Riforme, Grillo riapre. Renzi: non temo la ‘dinastia Min’

Il Corriere della Sera: “Milano, lite infinita in Procura. Expo, ora il Pg Minale accusa: da Bruti poca trasparenza”. E poi: “Primi patteggiamenti per gli appalti truccati, 3 anni a Rognoni, ex direttore di Infrastrutture”.
In alto: “Tensione Pd-M5S sulle riforme. Napolitano: basta con i rinvii. Richiamo del Presidente. In serata il Movimento riapre”.
A fondo pagina: “Preti e abusi, il Papa chiede perdono”. “Francesco incontra sei vittime: commessi peccati gravi e gravi crimini”.

La Repubblica: “Svolta sulle riforme, sì di M5S al Pd. Renzi: vicini a un risultato storico”, “Grillo attacca il premier, poi Casaleggio e Di Maio impongono la retromarcia e approvano i quesiti dem”.
A centro pagina: “Pedofilia, mea culpa del Papa”. Ma anche la vicenda di Oppido Mamertina: “Il vescovo: basta processioni”.

La Stampa: “Abusi, il mea culpa del Papa”, “Francesco riceve le vittime: quel che avete subito pesa sul mio cuore”. Sotto la testata: “Riforme, lite Grillo-Renzi dopo l’incontro saltato. Poi i 5 Stelle dicono sì al Pd”, “Napolitano: il confronto proceda senza rinvii”.

Il Fatto: “Il Colle affonda il Senato. Grillo, 10 sì per stanare Renzi”, “Nuova invasione di campo di Napolitano: ‘Superare il bicameralismo paritario’. Un assist al premier che però domani non riuscirà ad avere il voto in Aula. Italicum, no del ministro Martina. Il M5S, dopo vari contorcimenti, risponde al Pd. Ma il dialogo è in salita”. A centro pagina, ancora il caso della processione di Oppido Mamertina e nel titolo si sintetizzano le parole del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, intervistato dal quotidiano: “’Attenti, le minacce sono per il Papa’”. In taglio basso, la Procura di Milano e le tensioni interne: “Il pg Minale difende Robledo contro Bruti”.

L’Unità: “I grillini piegano Grillo. Riforme, il capo dei 5 Stelle prima insulta Renzi, poi è costretto dai suoi a riaprire il confronto. E arrivano 10 sì alle proposte Pd. Guerini: ora possiamo incontrarci. Napolitano: evitare rinvii”. Una intervista al capogruppo del Pd alla Camera Speranza, anche sul dibattito interno, è titolata: “Giusto discutere, ma poi rispettare la scelta”. In evidenza anche la notizia della morte di Shevadnadze, “ambasciatore della perestrojoka”.

Il Sole 24 Ore: “Padoan: ‘Flessibilità a chi fa le riforme’. Il governo riprogramma 1,5 miliardi di fondi Ue”. Schauble ribadisce: ma niente scorciatoie. Il Pse rilancia gli Eurobond”. Di spalla: “Napolitano: urgente la riforma del Senato, no a nuovi slittamenti. Renzi incalza il Pd: sì entro il 16. Duello con Grillo: poi 10 sì da M5S”.

Il Giornale: “Assalti rom ai treni delle vacanze”. “Scippi e aggressioni ai turisti in aumento del 20 per cento. Ma se Il Giornale lo denuncia, lo accusano di razzismo”. Il quotidiano offre una lettera di una lettrice “indignata e spaventata” da Roma. L’editoriale di Alessandro Sallusti è titolato: “Tutelano più loro di noi due”. E poi: “Roma invasa dai rifiuti. Vespa guida la rivolta. Il conduttore attacca Marino: ‘Uno scandalo nazionale’. E il sindaco? Si vanta di aver fatto 35 mila chilometri in bicicletta”.
Di spalla: “’Le scuse del Papa rendono la Chiesa più potente’”. Si tratta di una intervista a Cesare Cavalieri, direttore di Studi Cattolici.
A centro pagina le riforme: “Grillo si arrende al Pd. Dieci sì alle proposte, ma c’è chi fa resistenza”. “E il governo sblocca 13 miliardi di debiti nei confronti delle imprese”.

