Pulmino e croce di ferro

Il Corriere della Sera: “I primi gesti umili del Papa. Francesco paga il conto alla ‘Casa del clero’, e sceglie di non sedersi sul trono. Eletto con più di 90 voti, il ruolo della Curia. I lombardi non hanno sostenuto Scola”. A centro pagina: “Camere, stallo sui presidenti. Il Pd non convince Grillo e voterà scheda bianca. Si apre oggi la nuova legislatura: nessun accordo, si va in ordine sparso”.

 

La Repubblica: “Il Papa: così la Chiesa rfipartirà. Bergoglio ai cardinali: siate irreprensibili, non siamo una Ong. Torna l’altare del Concilio”. “I gesti di rottura del Pontefice: in pulmino a Santa Marta, poi paga il conto di tasca sua. E dice di no alle misure di sicurezza: sono un pellegrino tra i pellegrini”. A centro pagina: “Caos Camere, niente accordo sulle presidenze. Oggi si riunisce il Parlamento, solo i grillini indicano i loro candidati. Pd, Pdl e Monti voteranno scheda bianca”.

 

Libero: “Troppe bugie su Francesco. Chi è davvero il nuovo Papa. C’è chi lo accusa di complicità con i dittatori e chi lo arruola nella sinistra. Ma quella di Bergoglio è tutta un’altra storia: ve la raccontiamo. Subito il piccone: ‘Senza Gesù siamo una Ong. Attenti al diavolo”.

 

Il Fatto quotidiano: “Coprì i pedofili. ‘Via dalla Basilica quel cardinale’”.

 

Il Sole 24 Ore: “Europa, sulla crescita nulla di fatto. Scontro tra Francia e Germania sul rigore. Hollande: la priorità è lo sviluppo, troppa rigidità crea disoccupazione. Lettera di Monti a Van Rompuy: flessibilità sui bilanci. Resta l’allarme sui pagamenti Pa”.

 

La Stampa: “Grillo non cede. Camere, dal Pd scheda bianca. Al via la legislatura: incognita presidenze”. Il titolo più grande mostra la foto diffusa dal direttore di Civiltà Cattolica, Antonio Spadaro, via Facebook: si trattad di Papa Francesco in pullman con i cardinali. “’Camminare e costruire’, primo messaggio del Papa. Francesco paga il conto in albergo, poi l’omelia nella Sistina”.

 

L’Unità: “Camere, falsa partenza. Oggi primo voto sui presidenti. Non c’è intesa. Il Pd: scheda bianca per tenere la porta aperta”. Il movimento 5 Stelle ha scelto i suoi candidati, Fico per la Camera ed Orellana per il Senato. Il quotidiano del Pd parla anche della “idea del Pdl: “Monti al Senato e larghe intese”. “La Lega è divisa ma apre alla fiducia tecnica”.

 

Il Foglio: “Dopo le minacce manettare, Pd e Pdl si fanno più cauti e gli ambasciatori riprendono a parlarsi”, “da Letta a Franceschini, il fronte non disponibile ad appiattirsi su Grillo si stringe intorno a Napolitano”.

 

Papa Francesco

 

I quotidiani raccontano i gesti del nuovo pontefice: “strappi”, come li definisce La Repubblica, che cita la decisione del neopapa di lasciare dopo l’elezione il palazzo del Vaticano insieme agli altri cardinali in un pulmino, poi il suo passaggio in albergo per pagare il conto. Anche il Corriere della Sera ricorda che già nella “stanza delle lacrime”, appena eletto, Papa Francesco aveva indossato solo la semplice talare bianca, e congedato il cerimoniere che gli porgeva la mozzetta di velluto rosso bordata di ermellino e la croce d’oro dei Papi. “Io mi tengo la mia croce di ferro”, ha risposto Bergoglio. La Stampa racconta di un altro rito infranto: dopo l’elezione, nella Cappella Sistina, gli elettori omaggiano il nuovo Papa, seduto sul trono. Ma mercoledì non è andata così: i cardinali erano in piedi, e anche il Papa è rimasto in piedi.

