Renzi fa il coatto, capricci nel Pd

Le aperture

Il Corriere della Sera: “Tensioni nel Pd, stretta di Renzi”: “Autosospesi 14 senatori. ‘Non fermerete voi le mie riforme’. Scontro dopo la sostituzione in commissione di Mineo. I ribell: ‘C’è voglia di epurazione’”. A fondo pagina il quotidiano milanese offre una intervista al Dalai Lama: “Diventare buddisti? Mai per moda. I viaggi, le donne, la politica, il Papa. Parla il Dalai Lama, in Toscana”.
In prima anche: “Orsoni torna libero e resta sindaco: ‘Premier superficiale e deludente’”. Orsoni, scrive il quotidiano, è “pronto a patteggiare per i fondi illeciti”. Sulla prima del Corriere, come per tutti gli altri quotidiani, i mondiali del Brasile, che si sono aperti ieri. “La nazionale di casa fatica all’inizio con la Croazia, poi chiude sul 3-1”. “Lo show e gli incidenti. La doppia partenza del Mondiale in Brasile”.

La Repubblica: “Renzi attacca i ribelli pd. I 5Stelle scelgono Farage, la base contro Grillo”, “I 14 senatori si autosospendono dopo la lite sulle riforme”, “Il premier: il partito non è un taxi, non lascio il Paese a Mineo”.
In evidenza una grande foto di tifosi brasiliani: “Violenze sulla festa dei mondiali”. A centro pagina, sull’inchiesta Mose e il sindaco di Venezia: “Orsoni patteggia: io resto. I dem pronti a sfiduciarlo”.

La Stampa: “Orsoni patteggia e resta sindaco”, “Finanziamento illecito, il primo cittadino di Venezia dagli arresti alla Giunta. Caso Mineo: 14 senatori Pd si autosospendono. Renzi: non gli consegno il Paese”.
A centro pagina, foro dalla cerimonia d’inaugurazione dei Mondiali: “Festa e scontri per l’avvio del Mondiale”.

Il Fatto: “Renzi: ‘Dissidenti chi?’. Orsoni: ‘Renzi chi?’”, “Le grane del premier”, “14 senatori Pd si autosospendono’ contro l’epurazione di Mineo. Il premier dall’Asia a muso duro: ‘Ho il 41%, non lascio il Paese in mano loro’. Il sindaco di Venezia lo sfida, patteggia e torna in carica”.
In taglio basso: “M5S sceglie Farage, ma 2 su 3 non votano”, “Su almeno 85mila iscritti al blog, si esprimono appena in 30 mila, con maggioranza schiacciante per il leader nazionalista e xenofobo britannico. Polemiche sui social network fra gli attivisti. Intanto l’ex comico attacca ancora Pizzarotti sulla raccolta dei rifiuti a Parma”.

Il Giornale: “Ammutinamento nel Pd”. “Quattordici senatori si autosospendono dal gruppo. È la resa dei conti con Renzi”.

L’Unità: “Scontro nel Pd. Renzi: no veti”. “Quattordici senatori Democratici si autosospendono dopo la sostituzione di Mineo in Commissione”. “Il premier: non lascio il Paese a lui, il partito non è un taxi”. “Boschi: ci sono i numeri per le riforme”. Un commento sul quotidiano è titolato: “Un brutto spettacolo”. Due interviste richiamate in prima, di opposta opinione: “Casson: compiuto un atto militarista”. “Russo: il Pd è uno, basta fare i capricci”.
A centro pagina: “Il web grillino sceglie lo xenofobo Farage”. “Sul blog 23 mila voti su 29 mila per l’alleanza con il populista inglese che esulta: ‘È un dream team’”. “Grillo aveva escluso dalle votazioni l’opzione Verdi”.
Oggi sulla prima del quotidiano la notizia che la Nie, la società editrice del quotidiano, è stata messa in liquidazione.

Il Sole 24 Ore: “Tasi senza detrazioni in un Comune su due. I sindaci trascurano gli sconti. Aumenti per le prime case di valore medio e basso”. “Il governo: niente sanzioni in caso di errori”. Di spalla: “Riforme, tensione nel Pd. Autosospesi 14 senatori, Renzi tira dritto: basta veti”. “Il premier: il partito è a un bivio, non lascio l’Itaia
in mano a Mineo”.
A centro pagina: “Pa, spesa giù dell’1 per cento all’anno. Oggi in Cdm il maxi-decreto con la riforma, le semplificazioni e i poteri a Cantone”. “Part time al 50 per cento nella delega. Sblocco opere per 5-6 miliardi”. I mondiali di calcio sono oggetto del “pronostico” del “campione del mondo” Dino Zoff, secondo cui “questo mundial parlerà sudamericano”.