Riforme

Su L’Unità si racconta della giornata del M5S: “Ma il Movimento impone a Beppe il dietrofront”. Si legge che dopo il primo post di Grillo, un video trascritto sul blog, durissimo nei confronti del Pd per l’incontro previsto ieri e saltato: “Vigliacchi, ipocriti, falsi, qui stiamo andando verso una dittatura di stampo legale, l’ebetone è pericolosissimo, noi non cediamo più di un millimetro”. Un’ora e mezzo dopo un nuovo post in cui si spiegava a chi “non ha capito” che “le porte del M5S “sono sempre aperte” per discutere di legge elettorale. Secondo il quotidiano ad imporre la svolta sarebbero stati Di Maio e Toninelli (rispettivamente vicepresidente della Camera e autore della Proposta di legge elettorale grillina), “segno che il leader è sempre meno leader”, segno che “quando si deve iniziare a far politica sul serio lui non basta più”, “i suoi toni non sono più adatti”. A sera, aggiunge il quotidiano, arriva la risposta scritta del M5S ai dieci quesiti del Pd, che “riprende i concetti esposti” in conferenza stampa da Di Maio e Toninelli nel pomeriggio: “Sì al doppio turno e al premio di maggioranza”, ma “senza coalizioni”. Chi prende il 50 per cento ottiene il 52 per cento dei seggi. Altrimenti c’è il ballottaggio tra i primi due. No alle coalizioni ammucchiate. Sì alla controllo preventivo della Consulta sulla nuova legge elettorale, all’abolizione del Cnel, alla abolizione delle indennità per i consiglieri regionali. Dubbi sul nuovo titolo V, sì al Senato che non vota la fiducia e le leggi di bilancio, immunità solo per i reati di opinione.

La Repubblica sintetizza così quanto accaduto dopo il mancato incontro sulle riforme tra Pd e M5S: “Dall’anatema ai 10 sì al Pd, l’asse Casaleggio-Di Maio costringe Grillo al dialogo”, “Salta l’incontro sulla legge elettorale. Il capo M5S: è dittatura. Poi il tandem dei ‘trattativisti’ ottiene il cambio di rotta”. “Questa è la prova che il Movimento ha due anime”, dice, invistato, il professor Paolo Becchi, ideologo grillino.

Anche su Il Fatto: “Alla fine Di Maio corregge Grillo”. E a Di Maio, deputato e vicepresidente della Camera, è dedicata molta attenzione da parte del quotidiano, che lo descrive come il “pontiere”, rispetto alle parole pronunciate da Grillo (che ha parlato di “dittatura dell’Ebetino”, riferendosi a Renzi). La riapertura del dialogo, secondo Il Fatto, conferma i nuovi equilibri all’interno del M5S: “Luigi Di Maio è ormai il primus inter pares”.
In alto, sulla stessa pagina de Il Fatto: “Senato, immunità & C. Le risposte di Beppe per stanare Matteo”, “Qualche no, ma anche aperture. I 5 Stelle replicano al Pd su legge elettorale e riforme. E ora il premier non può più dire che con i grillini non si può trattare”. Alle 20.05 di ieri i Cinque stelle cedono alla richiesta del Pd e sul blog di Grillo “mettono nero su bianco le risposte sulla legge e elettorale e le riforme”. E il quotidiano sciorina tutte le risposte offerte dal M5S, a partire da sì al ballottaggio, ma con un rilancio: al doppio turno di coalizione dell’Italicum preferiscono il doppio turno di lista. Significa che al ballottaggio vanno i primi due partiti e non le prime due coalizioni.

Su La Stampa: “Sì al premio di maggioranza alla lista’, il M5S offre un sentiero al rottamatore”, “La strategia: ‘Mettiamo sul piatto una legge simile a quella dei sindaci’”. E il “retroscena” alla pagina seguente, firmato da Fabio Martini: “Ma per il premier la via privilegiata resta quella con Berlusconi”, “Per incassare il Senato, Renzi glissa sulla proposta grillina”. La novità sta nel fatto che per la prima volta il leader democratico è costretto a inseguire “un Movimento che fa politica”. Dove si legge che “di punto in bianco” ieri Matteo Renzi ha deciso di tagliare i ponti con Beppe Grillo, chiedendo improvvisamente ai suoi di azzerare l’incontro con il M5S: “e lo ha fatto perché a metà mattinata il presidente del Consiglio ha fiutato uno scenario pericoloso: a forza di tenere accesi contemporaneamente ‘due forni’, quello di Berlusconi e quello di Grillo, ha temuto di perderli entrambi. In definitiva Renzi ha deciso di aspettare Forza Italia, per capire cosa succede nel ‘forno’ dentro il quale ha impastato un po’ di pane: quello di Silvio Berlusconi. In queste ore impegnato in una faticosa rimonta dentro Forza Italia, un recupero di consensi che non sarebbe stato certo facilitato da un’apertura del Pd a Grillo”. Ma per tutta la giornata di ieri pur di restare ancorato a Berlusconi, il premier ha dovuto pagare un prezzo: il Pd si è dovuto intestare la responsabilità della rottura con il M5S. Poi la riposta dei grillini ai dieci quesiti del Pd, “un documento fatto per togliere alibi a Renzi”. Ma il punto è che per Palazzo Chigi “i numeri per la riforma del Senato ci sono”, quindi di porta a casa il risultato e di riforma elettorale si potrà parlare successivamente. Insomma, il patto con Berlusconi è confermato: se si fa con Forza Italia una riforma costituzionale ed epocale come quella del Senato, sarò molto difficile “cambiare cavallo” per la legge elettorale.