 

La Repubblica scrive che il gesto simbolicamente più forte delal giornata di ieri è la scelta di farsi sistemare l’altare della Sistina rivolto verso i fedeli, che nell’occasione erano i cardinali. Ratzinger non lo fece, anche perché – ricorda il quotidiano – nel corso del suo pontificato aveva provato a ricucire un dialogo con i lefevriani. Il quotidiano riferisce ampiamente dei contenuti della prima omelia pronunciata ieri nella Cappella Sistina, che riassume così: “Dovete essere irreprensibili, chi non sta con Dio sta col diavolo”. Il Fatto scrive anche che, una volta entrato nel pomeriggio nella basilica di Santa Maria Maggiore, il Pontefice si sarebbe fatto cupo in volto, alla vista del cardinale messicano Bernard Francis Law: ormai in pensione, senza aver mai scontato l’accusa di aver coperto i preti pedofili nella diocesi di Boston, Law risiede ancora nel Palazzo di Santa Maria Maggiore. Il quotidiano ricorda che l’associazione statunitense Snap, Rete delle vittime degli abusi, ha elencato più di 5000 episodi di pedofilia che sarebbero stati coperti da Law. Nel 2002 fu costretto a dimettersi, annunciò un ritiro spirituale mai avvenuto, fu promosso arciprete di Santa Maria Maggiore. Il Papa avrebbe quindi chiesto di allontanarlo.

Anche oggi il Fatto torna con due intere pagine sulle accuse di “collaborazionismo” con i dittatori argentini di cui si sarebbe macchiato il neopapa. Oggi sul quotidiano compare l’intervista a Horacio Verbinsky, il giornalista argentino principale accusatore di Bergoglio, che torna a ribadire le sue accuse.

 

Sul Corriere della Sera una intervista allo storico del medioevo Jacques Le Goff, che nel 1999 ha scritto “San Francesco D’Assisi”. Il santo, dice lo storico, è rimasto a lungo “ai margini della Chiesa”, “uomo di fede ma perennemente sull’orlo dell’eresia”. Cosa significa la scelta di questo nome? “Da un punto di vista simbolico è una mossa rivoluzionaria: di solito i papi preferiscono situarsi nella continuità, Bergoglio ha invece preferito la rottura scegliendo un nome mai usato prima”. Nel suo libro Le Goff racconta di un San Francesco in perenne lotta con la Curia romana. “Non poteva essere altrimenti: quasi tutto lo separava dagli intrighi della Curia di Roma. Noi storici non siamo riusciti a stabilire con certezza se, a Roma, il futuro santo venne ricevuto dal Papa. Ma è al ritorno da quel viaggio nella capitale che, lasciato il Lazio, Francesco parlò agli uccelli”.

Sulla stessa pagina, una intervista al filosofo cattolico Michael Novak, che si dice convinto che, come Woytyla, riporterà la Chiesa nel mondo. Il suo modello, per Novak, non è certo l’assistenzialismo dei democratici Usa: “Da vescovo è vicino ai poveri ma contrario alla teologia della liberazione, e può rilanciare il messaggio di libertà del cristianesimo”. Perché, secondo Novak, ci sono due teologie: quella che esalta il pauperismo e quella che guarda alla creatività che Dio ha instillato nell’essere umano. E continua: mezzo miliardo di cinesi e indiani sono usciti dalla povertà grazie a questa scintilla, alla capacità dell’uomo di inventare e fare, non grazie al socialismo”.