Renzi e i senatori dissidenti

Le pagine 2 e 3 de La Repubblica sono dedicate ai 13 senatori Pd che si sono autosospesi dal gruppo: “Senato, è bufera nel Pd. 13 autosospesi con Mineo. Renzi: non accetto più veti”, “Gruppo di senatori contesta la rimozione del ‘ribelle’ “(riferimento a Mineo, dalla Commissione Affari costituzionali, ndr.)., “L’ira del premier:
contano i voti, non gli lascio il Paese”. Sulle due pagine, la foto del presidente del Consiglio a colloquio con il presidente del Kazakistan, che ieri ha incontrato dopo aver lasciato la Cina. E dalla Cina, Renzi ha pronunciato le parole in questione: “Un partito non è un taxi che uno prende solo per farsi eleggere. Non ho preso il 41 per
cento per lasciare il futuro del Paese in mano a Corradino Mineo”, “Noi non molliamo di mezzo centimetro, siamo convinti a cambiare il Paese. Le riforme non si annunciano, si fanno, e non lasciamo a nessuno il diritto di veto. Contano più i voti degli italiani che il diritto di veto di qualche politico”.
In basso, sulla stessa pagina in evidenza le parole pronunciate dal renziano Lorenzo Guerini: “’Rientreranno, non hanno sbocchi’”. Secondo il quotidiano “il partito chiude la porta alla trattativa”. Il Nazareno, ovvero la sede del Pd per la Repubblica è “irremovibile”, perché la strategia è vedere se i 14 reggono tutti insieme oppure si spaccheranno. Poi si descrive “il personaggio”, ovvero Corradino Mineo: “Le trincee di Corradino da Telekabul al Senato”. E si intervistano il capogruppo Pd al Senato Luigi Zanda (“Sulle riforme abbiamo deciso, lunedì lo dirò ai
dissidenti ma niente slealtà”, “Sì alla libertà di mandato, ma si rappresenta il gruppo”) e il senatore Pd Massimo Mucchetti, che è tra gli ‘autosospesi’ (“C’è troppa arroganza, l’epurazione nasconde la controriforma”).

La Stampa intervista il deputato Pd Pippo Civati che, riferendosi a Mineo estromesso dalla Commissione Affari costituzionali, dice: “Lo ha cacciato perché l’accordo con Berlusconi evidentemente non c’è”. Spiega Civati: “Se Berlusconi ci fosse sempre stato, la nostra sarebbe solo una posizione di minoranza come le altre”, “Il problema su Mineo e Chiti non ci sarebbe se il patto con Berlusconi fosse inossidabile. Se invece l’intesa non c’è, ecco che Renzi deve sostituire Mineo per avere un seggio di vantaggio in commissione”.

Il Fatto: “Renzi fa il coatto: ‘Mineo chi? Io ho preso il 41 per cento’”, “Il premier snobba i dissidenti. Tanto se qualcosa va storto in Senato, si torna al voto”. Il quotidiano scrive che il clima nell’esecutivo è relativamente sereno, anche di fronte alla possibilità che i dissidenti aumentino: lunedì il capogruppo Zanda proverà un incontro conciliatore, prima dell’assemblea dei senatori di martedì: “ma il premier – secondo il quotidiano – non ha intenzione di affaticarsi troppo” perché punta a vedere Berlusconi, probabilmente martedì, per incassare un ‘aggiornamento’ del patto del Nazareno e andare avanti, rendendo i dissidenti inutili.
Il Fatto intervista il professor Stefano Rodotà, che dice: “Avevamo ragione: è svolta autoritaria”, “se Renzi e i suoi, la ministra Boschi soprattutto, avessero degnato di un minimo d’attenzione la discussione che c’è stata nell’ultimo periodo, sarebbero oggi in condizione di fare una riforma costituzionale davvero innovativa”.