Il Corriere si sofferma sulle ragioni che hanno indotto il Quirinale ad intervenire con una nota che “non ha un destinatario esplicito” ma “arriva al termine di una giornata in cui si sono condensate tutte le tensioni di questo delicato passaggio della Repubblica”, dalle scintille Pd-M5S alla riluttanza delle minoranze Pd e FI. “Una volta rientrato a Roma dopo la missione in Slovenia”, scrive Marzio Breda sul quotidiano milanese, Napolitano ha “deciso che non poteva aspettare un minuto di più”, per tre ragioni: “Il peso di certe dichiarazioni, echeggiate da più parti, sul suo silenzio in questa fase, silenzio da alcuni compreso, da altri invece aspramente censurato”; “la sensazione che l’intero cantiere delle riforme rischiasse di bloccarsi subito, dopo un crescendo di divisioni dei partiti che si erano impegnati nella scommessa tentata da Matteo Renzi”; “l’imminenza della assemblea del gruppo dei parlamentari democratici, convocata per le 21, gruppo dalla cui coesione dipendono in buona parte le sorti di un ipotetico nuovo Senato”. Napolitano “evita di entrare nel merito di opzioni ancora aperte”, ma avverte di “evitare le solite, eterne inconcludenze”, che sarebbero “fatali”.
Ancora sul Corriere un “retroscena” sui numeri: “Secondo il ‘pallottoliere’ di Palazzo Chigi i senatori ‘sicuri’ del Pd sono almeno 90, 50 quelli di Forza Italia, 30 del Ncd, 15 della Lega, 15 di Scelta civica e popolari, 15 del gruppo Gal e delle autonomie. E visto che il quorum è 160, i renziani si dicono ‘tranquilli’. Si riferisce anche la “tranquillizante (e ironica) conclusione del premier – i numeri ci sono e a dispetto della manovra mediatica della dinastia Min (Minzolini e Mineo, ndr) la fronda non cresce”.

Secondo L’Unità: “Dissidenti in pressing, rischia il rinvio l’esame in Aula”. “Si dà conto della convocazione per questa mattina alle otto e mezzo della riunione della Commissione, con all’ordine del giorno gli emendamenti “più spinosi”. I numeri dei “dissidenti” secondo il quotidiano Pd: “18 del Pd, tra i 24 e i 27 di Forza Italia, un paio del Ncd, l’extraparlamentare verde Pecoraro Scanio. “Mettono in forse il magic number (214), i famosi 2/3 necessari per approvare la riforma costituzionale senza dover passare, alla fine delle quattro letture, per un referendum confermativo”. In una lettera i senatori chiedono al presidente Grasso un “nuovo rinvio tecnico”, per “esaminare il testo delle riforme che da calendario dovrebbe approdare in Aula domani pomeriggio”. In casa Pd si osserva: se si tratta di rinviare per un giorno non c’è problema, ma non sarebbe giustificabile un rinvio di una settimana.
Roberto Speranza, capogruppo Pd alla Camera, intervistato dallo stesso quotidiano, dice: “Non penso che vadano demonizzate le posizioni di chi la pensa diversamente, però a un certo punto il partito deve poter scegliere e realizzare gli obiettivi che si dà. Il percorso sulle riforme non si può fermare per il bene del Paese e dello stesso partito”.