Su La Repubblica Lucio Caracciolo sottolinea come Francesco sia “un Papa di frontiera”, in senso geopolitico: nelle terre di provenienza del Papa si combatte infatti una battaglia decisiva: quella contro le nuove sette evangeliche, specie pentecostali, in Brasile, negli ultimi anni, almeno quindici milioni di fedeli si sono buttate nell’universo pentecostale. Per i cattolici latinoamericani quelle che considerano pericolose sette devianti sono usate da centri di potere nordamericani. Oggi dunque la priorità è il latinoamerica, ma in prospettiva dal Vaticano si guarda soprattutto all’Asia. Da questo punto di vista, il nuovo pontificato cambia di direzione rispetto a quello di Benedetto XVI, che si era posto come priorità di rievangelizzare il vecchio continente.

 

I quotidiani parlano anche delle immininenti nomine che aspettano il nuovo Papa: Gianluigi Nuzzi su Libero: “dallo Ior agli appalti le sacre stanze da ripulire. Il nuovo Segretario di Stato sarà decisivo per mettere in pratica il cambiamento con Francesco vuole perseguire in Curia. Primo punto: la banca vaticana, per poi estirpare la corruzione.

 

Su La Stampa il corrispondente da New York sottolinea come l’America latina sia in festa e come sia qui il futuro della fede, dati alla mano: si tratta di quelli del rapporto del Pew Research center di Washington, Global Catholic Population: si fotografano qui i nuovi equilibri geografici della fede cattolica: se nel 1910 in Europa si trovavano i due terzi di cattolici del mondo, nel 2010 erano ridotti ad appena al 24, con oltre il 40 per cento residente in America latina e Caraibi. Il cattolicesimo americano è quindi divenuto una costola di quello latino, a seguito dalla imponente immigrazione degli ispanici. Se negli Usa circa il 24 per cento degli abitanti oggi è cattolico, nei tre quarti dei casi si tratta di ispanici, perché il 52 per cento di tutti gli immigrati è latinoamericano. Gli ispanici nordamericani peraltro sembrano proiettati verso una crescita accelerata.

 

Su La Repubblica si racconta come Bergoglio abbia preso i voti innanzitutto degli extraeuropei, poi quelli degli americani, convinti dall’arcivescovo di Washington Donald Wuerl, inatteso popemaker dentro la Sistina, che era lui la soluzione giusta per riformare la Chiesa. Già dall’inizio, l’arcivescovo di Milano Scola è rimasto di molto sotto le aspettative. Anche sul Corriere della Sera si evidenzia come gli italiani siano rimasti uniti nell’escludere il cardinale di Milano Scola: persino i cardinali lombardi gli hanno votato contro.

 

Il Sole 24 Ore dedica una pagina ai tre Francesco della storia della Chiesa: oltre al “poverello” di Assisi, che “anticipò la finanza etica”, come scrive Franco Cardini, ci sono anche Francesco Saverio, coevo di Ignazio da Loyola e con lui padre fondatore della Compagna di Gesù, e Francesco Borgia, bisnipote di Papa Alessandro VI. Sul primo Martin M. Morales scrive che la scelta del Papa di farsi chiamare Francesco potrebbe anche essere legata a caratteristiche del personaggio, che scelse la povertà e la vita missionaria. Come Francesco d’Assisi sarà proclamato santo prima ancora dell’avvio del processo di canonizzazione.

 

La Stampa si occupa anche dei riferimenti a Bergoglio contenuti nei cablo della diplomazia statunitense resi pubblici da Wikileaks: sei cablo inviati dalla ambasciata Usa in Argentina a Washington tra il 2006 e il 2010. Dai cablo emerge che il vescovo veniva spesso citato da esponenti dell’opposizione nei loro colloqui con i diplomatici Usa. In un cablo del 10 maggio 2007 si dà conto delle “recenti preoccupazioni espresse da Bergoglio per la concentrazione di potere nelle mani di Kirchner e l’indebolimento delle istituzioni democratiche in Argentina”.

