fuori di quel bacino di elettori, la paura del Front National non esiste più”. A pagina 3 Leonardo Martinelli descrive il “personaggio” Sarkozy: “Avanti senza compromessi. La rivincita dell’ex presidente”, “Sarkò ha chiesto una revisione di Schengen e linea dura sugli immigrati spostando così il suo Ump su posizioni più estreme. Ora punta all’Eliseo”. Negli ultimi giorni, si spiega, aveva parlato di “assimilazione” rispetto agli immigrati, in contrasto con “l’integrazione”.

Su La Repubblica da segnalare un’analisi di Bernardo Valli: “Il ritorno di Nicolas che scippa la vittoria al Front National cavalcando le stesse paure”, “l’ex presidente torna alla ribalta anche grazie a un programma che ricalca quello di Marine”. E i socialisti “usufruiscono dello spirito del ‘post-Charlie’. Insieme al Front de Gauche e agli ecologisti arrivano al 35%”. Il quotidiano intervista il politologo Dominique Reynié, esperto di populismi e del voto Fn, che si dice convinto che “la marcia trionfale di Marine Le Pen si è interrotta”, perché i risultati del Front National sono comunque “deludenti”: “in termini assoluti si tratta del miglior risultato nella storia del Fn alle elezioni dipartimentali. Ma nella traiettoria vincente del partito è una frenata”. È stato grazie al fatto che l’Ump di Sarkozy si è alleata con i centristi? “È quel che dicono i Le Pen, Marine e sua nipote Marion, ma mi sembrano argomenti da perdenti. La verità è che per il Fn c’è una narrazione che si è interrotta. Una sorta di usura dell’ideologia frontista.”. Inoltre, dice Rynié, “sono convinto che nei potenziali elettori del Fn sia in corso una presa di coscienza”. Quale? “L’esempio di Tsipras in Grecia sta mostrando che quando un partito anti-sistema vince le elezioni, non riesce poi a governare. La retorica anti-Ue svanisce davanti alla dura realtà”.

Massimo Nava sul Corriere scrive che “per quanto locali” i risultati delle elezioni dipartimentali in Francia rimandano un quadro che vede la conferma del radicamento nella società del FN, secondo partiti. Quanto ai  gollisti di Nicolas Sarkozy, “al primo test come presidente del partito, marca un successo e riconquisterà al secondo turno molti dipartimenti perduti nel 2011. È un fatto, tuttavia, che il recupero sul serbatoio populista e xenofobo avvenga inseguendo tematiche care al Fronte in materia di sicurezza e immigrazione, ormai banalizzate nel dibattito quotidiano. Il partito socialista del presidente Hollande, pur limitando lo smottamento, rischia di perdere tradizionali bastioni elettorali e di ingigantire, al ballottaggio, la vittoria dell’Ump per fare barriera contro Le Pen”. Dunque “l’asse della Francia si sposta sensibilmente a destra. La sinistra, divisa e conflittuale al proprio interno, è minoritaria nel Paese. Il risultato fa evaporare lo spirito di gennaio, l’orgogliosa riscossa della Francia dopo l’attacco a Charlie Hebdo”.

Il Corriere intervista Frédéric Mitterand, nipote di François, autore di un libro autobiografico. “Mio zio Mitterand parlava alla Storia. Questi politici non hanno una visione”. È stato Ministro della Cultura con Sarkozy, ma dice oggi che la sua “evoluzione attuale, al di là dei risultati, è terribile”, e non tanto per gli scandali quanto “per questa deriva a destra”, il “suo copiare i temi del FN sull’islam e l’immigrazione”. Dice che gli piace Valls, “molto coraggioso nel mettere in guardia contro il pericolo di un FN al primo posto”. Hollande invece “non è carismatico e non è colto”, “è un vero guaio”, “legge solo le note che gli preparano”. “I due politici del momento in Francia sono Alain Juppé a Bordeaux e Martine Aubry a Lille”, uno di destra e l’altra di sinistra, ma “entrambi puntano sulla cultura”.

Su Il Giornale: “Test per l’Eliseo, Sarkò sorpassa Le Pen”, “L’Ump davanti al Front National. I socialisti in calo lanciano segnali per una nuova alleanza ‘anti Marine’”. E l’ex presidente Sarkozy “dice no a patti con la sinistra ma anche con il Fn”.

Podemos in Andalusia

“Podemos non sfonda nel voto in Andalusia. Vincono i socialisti, tracollo dei Popolari”, titola La Repubblica, con un articolo di Alessandro Oppes, a pagina 15 dando conto di quella che considera una “boccata d’ossigeno” per i socialisti: il Psoe è al 37%, trionfa la governatrice Susan Diaz (figura emergente del partito anche a livello nazionale, tanto che viene indicata come possibile alternativa alla premiership rispetto al poco convincente segretario generale Pedro Sanchez), è stata “bocciata l’austerity del premier Rajoy. E resta sotto le aspettative il partito “Podemos” di Iglesias, che si è fermato al 15%. I Popolari di Rajoy sono crollati dal 40,5% al 25,5%, passando da 50 a 33 seggi.