Secondo Il Sole 24 Ore, che si sofferma sulle tensioni in FI, Berlusconi “vuole ridurre ulteriormente la fronda” dei contrari alla riforma del Senato. “Dei 59 senatori di Forza Italia al momento sarebbero non più di una decina quelli pronti a votare no al nuovo Senato”, scrive il quotidiano. “Un numero non decisovo per far passare la riforma ma che Berlusconi vuole ulteriormente ridurre. ‘Solo se siamo uniti avremo la forza di far rispettare a Renzi l’intesa sulla legge elettorale’, è il mantra impartito da Arcore”. Il Cavaliere, secondo il quotidiano, “si va convincendo” che dietro le perplessità sull’accordo con Renzi si celi un tentativo di “mettere in discussione la sua leadership”.

Su Il Giornale: “Berlusconi non cede ai ribelli: riunione degli eletti in alto mare. Il Cavaliere non ha alcuna intenzione di rimettere in discussione il patto sulle riforme stretto con Renzi. I dissidenti contattati uno ad uno per telefono”.

Il Corriere: “In bilico la riunione dei gruppi di oggi. Berlusconi in campo per convincere gli indecisi. Malumori anche per la richiesta di contribuire ai bilanci: 30-40 mila euro a parlamentare”.

Milano, Bruti vs Robledo

Il Corriere torna a parlare delle tensioni nella Procura di Milano, e parla della “ormai quadrimestrale tenzone sulla gestione dei fascicoli” riferendo di una lettera che il Procuratore generale Manlio Minale avrebbe scritto al Csm per segnalare un “indubbio vulnus alla trasparenza”, per parlare di “revoca di singoli atti esclusa” e di “motivazione apparente”. Nella lettera Minale “boccia tutte e tre le ultime circolari di Edmondo Bruti Liberati, ritenendo che il capo della Procura il 18 giugno non potesse vietare a Robledo di interrogare due degli indagati di Expo, non potesse assumere il 5 e il 26 giugno del coordinamento di tutte le indagini vagamente afferenti Expo, e non potesse il 1 luglio escludere il coordinatore (Robledo) del pool anticorruzione dalla coassegnazione ad altri due pm del filone sul Mose (corruzione del generale della Gdf Spaziante) trasferito a Milano da Venezia”. Ferrarella scrive anche che Bruti a sua volta “rinfaccia a Robledo di aver fatto lui in passato ciò che ora il suo vice lamenta”, avendo tolto il 28 aprile ai Pm Pirotta e D’Alessio “per stralcio senza alcuna motivazione” una costola del fascicolo su Infrastrutture Lombarde.

Papa, inchini e pedofilia

Le prime due pagine de La Stampa sono dedicate all’incontro privato che il Papa ieri ha avuto con sei vittime di abusi. Un incontro che il quotidiano definisce “storico”. Poi il racconto di una di loro, l’irlandese Marie Kane, abusata a 15 anni: “’Mi ha parlato con il cuore, senza mai guardare l’orologio’”, “’Punisca chi continua a insabbiare’”. Sulla stessa pagina, un’intervista a David Chlohessy, direttore di un centro antiabusi statunitense, il Survivor’s Network of those Abused by Priests (snap), che dice: “’Ma deve dimostrare con i fatti volere andare fin in fondo’”, “Deve rimuovere i vescovi che non denunciano. Solo così farà prevenzione’”.

Il Fatto scrive che Papa Francesco ha rovesciato la secolare impostazione della autorità ecclesiastiche, che imponevano alle vittime il silenzio, elogiando il coraggio da quanti hanno “fatto luce su una terribile oscurità” nella vita della Chiesa. Il vostro, ha esclamato ai sopravvissuti, “è stato un servizio d’amore”. È arrivato un fresco vento anglosassone nella trattazione di questo tema, scrive Marco Politi, sottolineando che la commissione anti-abusi è coordinata dal cardinale O’Malley di Boston, che nella sua diocesi ha fatto pulizia del clero abusatore.

Avvenire intervista il gesuita Hans Zollner, vicerettore della Gregoriana, membro della Pontificia Commissione per la tutela dei minori. “Con i suoi gesti e le sue parole Papa Francesco ha dimostrato la ferma volontà di guarire le ferite provocate dagli abusi sessuali da parte del clero”. Secondo il vice rettore della Gregoriana un esempio da seguire per tutti i vescovi e i superiori”. Zollner dice tra l’altro – citando ciò che Benedetto XVI “ha già chiesto”: “la Chiesa deve seguire, oltre alle regole che si è data, anche le leggi dello Stato in cui vive”.  Il testo dell’omelia viene pubblicato integralmente dal quotidiano della Cei: “Francesco: ‘Umilmente chiedo perdono. Nell’omelia anche la denuncia dei peccati di omissione dei capi della Chiesa’”.