 

Politica

 

Oggi è il giorno di votazioni in Parlamento per l’elezione dei Presidenti di Camera e Senato, alla fine di una lunga giornata fatta da incontri tra i partiti, senza arrivare a un accordo – racconta L’Unità – il segretario Pd ha detto ai parlamentari democratici: finora la nostra proposta di corresponsabilità non è stata raccolta dalle altre forze. Per questo la decisione è quella di votare oggi scheda bianca perché, ha detto Bersani, il Pd vuole “continuare a lavorare fino all’ultimo per un accordo, e utilizzare questa giornata per far maturare una condivisione con le altre forze politiche”. I 5 Stelle – spiega ancora L’Unità – vogliono ai vertici delle due istituzioni i loro candidati: Roberto Fico, e Luis Alberto Orellana. Hanno fatto sapere che se in Senato si andrà al ballottaggio, cioé alla quarta votazione voteranno scheda bianca nel caso in cui Orellana non sia in gioco. Vito Crimi, capogruppo 5 Stelle in Senato, ha detto: in un ballottaggio tra Pd e Pdl non avremmo nulla da votare perchè sono indifferenti”.

Ma è ancora L’Unità a descrive così la situazione: “troppe le incognite ancora in campo, troppe le ambiguità registrate negli incontri di questi giorni e troppe, anche le divisioni interne al partito, le perplessità su un ‘governo del cambiamento’ che necessiterebbe dei 5 Stelle”.

Per questo la scelta del Pd è continuare a lavorare per intese, ma a votare scheda bianca: a Montecitorio il Pd avrebbe i numeri per eleggere il Presidente, il nome che circola è Dario Dfrancrschini. La contrarietà a lasciare l’azione ai cinque stelle è stata espressa anche da Renzi e dai parlamentari a lui vicini. Ma gli occhi sono puntati su Monti: il timore sviluppato dai Dem è che Scelta civica stia lavorando ad un accordo con il Pdl: nell’immediato per esprimere ed eleggere un presidente del Senato, che sarebbe Linda Lanzillotta, e poi costruire un governo sulla falsariga del governo Monti. Bersani ha detto che da lui verrebbe un no a un governo Pdl-Pd – quale che sia la forma – ma i numeri di Palazzo Madama non sono a suo favore. In tutto questo, non è chiaro a che gioco stia giocando la Lega, che con i suoi 17 senatori può essere determinante a Palazzo Madama. Dagli incontri con il Carroccio ieri sono venute delle aperture: i leghisti avrebbero lasciato intendere che pur di non tornare al voto potrebbero consentire a Bersani di incassare la fiducia al Senato, e il leghista Calderoli nel pomeriggio ha scompaginato di nuovo le carte, proponendo la presidenza della Camera al Pdl e quella del Senato al Pd.

Sullo stesso quotidiano, un retroscena porta questo titolo: “La lega apre alla ‘fiducia tecnica’”.

 

Su La Stampa si sottolinea come il Pd guadagni un giorno di trattative con la decisione di votare scheda bianca. E per quel che riguarda Renzi, si riassume così il suo pensiero: se mi si presenta qualcuno e mi dice che si può fare un governo di cinque anni. Ma senza alcun tipo di prospettiva, che senso ha regalare a Grillo la Presidenza? E sulla Lega il titolo è: “disposta a dire sì alla Finocchiaro. ‘Ma al Pdl la Camera’”. E poi: “La tentazione di Monti: pronto a guidare il Senato”. In questo quadro, l’attuale ministro degli Interni Cancellieri diventerebbe Presidente del Consiglio ad interim.

Per quel che riguarda la posizione del Pdl, si scrive che a Berlusconi non basta un accordo per le Camere. Il leader del centrodestra vuole spingere il Pd ad accettare un governo di larghe intese.

 

Su Libero: “Pazza idea: Lega e Monti per la Finocchiaro”, “Calderoli lavora a un patto per dare Senato al Pd e Camera al Pdl in cambio del sì alla Macroregione. Ma i numeri ballano”.