Il Corriere intervista Giorgio Tonini, vicecapogruppo del Pd al Senato, che dice: “Spero si fermino sull’orlo del burrone”. Dice di non vedere “proporzione tra il danno che si rischia di fare e la materia del contendere”, e che “è una follia mettere in discussione l’unità del gruppo e del Pd per una questione secondaria, che attiene alla disciplina e non alla libertà di coscienza”. Dice di credere nella mediazione, “mi considero un allievo ideale di Aldo Moro”, e “lo dice uno ce è stato quasi sempre in minoranza, e al quale non è mai passato per l’anticamera del cervello di sfasciare l’unità”. Il retroscena di Maria Teresa Meli, nella pagina successiva, spiega che “Renzi fa pesare il 40,8 per cento delle urne”, e cita tra virgolette il premier: “’Io epuratore stalinista? Ma non diciamo cavolate. Sulla riforma del Senato ci siamo confrontati in modo democratico in mille sedi. Abbiamo fatto un sacco di riunioni di direzione, di assemblee di gruppo, un seminario, e il governo non ha mai presentato un testo blindato. E martedì al Senato ci sarà un’altra assemblea ancora, ma di che diavolo parlano?’”. E ancora: “’È incredibile e allucinante che
Mineo parli di epurazione. Il Pd non è un taxi che si prende per farsi eleggere, fare interviste, andare in televisione. Non ho preso i voti che ho preso per lasciare il futuro del Paese nelle mani di Mineo’”.

Su Il Giornale: “Berlusconi sorride: senza di noi Renzi resta al palo”. “Il Cavaliere: ‘Sulle riforme deve trattare. Così com’è il testo sul Senato non lo voteremo mai’. Verdini prepara un nuovo incontro tra il leader di FI e il premier”. “Gli azzurri non credono che al governo basterà il ‘soccorso’ della Lega”.
Nella pagina successiva il quotidiano milanese scrive: “Forza Italia: inchiesta sul golpe, ‘O saltano le grandi riforme’. Sul complotto che fece cadere il Cav nel 2011 il capogruppo Brunetta avverte Renzi: ‘Non avalli l’atteggiamento negativo dei suoi deputati, altrimenti si blocca tutto’”.

Sul Sole, Stefano Folli scrive che molti pensano che la “libertà di mandato” abbia i suoi limiti, e “non può essere sfruttata da un parlamentare per “accreditare un ‘fronte’ contrario agli interessi o alla volontà del suo partito”. Folli cita Gladstone, che diceva che “tra la propria coscienza e il proprio partito si deve scegliere il
secondo”. Ma aggiunge che “nel momento in cui si intende riformare il Senato è pericoloso dare l’impressione di voler soffocare il dibattito e zittire le voci fuori dal coro”, e dunque “il caso Mineo diventa il paradigma di un errore politico”.

Orsoni

“Orsoni patteggia e torna sindaco”, titola La Stampa, che dedica due intere pagine agli ultimi sviluppi dell’inchiesta sul Mose spiegando che Giorgio Orsoni “ha scelto il male minore”, patteggiando una condanna a 4 mesi di carcere per illecito finanziamento ai partiti. Si tratta di due versamenti – uno da 110 mila euro in chiaro, l’altro da
450 mila in nero – che sarebbero finiti a sostenere la sua campagna elettorale del 2010, quando si candidò in contrapposizione a Renato Brunetta. Secondo il quotidiano, nel corso del suo interrogatorio, Orsoni avrebbe fatto mettere a verbale la seguente dichiarazione: “Fui spinto dal partito ad accettare i finanziamenti di Mazzacurati (il
presidente del Consorzio Venezia nuova, ndr.) ma io non ho mai visto una lira”. La Stampa spiega che quindi Orsoni avrebbe giurato di sapere solo dei 110 mila euro in chiaro, senza conoscerne la provenienza illecita. A pagare erano Piergiorgio Baita della Mantovani costruzioni e Giovanni Mazzacurati del Consorzio Venezia Nuova. Soldi
passati – scrive il quotidiano – nelle mani di Federico Sutto, ex socialista, ex collaboratore di Gianni De Michelis nei tempi d’oro, oggi dipendente del Consorzio. La Stampa intervista proprio il sindaco Orsoni: “Pd superficiale e farisaico. Sono stato calpestato e scaricato”, “Nulla da rimproverarmi, non mi dimetto”, “C’è chi si è affrettato subito a sottolineare che non ero nemmeno iscritto al partito. Si sono comportati come anime belle. Fino al giorno prima del mio arresto mi chiedevano di ricandidarmi a marzo dell’anno prossimo”, “Non ho mai pensato che i versamenti sul conto del mio mandatario elettorale non fossero leciti”, “solo dopo la campagna elettorale ho saputo chi aveva contribuito. Io ho incontrato decine di persone, imprenditori o sedicenti tali, che dicevano che mi avrebbero
sostenuto. Li ringraziavo senza sapere se poi lo avrebbero fatto”.