Il Giornale intervista Cesare Cavalleri, direttore di Studi Cattolici: “Chi chiede perdono è più forte. Francesco dimostra coraggio”. Chiedere scusa e “un segno di superiorità. Se l’obiettivo è la pacificazione, a chiedere scusa per primo dovrebbe essere chi ha ragione, perché è in una posizione di forza”. Dice anche: “Poi è vero che molti altri dovrebbero chiedere scusa, i luterani ad esempio avrebbero molte cose da farsi perdonare, ma non si può pretendere la reciprocità”.

Un reportage da Oppido Mamertina di Grazia Longo su La Stampa racconta che “per l’inchino al boss ora sotto accusa finisce il sacerdote”. “Il parroco di Oppido: ‘Nessuna convivenza con la ‘ndrangheta’. Ma è imparentato con il capoclan. La Cei: Stop alle processione”. Quanto alla parentela, il quotidiano spiega che Don Benedetto Rustico suo cugino ha sposato la figlia del boss sotto la cui finestra sarebbe stata inchinata la statua della Madonna, ovvero Peppe Mazzagatti. Il cugino del parroco, Carmelo Rustico, è coinvolto nelle faide di Oppido.
Sulla stessa pagina, un’intervista a Padre Mario Frittitta, guida del Convento dei Carmelitano scalzi alla Kalsa di Palermo, che fu arrestato anni addietro per aver detto messa in un covo mafioso e per aver confessato in latitanza il boss di Cosa nostra Pietro Aglieri. È stato poi assolto in appello e in Cassazione e dice: “Ma io lo giustifico. Non siamo poliziotti, salviamo le anime”.

Il Fatto intervista il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, cui chiede di commentare tanto il ruolo della ‘ndrangheta nella vicenda della processione, che la scomunica del Papa ai mafiosi e la scelta che avrebbero compiuto alcuni detenuti del carcere di Larino di non recarsi più a messa a seguito della scomunica stessa: “Le ‘ndrine sfidano il Papa: o si media o sarà scontro”, dice Gratteri, secondo cui “i mafiosi tenteranno la via più tradizionale: quella dei soldi”, perché “sono molto generosi coi prelati: con le grandi donazioni comprano appoggi”.
Anche Il Fatto ha i suoi inviati ad Oppido Mamertina: Enrico Fierro e Lucio Musolino raccontano “l’orgoglio mafioso del paese che s’inchina ai boss”, “teatro dagli anni Ottanta di una sanguinosa faida”. E “oggi il parroco Don Benedetto Rustico si giustifica: ‘Deferenza? Ma le nostre case sono piene di arrestati”.

Su La Repubblica: “Il capo dei vescovi calabresi: ‘Fermate le processioni’, indaga la procura antimafia”. Il racconto dell’inviato Attilio Bolzoni: “E la figlia del boss insula il carabiniere: ‘Quello vuole solo far carriera’” (si tratta del maresciallo Andrea Marino, che ha abbandonato la processione). Di fianco, il “caso” di cui ci si occupa è quello de carcere di Larino: tra i detenuti che rifiutano la messa, che dicono “Ora Bergoglio venga qui a spiegarci se possiamo prendere l’ostia”, “Dai sacerdoti nessuna risposta chiara”.