 

E poi

 

In questi giorni è in corso a Bruxelles il Consiglio europeo e la pagina 2 del Sole 24 ore è dedicata a questo tema, con la posizione del presidente del Consiglio uscente: “Monti: ora meno vincoli sul bilancio”, “lettera a Van Rompuy: più flessibilità per lo sviluppo. Resta l’allarme per i debiti Pa”.

 

In una lettera consegnata a Van Rompuy Monti ha spiegato che “l’Italia dovrebbe poter utilizzare ogni ulteriore margine previsto dal Patto di stabilità per attuare immediatamente un patto di sostegno alla creazione di posti di lavoro stabile, allegerendo il cuneo fiscale sui nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato, favorendo l’apprendistato, e i servizi per l’infanzia”, “per quei Paesi che si trovano nella parte preventiva del patto di stabilità, dopo aver corretto il disavanzo eccessivo, il progresso verso l’obiettovo a medio termine, del rapporto dell’1 per cento tra deficit e pil dovrebbe essere valutato tenendo in considerazione l’impatto sulla crescita di investimenti produttivi e sociali in linea con le priorità concordate in sede Ue”. Alle pagine di economia de La Repubblica: “Monti scrive ai partner Ue: più flessibilità”, “braccio di ferro sulle misure per la crescita”. E si dà conto anche delle dichiarazioni del premier lussemburghese Juncker, che parla di “rischio di rivolta sociale”, arrivando al vertice sotto assedio di 15 mila manifestanti, alcuni dei quali hanno occupato gli uffici della Commissione. Anche i comuni e le province, rappresentati dall’Anci e dall’Upi, hanno chiesto di superare il patto di stabilità.

 

Su Libero: “Solo ora Monti chiede meno rigore”, “il prof vola a Bruxelles per ammorbidire i vincoli di bilancio. Ma la sua amica Merkel non molla”.

Su La Stampa: “il Professore all’Europa: ‘più spesa per il lavoro’”, “lettera ai vertici Ue e partner: non conteggiare nel 3 per cento gli sgravi fiscali”. Monti ha ricordato come nel 2013, “sulla base delle ultime previsioni della Commissione”, l’Italia “raggiungerà il pareggio in termini strutturali”, mentre “ad alcuni è stato concesso più tempo per raggiungere gli obiettivi di bilancio”.

 

Come scrive La Stampa, il governo indiano, sempre più sotto pressione dell’opposizione e di una campagna mediatica televisiva, ha annunciato che “rivedrà l’intera gamma delle relazioni” con l’Italia. Ed ha fatto scendere in campo la Corte Suprema, che aveva concesso lo speciale permesso ai due marò dietro garanzia scritta dei due militari e dell’ambasciatore italiano Daniele Mancini. I giudici indiani hanno infatti aperto una causa contro il diplomatico con l’accusa di ‘oltraggio alla Corte’. Come misura precauzionale non potrà lasciare l’India, e dovrà fornire spiegazioni entro lunedì prossimo. La restrizione di movimenti applicata a un diplomatico è una misura senza precedenti, che ha sollevato anche qualche perplessità sull’aderenza ai principi della immunità diplomatica, stabiliti dall’articolo 29 della convenzione di Vienna. L’oppposizione del BJP, destra indù nazionalista, continua a soffiare sul fuoco e chiede la testa dell’ambasciatore Mancini, che peraltro è a new Delhi solo da due mesi. Secondo il BJP “l’Italian job”, come è stato chiamato dalla stampa, ha avuto l’appoggio di Sonja Gandhi, leader del partito del Congresso, e italiana.

La Repubblica racconta che Mancini ha avuto dalla Farnesina la consegna di non parlare con i media, ma avrebbe già risposto al governo indiano: non accetterà di rispettare la decisione dei giudici, poiché gode della protezione della convenzione di Vienna, che garantisce ai diplomatici non solo libertà di movimento e l’esenzione da qualsiasi procedimento giudiziario.

 

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