Anche Il Fatto intervista il sindaco Orsoni: “Hanno detto che non mi conoscevano. Strano, Renzi lo conosco da quando era sindaco di Firenze: ci conosciamo bene. E vogliamo parlare della coerenza di Alessandra Moretti? Prima bersaniana, poi renziana. Un mese fa disse che ero il sindaco perfetto di ogni città d’Italia”. Lei non è mai stato iscritto a nessun partito, neanche al Pd? “Loro mi hanno chiesto per anni di candidarmi e ho accettato solo nel 2010, loro hanno curato e interamente gestito la campagna elettorale, mi creda”, risponde Orsoni.

Intervista a Orsoni anche su La Repubblica, che alla sua vicenda dedica due intere pagine. Pagina 12: “Orsoni torna libero ma il Pd lo scarica, ‘Se ne deve andare’”. Si tratterebbe di una “direttiva” che “filtra” dalla sede del Pd, perché per il quotidiano “è iniziato il conto alla rovescia per la sfiducia”. Nell’intervista, Orsoni dice: “Non mi dimetto, deluso da Renzi, si è comportato come un fariseo”. Il cronista gli chiede: ai magistrati lei ha detto di esser stato spinto nel 2010 a chiedere fondi a Mazzacurati da tre uomini del Pd Veneto, ovvero Davide Zoggia, Giampietro Marchese e Michele Mognato. Risponde Orsoni: “Così è stato. Ma ho spiegato ai pm che non sapevo dei
meccanismi messi in atto dal Consorzio per creare fondi destinati alle campagne elettorali di tutti, e sottolineo tutti i partiti”.

Europa

L’Unità si sofferma sulla notizia diffusa ieri della adesione dei tedeschi di Alternative fur Deutschland al gruppo dei Conservatori e riformisti europei, quello dei Tories britannici. A dare il via libera proprio il partito di Cameron. “Un affronto per Angela Merkel, la quale aveva detto che avrebbe considerato un atto di guerra la cooptazione nel gruppo a guida britannica dei suoi acerrimi nemici e potenziali concorrenti in patria”. La mossa di Cameron, scrive il quotidiano, “scompagina tutti i giochi politici della destra antieuropea uscita dalle elezioni”. Se all’Ecr, dopo Alternativa per la Germania, dovessero aderire anche gli autieuropeisti danesi, e gli indipendentisti fiamminghi, il gruppo diventerebbe il quarto del Parlamento europeo, schiacciando le aspirazioni tanto di Marine le Pen e di Geert Wilders che quelle del gruppo Europa per le libertà e la democrazia guidato dall’Ukip di Farage.

Sul Corriere: “Grillo, sul web sì a Farage. L’ira di eletti e militanti: fuori i Verdi, voto falsato”. Sul blog in 23 mila su 29 mila hanno detto sì all’adesione al gruppo capitanato dall’Ukip britannico. In 2900 avevano scelto il gruppo Ecr (quello di Cameron), in 3500 la collocazione tra i non iscritti. Farage ha salutato la notizia: “Insieme a Beppe Grillo faremo un dream team da incubo a Bruxelles”.

Il Corriere della Sera pubblica un contributo di David Cameron, dedicato alla scelta del prossimo presidente della Commissione: “Il caso Juncker. Europa, o si cambia o si va al declino. Una leadership che rispetti il voto”. Cameron scrive che l’argomento per cui Juncker è stato scelto dagli europei non vale, perché “la maggior parte dei cittadini europei non ha votato”, perché “il nome di Juncker non compariva sulle schede elettorali”, e “persino in Germania solo il 15 per cento degli elettori era al corrente della sua candidatura”. E insomma “per i leader dei Paesi europei è il momento di dimostrare il coraggio delle proprie idee” e di “proporre un candidato che convinca gli elettori europei che siamo offrendo una risposta ai loro problemi”.
Ancora sul Corriere si dà conto che c’è anche il nome di Enrico Letta per la successione a Herman Van Rompuy, alla presidenza del Consiglio della Ue. Sono state fonti del Ppe a spiegare che proprio dall’Italia potrebbe arrivare la “soluzione ideale” nella partita delle nomine Ue.