Su La Stampa, pagina 4: “In Andalusia irrompe Podemos”, “Vittoria dei socialisti nelle regionali, ma il partito degli ‘Indignados’ va oltre il 15%. crollo dei Popolari di Rajoy, che perdono 14 punti. L’astensione arriva al 40%”, spiega Gian Antonio Orighi. E sulla stessa pagina compare un’intervista i Francesco Olivo all’ex premier socialista José Luis Zapatero, interpellato sulle caratteristiche del partito “Podemos”: “Macché populisti, sono dei socialdemocratici”, dice, sottolineando che si tratta di “giovani utopisti” (“il paragone con il M5S è sbagliato”, dice) e “non cambieranno la politica”, perché “sarà il sistema a cambiare loro”. (Zapatero peraltro viene interpellato sui contenuti del suo ultimo libro e in particolare sugli accenni alla situazione dell’Italia ai tempi del vertice G20 di Cannes: “Berlusconi e Tremonti subirono pressioni fortissime affinché accettassero il salvataggio del Fmi. Loro non cedettero e nei corridoi si cominciò a parlare di Monti. Mi sembrò strano”. Berlusconi parla di golpe, cosa ne pensa? “Io mi limito a raccontare quello che ho visto: gli Usa e i sostenitori dell’austerità volevano decidere al posto dell’Italia, sostituirsi al suo governo”).

Pisapia

Alle pagine 6 e 7 de La Repubblica: “Pisapia gela il centrosinistra: ‘Non mi ricandido più ma non è un tradimento”, “L’annuncio del sindaco: il mio è un gesto di coerenza, avevo sempre detto che avrei fatto un solo mandato”. Le primarie, ha detto Pisapia, “sono uno strumento utile per scegliere dal basso, ma non sono un totem e hanno perso credibilità”, “Non ho ricevuto pressioni dal Pd, solo domande e inviti affettuosi. Gli ultimi sondaggi mi davano vincente”. Il “retroscena” sul toto-nomine: “per la successione ecco Ambrosoli e Guerra (Andrea Guerra, ex ad di Luxottica).

Su La Stampa: “Pisapia non si ricandida. E sulle primarie apre: ‘Non sono un totem’”, “Il sindaco ammette: ‘Lo strumento ha perso smalto’. Milano grana per Renzi, tentato dalla carta Guerra”.

Grande attenzione sul Corriere alla situazione milanese, dopo l’annuncio di Pisapia che non si ricandiderà alle prossime elezioni amministrative. “Pisapia non si ricandiderà. Non è stanchezza, sono coerente”. “Il sindaco: nessuna pressione dei partiti”. “Si apre la corsa per il 2016”. Ma vuole che si continui a tenere insieme la coalizione di sinistra e movimenti civici che lo ha portato a Palazzo Marino, e dunque la futura scelta del candidato “dovrà per forza fare i conti con la sua persona e con quello che chiama il ‘progetto'”, ovvero l’alleanza che tenga insieme la sinistra, Sel compresa.
Il quotidiano milanese offre anche una intervista a Maurizio Martina, ministro dell’agricoltura ed ex segretario del Pd in Regione. “Io faccio altro, non vivo a Milano e questo non è il mio tema”, dice. Dice anche che ora la strada maestra passa per le primarie aperte che “chiamino a raccolta in modo partecipativo tutti gli elettori del Pd e del centrosinistra”. “Spero che non partano autocandidature e ricerche a vuoto”, dice ancora.
Altro articolo: “I dubbi del leader Pd sui candidati. L’idea di un uomo della società civile”. “Per Palazzo Marino non convincono le ipotesi di Majorino, Fiano e Scalfarotto”.

Su Il Giornale: “Pisapia libera Milano dai disastri arancioni: ‘Non mi ricandido’”, “Dopo quattro anni di insuccessi il sindaco annuncia di non voler correre nel 2016. Si chiude la stagione degli amministratori di estrema sinistra”. Per il quotidiano il bilancio di Pisapia è “misero”: “Al suo attivo solo il registro delle coppie di fatto e una ‘gay street’”.

Grecia

La Stampa ricorda che oggi il premier greco Tsipras sarà in Germania: “dalla Merkel per stringere sul prestito”. “Ma la pazienza è finita, anche a sinistra”, scrive Tonia Mastrobuoni.
E il quotidiano intervista l’economista Konstantinos Papadopoulos: “Atene deve accettare la linea dell’Ue. Ma il prezzo degli aiuti è troppo alto”, “L’austerità ha rovinato una generazione”.

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