Europa

Il Sole 24 Ore dedica grande spazio alla riunione di ieri dell’Eurogruppo e all’Ecofin di oggi, citando il Ministro Padoan: “Più flessibilità a chi fa le riforme”. Secondo il quotidiano “la chiave dell’offensiva diplomatica realizzata dal ministro dell’Economia italiano, per sfruttare al massimo le potenzialità offerte dal Patto di stabilità e dal Six Pack e farne degli strumenti più flessibili, è dunque questa: si possono migliorare le strategie se si tiene conto anche del fatto che, ad esempio, quando si vara una riforma che nel lungo periodo favorisce la crescita, con ricadute positive anche per i Paesi vicini, nell’immediato ciò può comportare un aumento della spesa. ‘Le riforme strutturali vanno votate, tradotte in legge e attuate: alla luce degli sforzi di attuazione delle riforme, discuteremo come tutti insieme possiamo tenere conto dell’impatto che hanno sulla sostenibilità di bilancio, sugli effetti sugli altri Paesi, sulla composizione del vincolo di bilancio’”, ha detto il ministro.
Dal conto suo il ministro delle finanze tedesco Schauble ha precisato che “l’obiettivo di una maggiore crescita, su cui ‘siamo tutti d’accordo’, ‘non deve essere un pretesto o una scappatoia per non fare quello che ci serve’. Anche se la parola flessibilità non è stata mai pronunciata dal responsabile di Via XX Settembre, l’idea della presidenza italiana è arrivare a disporre di un quadro chiaro sui margini utilizzabili per ampliare il raggio d’azione del Patto e del Six Pack entro metà autunno, in modo che i governi possano confezionare i rispettivi documenti di bilancio utilizzando quei margini per il sostegno degli investimenti e dell’economia. (…) non c’è dubbio, però, che una parte importante dell’azione diplomatica condotta da Padoan consista proprio nel contrastare pregiudizi e diffidenza storica verso l’Italia”.
Ancora sul Sole 24 Ore da segnalare un intervento dell’economista Kenneth Rogoff: “Una ‘terza via’ per il debito, dove si ricorda che “né l’austerità pura né stimoli keynesiani non mirati possono aiutare un Paese a sfuggire alla trappola del debito”, e sono invece “altre le misure” che nella storia hanno giocato un ruolo significativo.

Sul Corriere, alla pagina delle opinioni, un intervento di Enzo Moavero Milanesi: “Tanti equivoci su flessibilità e rigore. Le riforme vero motore della crescita”.

Su L’Unità un contributo dell’economista Leonardo Becchetti, molto critico sul Fiscal compact: “Il semestre italiano e gli errori europei”, il titolo.

Internazionale

Su La Stampa una corrispondenza da Gerusalemme di Maurizio Molinari: “Così la ‘gang di Gerusalemme’ ha colto di sorpresa i servizi segreti”, “Gli aggressori di Mohamed vengono da colonie vicine alla città . Tre hanno confessato”.

Su La Repubblica è il corrispondente Fabio Scuto a raccontare “I ‘ragazzi delle colline’ cresciuti nell’odio”, e “ora Israele si spacca sul nemico di dentro”. Il Paese “è sotto shock dopo la confessione degli assassini del giovane palestinese bruciato vivo”. E da Gaza arriva “una pioggia di missili”, con 100 lanci in poche ore.

L’Unità parla di un “gesto ‘umano’, in una realtà in cui l’umanità sembra essere stata cancellata da crimini orrendi” dando conto della telefonata del premier israeliano Netanyahu ai genitori del giovane palestinese ucciso. “’L’uccisione di vostro figlio è ripugnante, e non può essere approvata da alcun essere umano’”. Secondo alcuni media israeliani tre dei sei arrestati avrebbero intanto confessato di aver commesso l’omicidio. La loro identità non è stata rivelata. Secondo i media sarebbero giovani, alcuni forse minorenni, residenti nella città israeliana di Beit Shermesh, vicino a Gerusalemme. A Netanyahu il padre del giovane ucciso ha chiesto di distruggere le case dei responsabili, “come Israele ha fatto con le abitazioni dei sospettati del crimine contro i tre giovani ebrei”.

Su Avvenire si legge che “la riconciliazione sembra al momento stridere con quel che avviene in seno al governo israeliano”, dove il ministro degli esteri Lieberman ha deciso di “rompere l’allenza partitica con Netanyahu, sancendo di fatto un divorzio dei loro rispettivi partiti”, Ysrael Beitenu e Likud. Lieberman non è uscito dal governo. La divergenza è nata sulla risposta da dare ai razzi lanciati da Gaza. Lieberman spinge per un intervento più duro.

E poi

Da segnalare sul Giornale la “testimonianza” di Paolo Guzzanti, che racconta i due giorni trascorsi a Londra, chiamato da Scotland Yard che indaga per “veder chiaro” sull’omicidio di Alexandr Litvinenko: “Londra riapre l’inchiesta”, otto anni dopo l’avvelenamento con polonio dell’ex 007 del Kgb.

Su Eduard Shevardnadze, ricordato da tutti i quotidiani, da segnalare L’Unità, che ricorda “quella intervista fiume” nel 1989, direttore del quotidiano D’Alema, “per dire che tutto stava cambiando”.

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