Internazionale

Due intere pagine de La Repubblica si occupano della situazione in Iraq: “La marcia dei jihadisti nell’Iraq in macerie, ora Baghdad è più vicina”, “Parlamento allo sbando, non vota lo Stato d’emergenza. Qaedisti bombardati a Mosul, scontri violenti a Kirkuk”. Spiega Marco Ansaldo, inviato nel Kurdistan irakeno, che poiché i partito sunniti
osteggiano il premier sciita Al Maliki, il Parlamento non è riuscito a votare la proclamazione dello stato d’emergenza chiesta dal governo per mancanza del quorum. In aula si sono presentati solo 128 parlamentari su 325. Il corrispondente da New York Federico Rampini racconta invece “la svolta di Obama”: “’Stiamo valutando l’intervento
militare”, “Ora tutte le opzioni sono aperte”. Il quotidiano riferisce che si ipotizzano attacchi aerei e droni, non un invio di truppe.

Su La Stampa: “Obama: pronti a colpire gli islamisti”, “Le colonne dell’Isis (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, ndr.) a 100 chilometri da Baghdad. La Casa Bianca: vanno fermati. Ma due mesi fa avevano negato gli aiuti”, scrive l’inviato a New York Paolo Mastrolilli che, parlando dell’avanzata jihadista sottolinea come si tratti di una riscossa” della minoranza sunnita che, attraverso Isis, vuole riprendere il controllo del suo territorio, spaccando l’Iraq nel Nord curdo, il Sud sciita e la parte centrale controllata dagli eredi di Saddam per creare uno Stato islamico. Questo progetto ha provocato la reazione dei curdi, che al Nord hanno occupato l’altra città petrolifera di Kirkuk. Ma anche dell’Iran, che ha inviato due battaglioni delle Quds Forces della Guardia Repubblicana per aiutare
il premier sciita Al Maliki a difendersi.
Ed è ancora Mastrolilli a ricordare, in un retroscena, “Quando Bush promise ai curdi ‘Se Saddam attacca, lo distruggo’”.

Livio Caputo, sulla prima de Il Giornale, firma un articolo intitolato: “Ridateci Gheddafi e Saddam per sconfiggere Al Qaeda”. “Le loro mani, come quelle di Assad, grondavano sangue, ma abbatterli è stata una pessima idea: ora dilaga il terrore”.

Sul Corriere: “Droni e missili Usa verso Baghdad. Ma l’Iran è già sceso in campo. I due Paesi nemici al fianco dello stesso alleato. Il ruolo dei peshmerga”. Si scrive che due battaglioni dell’Armata Qods, apparato speciale dei pasdaran, sono arrivati di gran fretta a Baghdad per assistere “l’amico iracheno”. Si scrive anche che gli Usa mercoledì hanno rifiutato di mandare caccia in aiuto agli iracheni, e che ieri il Presidente Usa ha “aperto nuovi scenari”,non escludendo alcuna opzione, parlando di “possibili azioni militari nel caso la sicurezza nazionale sia a rischio”, promettendo altri aiuti e ribadendo che “non vi sarà alcun impiego di forze terrestri”. I droni presenti nella basi turche e i voli spia pronti a Sigonella possono fare da vedette avanzate per “monitorare la travolgente cavalcata jihadista”.
Lo stesso quotidiano intervista Arthur Brooks, presidente dell’American Enterprise Institute. Dice che l’Iraq si trova in queste condizioni perché gli Usa si sono ritirati “prematuramente”, “con l’obiettivo di incrementare la popolarità domestica” di Obama. Brooks, che parla anche dei Tea Party, del capitalismo Usa e del ruolo dell’America, è in Italia in questi giorni per presentare un suo libro.

E poi

Il Sole 24 Ore intervista Jack Ma, fondatore di Alibaba, che ha incontrato Renzi a Pechino ed ha firmato un memorandum con il nostro Paese. “Stiamo vendendo prodotti americani, persino il pesce. Perché allora non dobbiamo poter vendere la pizza italiana, l’olio, i dolci, le scarpe, i mobili online? Faremo anche corsi alle piccole e medie imprese spiegando loro come possono vendere online attraverso Alibaba. Siamo aperti a fornire per tre mesi corsi a italiani che possano venire in Cina e poi spiegare e capire come funziona. Sappiamo bene che molti italiani hanno attività in Cina, ma il Paese è così grande che è impossibile coprirlo tutto. Con Internet, sì”.

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